La dispersione scolastica, fatta di insuccessi e di abbandoni, costituisce la principale palla al piede del nostro sistema. E se alle difficoltà dei giovani nel loro percorso di studi si aggiungono le diverse condizioni di sviluppo socio-economico dei territori, ecco che si amplificano i divari in altrettante aree del Paese. Da anni si cerca di arginare il fenomeno con soluzioni di carattere didattico, ma il confronto europeo ci vede sempre nelle posizioni di retroguardia, tant’è che il PNRR ha posto anche questa tra le riforme che l’Italia deve mettere in atto per raggiungere gli standard comunitari.
Il Ministero dell’istruzione ha pensato ad alcune azioni, a partire da supporti alla didattica, come percorsi di mentoring, orientamento e accompagnamento, sostegno alla motivazione, potenziamento delle competenze di base, laboratori curricolari, continuando con una sperimentazione di classi con 10 alunni alle quali si assoceranno azioni proposte da un apposito gruppo di lavoro. E le ha imposte a tutti, come fossero le uniche strade per prevenire e combattere la dispersione, indipendentemente dalle caratteristiche e dalle esigenze delle singole scuole, senza riguardo alle loro idee sulle migliori strategie per affrontare il problema. Pensiero unico, frutto di esperti del Ministero (non noti al pubblico, non ai principali stakeholders e forse neanche a molti alti dirigenti di viale Trastevere). Un modo sorprendente di gestire mezzo miliardo di euro di risorse di tutti (in gran parte, o forse del tutto, a debito). Non v’è dubbio che si tratti di un’attività impegnativa, con un consistente finanziamento, ma il rischio è che una volta esaurite le risorse se non intervengono misure strutturali si torni alla situazione precedente. Anche perché non si lavora su modelli di scuola più attraenti ed efficaci che possano determinare un cambio di paradigma nel tempo, di cui potrebbero beneficiare anche le successive leve di studenti. Eppure tante scuole sarebbero state intenzionate a seguire quella strada. Ma tant’è, l’Unità di Missione per il PNRR ha deciso così, con buona pace dell’autonomia scolastica.
Si pensi ad esempio alla prima parte dell’intervento, tutte le attività sono da considerarsi al di fuori dell’orario scolastico per la contabilità del piano europeo, ma esse dovrebbero costituire le basi organizzative del curricolo stesso, i descrittori essenziali delle prestazioni, per valorizzare veramente l’autonomia degli istituti, con la relativa assegnazione di figure professionali adeguate.
Tra gli interventi previsti si parla molto di orientamento, ma questo è prima di tutto un atto della didattica, che passa attraverso le discipline e la valutazione, non selettiva, ma orientativa ed il controllo dei risultati a distanza, per incamminarsi verso la formazione permanente. Ci vorrebbe una robusta formazione del personale, ma le Istruzioni operative non menzionano questa parola, di fatto la vietano. Si prevedono solo percorsi per gli studenti, con target di numeri da raggiungere.
Per porre rimedio alla “dispersione implicita” si punta all’aiuto di docenti con spiccate competenze di tipo psicologico-relazionale: ce ne saranno abbastanza con tali caratteristiche per erogare i milioni di ore necessari? Il tutto per superare una didattica di tipo frontale e generalizzare laboratori curricolari, che permettano una diversa organizzazione del gruppo degli alunni ed un rapporto con realtà formative e lavorative esterne.
Nei documenti ministeriali si parla di team di prevenzione scolastica: potrebbe essere un’occasione per superare quei burocratici consigli di classe e diventare un organo di gestione degli alunni e non solo di quelli a rischio, per analizzare i loro bisogni formativi, progettare e gestire gli interventi, permeabili ai rapporti con altre scuole ed attività di co-progettazione con agenzie esterne, favorendo il pieno coinvolgimento delle famiglie. Purché non finisca qui e lì con un modo per arrotondare lo stipendio per chi ne farà parte.