Luca Micheletti, cantante lirico, attore, regista :«Sto sempre sul palcoscenico»

Luca Micheletti, cantante lirico, attore, regista :«Sto sempre sul palcoscenico»

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di Valerio Cappelli

Atteso alla Scala in tre opere, sarà Don Giovanni con Riccardo Muti, ora regista per Umberto Orsini al Piccolo, poi attore nel Misantropo di Ruth Shammah al Franco Parenti. «Sono erede di artisti girovaghi che sapevano fare tutto».

Luca Micheletti, cantante lirico, attore, regista :«Sto sempre sul palcoscenico»

Luca Micheletti, ma da dove è sbucato? Sorride: «La stessa domanda me l’ha fatta Cristina Muti quando mi ha preso come Jago nel suo Otello al Ravenna Festival». Lì conobbe Elisa Balbo, il soprano che ha sposato: «Lei era Desdemona, io Jago, abbiamo cambiato la vicenda!». Bresciano, 37 anni appena compiuti, ha così tanti impegni da far venire il mal di testa. E tutti di primo piano.

A Milano è regista di Le memorie di Ivan Karamazov con Umberto Orsini che ha appena aperto il Piccolo; attore, sarà nel Misantropo di Molière per Andrée Ruth Shammah al Franco Parenti; e cantante, nel Concerto di Natale diretto da Zubin Mehta alla Scala. Dove poi è atteso da tre opere: Vespri Siciliani, La Bohème, Le nozze di Figaro.

Appartiene a una famiglia d’arte. Viene dalla direzione della compagnia teatrale I Guitti che suo padre fondò negli anni 70, le cui origini, intese come carro di Tespi e teatro nomade, nella sua famiglia risalgono a quattro avi fa, a fine ’800. «Lo considero un laboratorio che riporta a un teatro popolare, girovago, quasi zingaresco». Povero, laterale, popolare ma sconosciuto ai borghesi, girava in provincia di piazza in piazza, un sapore circense: «Si faceva repertorio italiano, Le due orfanelle, oppure D’Annunzio. Per quattro generazioni la mia famiglia non ha interrotto questo percorso di sangue, io non l’ho vissuto nella sua forma originale perché non esiste più, ma ho partecipato a quei riti, a 5 anni mio padre mi fece debuttare come clown in una Bisbetica domata ambientata al circo».

Il clou il 18 novembre al Regio di Torino quando sarà Don Giovanni con Riccardo Muti:«Mi colpisce la sua enorme sapienza teatrale, oltre che musicale, un musicista sommo con una straordinaria capacità di visione drammaturgica». Chi è Don Giovanni per lei? «Non è solo un donnaiolo, tutti i miti si compongono della somma delle loro varianti, può essere mille cose. Anche nella prosa è sfuggente, rasenta la frammentarietà. Chiara Muti mi dirà la sua regia, la mia idea è di un filosofo materialista e di un uomo che lotta con Dio prima che con altri, in modo scanzonato e consapevole. In Molière, cosa che non c’è nell’opera di Mozart-Da Ponte, a un mendicante chiede una bestemmia in cambio di una moneta. Il povero rinuncia. Don Giovanni gli dice di tenersela lo stesso per amore dell’umanità. Insomma c’è in lui il bestemmiatore che sfida il divino e quest’amore, che non è solo per le femmine ma è il piacere dell’edonismo e il gusto dell’immanente».

Quel che è certo, è che Luca Micheletti ha una bella voce ma è un fior di giovane intellettuale e parla da regista. E racconta di un suo spettacolo che lega le Scene dal Faust di Schumann a Goethe. Si possono fare tre mestieri a livelli alti? «La sfida è questa». Lei è un cantante che recita o un attore che canta? «Direi che sono un attore che canta. Il mio approccio nasce dal dato teatrale. E anche cronologicamente… Come attore non potrei mai smettere, le mie regie le capisco quando sono sul palco, ho bisogno di abitarlo dal di dentro per comprendere cosa si sta creando».

Alla musica è arrivato «un po’ per caso, dieci anni fa, quando per il film sui Pagliacci di Bellocchio andai a lezione da Mario Malagnini, che mi incoraggiò». È il cortometraggio che andò alla Settimana della critica della Mostra di Venezia. «Doveva essere un film, poi Lucia Ragni che era nel cast, morì e Bellocchio lo rimontò come corto».

Ora c’è Karamazov. Dei tanti temi messi in campo da Dostoevskij, predilige «il rapporto con Dio, ma nella nostra ricostruzione, che considero uno spin off del romanzo, è centrale il rapporto con la memoria, era necessaria una lente per selezionare temi di un unico personaggio, Ivan; ma la memoria è anche quella di Orsini che frequenta questo testo da 50 anni». Ha fatto La vedova allegra, «una buona scuola per non prendersi troppo sul serio». Ma l’operetta è una faccenda seria all’estero. «Nel Misantropo si dice che non è cosa da poco far ridere la gente perbene. Per non prendersi sul serio va fatto un lavoro serio».

Resta un mistero da dove sia sbucato il baritono-attore-regista Luca Micheletti. «Forse dipende dal fatto che la prosa, da cui provengo, è un piccolo mondo, come regista avrò fatto ottanta spettacoli. Ma ha una portata minore dell’opera, che è internazionale». Lei è bulimico? «Nelle famiglie teatrali in passato si faceva tutto. Sembra che voglia fare troppo, in realtà cerco di scegliere». Stavamo dimenticando che traduce e riadatta, Molière, Kafka, Brecht, Ibsen…

© RIPRODUZIONE RISERVATA

10 ottobre 2022 (modifica il 10 ottobre 2022 | 21:20)

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, 2022-10-10 19:28:00,

di Valerio Cappelli

Atteso alla Scala in tre opere, sarà Don Giovanni con Riccardo Muti, ora regista per Umberto Orsini al Piccolo, poi attore nel Misantropo di Ruth Shammah al Franco Parenti. «Sono erede di artisti girovaghi che sapevano fare tutto».

