di Aldo Grasso
Una mezz’ora al giorno di Fiorello, dalle 23,30 a mezzanotte, sarebbe uno dei metodi più efficaci per restituire un po’ di rilassatezza a questo Paese
Non so se il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini stia provvedendo a porre sotto tutela il patrimonio artistico di Rosario Fiorello. Se non ci ha ancora pensato, si sbrighi. Non so se l’ad della Rai Carlo Fuortes stia provvedendo a mettere sotto contratto Rosario Fiorello almeno per i prossimi dieci anni. Se non ci ha ancora pensato, si sbrighi. Una mezz’ora al giorno di Fiorello, dalle 23,30 a mezzanotte, sarebbe uno dei metodi più efficaci per restituire un po’ di rilassatezza a questo Paese, dopo il buio della pandemia e l’angoscia della guerra. Si chiama servizio pubblico. Quello che è unico in Fiorello (visto al Teatro degli Arcimboldi) non sono le sue battute, per quanto il dialogo improvvisato con uno spettatore sui guai della vecchiaia sia trascinante o la lettura testuale della canzone «Grande grande grande» («Con te dovrò combattere, non ti si può pigliare come sei, i tuoi difetti ecc») riferita a una donna che parla dell’organo sessuale maschile strappi applausi e risate.
Non sono le performance canore, per quanto cantare un testo di una canzone di Blanco imitando Domenico Modugno o trasformare Achille Lauro in Gigi D’Alessio siano momenti irresistibili. Non sono i suggerimenti «corretti» degli psicologi nei confronti dei giovani, a proposito di autostima, quando, ai suoi tempi, il padre di Rosario gli dava volentieri del cretino davanti a tutti, per quanto questa gag dovrebbe diventare materia d’insegnamento. L’unicità di Fiorello è rappresentata dall’essere un donatore naturale di serenità, non ha bisogno di strappare l’applauso, e strapparlo a qualunque costo, strizzandone tutti gli effetti immaginabili. No, anche quando si trucca con il codino dei tempi del karaoke mette lo spettatore in una condizione di beatitudine perché c’è la certezza che qualcosa arriverà, che il riso romperà gli argini della consuetudine. E con lui impareremo anche a ridere di noi stessi.
26 maggio 2022 (modifica il 26 maggio 2022 | 16:11)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-05-26 19:16:00,
di Aldo Grasso
Una mezz’ora al giorno di Fiorello, dalle 23,30 a mezzanotte, sarebbe uno dei metodi più efficaci per restituire un po’ di rilassatezza a questo Paese
Non so se il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini stia provvedendo a porre sotto tutela il patrimonio artistico di Rosario Fiorello. Se non ci ha ancora pensato, si sbrighi. Non so se l’ad della Rai Carlo Fuortes stia provvedendo a mettere sotto contratto Rosario Fiorello almeno per i prossimi dieci anni. Se non ci ha ancora pensato, si sbrighi. Una mezz’ora al giorno di Fiorello, dalle 23,30 a mezzanotte, sarebbe uno dei metodi più efficaci per restituire un po’ di rilassatezza a questo Paese, dopo il buio della pandemia e l’angoscia della guerra. Si chiama servizio pubblico. Quello che è unico in Fiorello (visto al Teatro degli Arcimboldi) non sono le sue battute, per quanto il dialogo improvvisato con uno spettatore sui guai della vecchiaia sia trascinante o la lettura testuale della canzone «Grande grande grande» («Con te dovrò combattere, non ti si può pigliare come sei, i tuoi difetti ecc») riferita a una donna che parla dell’organo sessuale maschile strappi applausi e risate.
Non sono le performance canore, per quanto cantare un testo di una canzone di Blanco imitando Domenico Modugno o trasformare Achille Lauro in Gigi D’Alessio siano momenti irresistibili. Non sono i suggerimenti «corretti» degli psicologi nei confronti dei giovani, a proposito di autostima, quando, ai suoi tempi, il padre di Rosario gli dava volentieri del cretino davanti a tutti, per quanto questa gag dovrebbe diventare materia d’insegnamento. L’unicità di Fiorello è rappresentata dall’essere un donatore naturale di serenità, non ha bisogno di strappare l’applauso, e strapparlo a qualunque costo, strizzandone tutti gli effetti immaginabili. No, anche quando si trucca con il codino dei tempi del karaoke mette lo spettatore in una condizione di beatitudine perché c’è la certezza che qualcosa arriverà, che il riso romperà gli argini della consuetudine. E con lui impareremo anche a ridere di noi stessi.
26 maggio 2022 (modifica il 26 maggio 2022 | 16:11)
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