L’uso pedagogicamente improprio delle filastrocche di Rodari. Lettera

L’uso pedagogicamente improprio delle filastrocche di Rodari. Lettera

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Inviato da Maurizio Parodi – In un mio recentissimo post dedicato all’anniversario della morte di Gianni Rodari, scrivevo: «Un grande innovatore ormai dimenticato o relegato nei libri di testo, addirittura trasformato in “compito” tedioso (la filastrocca da imparare a memoria): tristissimo epitaffio “pedagogico”».

Ne sono seguite contestazioni, ampiamente previste, così riassumibili: è importante allenare la memoria, perciò bisogna  imparare poesie e filastrocche, meglio se i testi, come nel caso di Rodari, sono divertenti.

Sul tema dei compiti a casa, inutili, dannosi, controproducenti, non mi attardo, rinviando ai libri che ho scritto sull’argomento (“Basta compiti: non è così che si impara”, Sonda; “Così impari: per una scuola senza compiti, Castelvecchi) e al sito: www.bastacompiti.it

Nel merito, invece, tengo a precisare:

– se riteniamo così importate l’esercizio della memoria (e lo è), perché non insegniamo, a scuola, le tecniche che aiutano a ricordare, le cosiddette “mnemotechiche”, delle quali una didattica ancora prevalentemente (penosamente) nozionistica si avvantaggerebbe di sicuro, smettendo di delegare allo studente e alla famiglia (sempre che la famiglia sia in grado di provvedere) l’acquisizione di strumenti metacognitivi essenziali ai fini del “successo scolastico”, superando, in tal modo, il principio aberrante per cui “a scuola si insegna e si impara (e si impara a imparare) a casa”;

– è facile constatare (tutti ne abbiamo fatto e/o ne facciamo esperienza) come l’attività anche più dilettevole rischi di diventare pedante, fastidiosa, addirittura repellente se imposta quale obbligo, nella fattispecie, scolastico – circostanza richiamata da Umberto Eco allorché spiegò che un “classico”, in letteratura, è immediatamente identificabile: «Facile: è un libro che tutti odiano perché sono stati costretti a studiarlo a scuola» (vale, anche in questo caso, il monito di Daniel Pennac: «Il verbo “leggere” non sopporta l’imperativo avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”, il verbo “sognare”»;

– più in generale, il problema è quello del “senso delle cose” scolastiche: perché si “deve” imparare un testo a memoria? A quale scopo? Una domanda che molto ha a che fare con la motivazione (quasi sempre estrinseca) della quale ben poco ci si cura; bisogna imparare a memoria la filastrocca perché lo ha deciso l’insegnante che evidentemente neppure si pone il problema della motivazione (intrinseca), talmente è autoreferenziale la didattica più assiduamente praticata.

Tutt’altro sarebbe, se l’imparare a memoria fosse necessario per svolgere un’attività di pregio cognitivo e affettivo, per realizzare un progetto appassionante, per soddisfare un bisogno reale o un desiderio condiviso; come accade nella vita “vera” laddove, per esempio, si voglia allestire uno spettacolo teatrale, eseguire una canzone o un musical, girare una fiction comedy, un documentario, un video… Tutte situazioni che potrebbero facilmente essere riproposte a scuola, profittando delle competenze già acquisiste dagli studenti, anche di altissima qualità tecnica, solitamente ignorate da una insegnamento cattedratico e meramente addestrativo.

Giusto per fare un esempio…

, 2022-04-19 16:43:00, Inviato da Maurizio Parodi – In un mio recentissimo post dedicato all’anniversario della morte di Gianni Rodari, scrivevo: «Un grande innovatore ormai dimenticato o relegato nei libri di testo, addirittura trasformato in “compito” tedioso (la filastrocca da imparare a memoria): tristissimo epitaffio “pedagogico”».
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