Luca Micheletti, cantante lirico, attore, regista :«Sto sempre sul palcoscenico»

Luca Micheletti, ma da dove è sbucato? Sorride: «La stessa domanda me l’ha fatta Cristina Muti quando mi ha preso come Jago nel suo Otello al Ravenna Festival». Lì conobbe Elisa Balbo, il soprano che ha sposato: «Lei era Desdemona, io Jago, abbiamo cambiato la vicenda!». Bresciano, 37 anni appena compiuti, ha così tanti impegni da far venire il mal di testa. E tutti di primo piano.

A Milano è regista di Le memorie di Ivan Karamazov con Umberto Orsini che ha appena aperto il Piccolo; attore, sarà nel Misantropo di Molière per Andrée Ruth Shammah al Franco Parenti; e cantante, nel Concerto di Natale diretto da Zubin Mehta alla Scala. Dove poi è atteso da tre opere: Vespri Siciliani, La Bohème, Le nozze di Figaro.

Appartiene a una famiglia d’arte. Viene dalla direzione della compagnia teatrale I Guitti che suo padre fondò negli anni 70, le cui origini, intese come carro di Tespi e teatro nomade, nella sua famiglia risalgono a quattro avi fa, a fine ’800. «Lo considero un laboratorio che riporta a un teatro popolare, girovago, quasi zingaresco». Povero, laterale, popolare ma sconosciuto ai borghesi, girava in provincia di piazza in piazza, un sapore circense: «Si faceva repertorio italiano, Le due orfanelle, oppure D’Annunzio. Per quattro generazioni la mia famiglia non ha interrotto questo percorso di sangue, io non l’ho vissuto nella sua forma originale perché non esiste più, ma ho partecipato a quei riti, a 5 anni mio padre mi fece debuttare come clown in una Bisbetica domata ambientata al circo».

Il clou il 18 novembre al Regio di Torino quando sarà Don Giovanni con Riccardo Muti:«Mi colpisce la sua enorme sapienza teatrale, oltre che musicale, un musicista sommo con una straordinaria capacità di visione drammaturgica». Chi è Don Giovanni per lei? «Non è solo un donnaiolo, tutti i miti si compongono della somma delle loro varianti, può essere mille cose. Anche nella prosa è sfuggente, rasenta la frammentarietà. Chiara Muti mi dirà la sua regia, la mia idea è di un filosofo materialista e di un uomo che lotta con Dio prima che con altri, in modo scanzonato e consapevole. In Molière, cosa che non c’è nell’opera di Mozart-Da Ponte, a un mendicante chiede una bestemmia in cambio di una moneta. Il povero rinuncia. Don Giovanni gli dice di tenersela lo stesso per amore dell’umanità. Insomma c’è in lui il bestemmiatore che sfida il divino e quest’amore, che non è solo per le femmine ma è il piacere dell’edonismo e il gusto dell’immanente».

Quel che è certo, è che Luca Micheletti ha una bella voce ma è un fior di giovane intellettuale e parla da regista. E racconta di un suo spettacolo che lega le Scene dal Faust di Schumann a Goethe. Si possono fare tre mestieri a livelli alti? «La sfida è questa». Lei è un cantante che recita o un attore che canta? «Direi che sono un attore che canta. Il mio approccio nasce dal dato teatrale. E anche cronologicamente… Come attore non potrei mai smettere, le mie regie le capisco quando sono sul palco, ho bisogno di abitarlo dal di dentro per comprendere cosa si sta creando».

Alla musica è arrivato «un po’ per caso, dieci anni fa, quando per il film sui Pagliacci di Bellocchio andai a lezione da Mario Malagnini, che mi incoraggiò». È il cortometraggio che andò alla Settimana della critica della Mostra di Venezia. «Doveva essere un film, poi Lucia Ragni che era nel cast, morì e Bellocchio lo rimontò come corto».

Ora c’è Karamazov. Dei tanti temi messi in campo da Dostoevskij, predilige «il rapporto con Dio, ma nella nostra ricostruzione, che considero uno spin off del romanzo, è centrale il rapporto con la memoria, era necessaria una lente per selezionare temi di un unico personaggio, Ivan; ma la memoria è anche quella di Orsini che frequenta questo testo da 50 anni». Ha fatto La vedova allegra, «una buona scuola per non prendersi troppo sul serio». Ma l’operetta è una faccenda seria all’estero. «Nel Misantropo si dice che non è cosa da poco far ridere la gente perbene. Per non prendersi sul serio va fatto un lavoro serio».

Resta un mistero da dove sia sbucato il baritono-attore-regista Luca Micheletti. «Forse dipende dal fatto che la prosa, da cui provengo, è un piccolo mondo, come regista avrò fatto ottanta spettacoli. Ma ha una portata minore dell’opera, che è internazionale». Lei è bulimico? «Nelle famiglie teatrali in passato si faceva tutto. Sembra che voglia fare troppo, in realtà cerco di scegliere». Stavamo dimenticando che traduce e riadatta, Molière, Kafka, Brecht, Ibsen…

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10 ottobre 2022 (modifica il 10 ottobre 2022 | 21:20)

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, Valerio Cappelli

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