Qualche giorno fa ci ha lasciati Luca Serianni. Finalmente, quotidiani e media di ogni genere, in occasione della scomparsa di un grande rappresentante della cultura del nostro Paese, ne hanno dato la dovuta evidenza. Finalmente, gli interrogativi sugli accenti da porre sulle parole, i quesiti sul modo corretto o meno di usare queste ultime, per esprimere un pensiero o un sentimento hanno preso il posto sui raduni musicali estivi in corso in varie parti della penisola. Finalmente, un modello di docente, unanimamente apprezzato e, ancor più, amato da studenti e dagli stessi colleghi, ha cacciato dalle prime e seconde pagine dei giornali le foto e i titoli di uomini della politica e del mondo degli affari.
Che miracolo è questo? Ha un nome: Luca Serianni, professore emerito di storia della lingua italiana nella Sapienza, Università di Roma, Accademico della Crusca e dei Lincei, autore di numerosi libri, di grammatiche per le scuole e di approfondimento culturale della storia della lingua italiana e delle norme d’uso della stessa.
Si deve a T. S. Eliot l’affermazione secondo la quale “Ogni evoluzione vitale nel linguaggio è anche una evoluzione del sentimento”. Parole che rimandano al titolo di uno degli ultimi lavori di Luca Serianni, “Il Sentimento della lingua”, dal quale traggo una delle più significative e illuminanti risposte date al collega e suo antico “scolaro”, Giuseppe Antonelli, con il quale dialoga. Alla domanda che questi gli pone su cosa può fare un linguista per la scuola e per l’Università, Serianni risponde: “Nel caso della lingua italiana, avverto anche l’esigenza di un certo impegno civile: diffondere la padronanza della lingua e della sua storia è un modo per rafforzare il senso di appartenenza a una comunità”. Parole che suonano coerenti con quelle pronunciate circa cinque anni fa, quando alla Sapienza tenne la sua ultima lezione prima di andare in pensione. “Quando mi rivolgo a voi – disse agli studenti – è come mi rivolgessi allo Stato”.
Oltre gli accenti e la scelta delle parole e la costruzione di un periodo; oltre i dialetti, gli anglicismi, le norme linguistiche è forse la parola a rivendicare il suo primato. La scelta delle parole nell’uso di una lingua manda la luce su quella che si può definire una visione del mondo e della vita.
Quando Luca Serianni parlava e si rivolgeva ad un amico o ad uno studente dava la sensazione di scegliere e di bilanciare con naturalezza le parole. Ho avuto la fortuna di essergli amico e di dialogare con lui intorno ai tavoli del Ministero dell’istruzione, prima; successivamente, a quelli della Fondazione Bellonci e della Società Dante Alighieri, Istituzioni alle quali ha dedicato parte notevole dei suoi impegni culturali e scientifici.
La parola come modo nobile d’essere e di vivere con gli altri, la parola come moto dell’animo e della mente, la parola che non deve morire sotto la penna, a dispetto di ciò che ha sostenuto Goethe, ma deve dare e può dare libertà ed espressività compiuta, quando non è presa a caso. Credo che Luca Serianni, che ha dimostrato di interrogarsi non solo “da cosa deriva una certa parola, ma anche su come ci si arriva, attraverso quale trafila” condividerebbe queste notazioni. Ha meritato tanto Luca Serianni in ammirazione, onori e virtù civili, ma dal mio “dossier dell’amicizia” non escluderò quella gran voglia di vivere e abitare nei piani alti la cultura, indossandola come stile di vita e come ricerca continua della bellezza.
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, , Pubblicato da Antonio Augenti
Qualche giorno fa ci ha lasciati Luca Serianni. Finalmente, quotidiani e media di ogni genere, in occasione della scomparsa di un grande rappresentante della cultura del nostro Paese, ne hanno dato la dovuta evidenza. Finalmente, gli interrogativi sugli accenti da porre sulle parole, i quesiti sul modo corretto o meno di usare queste ultime, per […]
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