Ma al Meridione non bastano i soldi del Pnrr

Ma al Meridione non bastano i soldi del Pnrr

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politeia Mezzogiorno, 15 maggio 2022 – 08:30 Questi fondi consentono di recuperare alcuni gap infrastrutturali esistenti da decenni, ma non modifica in nulla gli altri deficit competitivi del Sud di Antonio Polito Basta avere più di sessant’anni per condividere il partecipe scetticismo – se così lo posso chiamare – con cui Aldo Schiavone ha giudicato, ieri su questo giornale, l’entusiasmo che sprizzava dalla prima giornata di lavori del Forum «Verso il Sud», organizzato dal governo a Sorrento. Chi ha quell’età, ed è dunque nato più o meno in coincidenza con la fine della fase espansiva caratterizzata dalla Cassa per il Mezzogiorno, ha già assaporato troppe volte il gusto della «convegnite» per poter credere a ciò che di solito promette. Poche cose come il Mezzogiorno sono state in Italia così ricche di studi, libri bianchi, proposte, seminari e convegni; e così povere di fatti. La stessa ambizione programmatica che anima questi simposi, che non si limitano a uno o due aspetti della crisi meridionale ma di solito spaziano sull’universo mondo dei suoi problemi, spinge inevitabilmente più a voli pindarici che a realizzazioni puntuali. Ma, esattamente come quello di Schiavone, anche il mio pessimismo è «partecipe»; nel senso che non è figlio di una disperazione, della convinzione che le cose non potranno qui mai cambiare; ma anzi, è più esigente proprio perché convinto che quest’area dell’Italia ha potenzialità e ricchezze, soprattutto di capitale umano, tali da potercela fare. Il convegno di Sorrento, poi, ha una credibilità indubbiamente superiore a molti di quelli che l’hanno preceduto per due ragioni: l’eccellenza del lavoro preparatorio di Studio Ambrosetti, condensata nel libro bianco che ha fatto da base al dibattito; e l’impegno al massimo livello del governo, testimoniato dalla presenza del premier Mario Draghi, che è di per sé una garanzia di serietà. Detto questo, a mio parere, ha avuto toni troppo ottimistici su due punti. Il primo riguarda le virtù taumaturgiche del Pnrr. Che certamente ci sono, perché era appunto dai tempi della Cassa che lo Stato non investiva più di 80 miliardi di risorse pubbliche nel Mezzogiorno; e questo può davvero consentire di recuperare alcuni gap infrastrutturali esistenti da decenni, come per esempio il trasporto ferroviario ad alta velocità tra la costa tirrenica e quella adriatica, tra Napoli e Bari. Ma non modifica in nulla gli altri deficit competitivi del Sud, forse altrettanto importanti, se non di più: dalla formazione della forza lavoro giovanile, alla qualità dell’amministrazione pubblica, dal livello sconfortante del governo locale alla carente auto-organizzazione della società meridionale, dalla corruzione sempre dilagante alla malavita tuttora imperante. Ovviamente non sono cose di cui si possa occupare il Prrr. Ma sono precondizioni perché il Pnrr possa funzionare. È bene che non dimentichiamo mai questo gap strutturale, perché, finché dura, non basterà immettere quote sempre crescenti di soldi pubblici nel sistema per farlo funzionare. La seconda pecca di eccessivo ottimismo sta nella speranza che la nuova fase geopolitica aperta dalla guerra all’Ucraina rilanci una centralità del Mediterraneo, stavolta in chiave energetica, perché è da lì che passeranno gli approvvigionamenti futuri, man mano che il governo Draghi riuscirà nella sua opera forse più “storica”: liberarci dalla dipendenza dal gas russo, colpevolmente aggravata da tutti i governi precedenti, in particolare dal 2014 in poi. Questo tema della centralità del Mediterraneo ritorna a ondate: si disse già che la globalizzazione di ritorno, con l’incremento delle esportazioni asiatiche, aveva rimesso al centro il Canale di Suez e il Mediterraneo. Ma, come sappiamo, quel traffico non è andato né a Napoli né a Gioia Tauro, ma ad Amsterdam e Amburgo. E poi: attenti, perché l’industria energetica è la meno adatta a creare ciò di cui più abbiamo bisogno; e cioè un indotto, una forza lavoro duttile e tecnologica, una diffusione del reddito, una classe media attiva e imprenditrice. Ma queste mie sono osservazioni per così dire tecniche, che possono anche rivelarsi – e io me lo auguro – infondate alla prova dei fatti. Ciò che più conta è altro. E a moderare l’ottimismo della prima giornata ci ha pensato nella seconda Daniele Franco, il ministro del Tesoro che per indole e per funzione è quasi tenuto a un certo pessimismo della ragione. Franco ci ha infatti ricordato la gravità del ritardo accumulato dal Sud, e ci ha detto che i sei anni del Pnrr non basteranno a colmarlo: «Il Piano consentirà la ricostruzione, ma intorno a ogni intervento del Pnrr c’è una filiera che deve essere attivata». Ecco il punto. Ed ecco perché questo realismo contrasta un po’ con l’entusiasmo – per carità, apprezzabile – che aveva spinto la ministra per il Mezzogiorno Carfagna a dichiarare: «Dimenticatevi il Sud che è esistito fino a ieri. Ne sta nascendo un altro». Inoltre, nel caveat di Franco si nasconde anche un’insidia politica. Sei anni per spendere i soldi del Pnrr sono pochi per recuperare il gap meridionale, ma allo stesso tempo sono un’enormità, una vera e propria era geologica per la politica italiana. Già tra un anno al posto del governo Draghi e della sua impostazione chiaramente indirizzata a puntare sul Sud, anche destinandogli proporzionalmente più risorse che al resto del Paese, potrebbe dover lasciare la mano a un altro governo. E questo governo potrebbe avere idee e sensibilità diverse, se consideriamo che almeno due delle quattro maggiori forze politiche o sono alquanto indifferenti al Sud, o ne hanno una visione assistenzialistica. La Lega perché è un partito nato al Nord per il Nord; i Cinquestelle perché sono un movimento nato per distribuire denaro pubblico (dal reddito di cittadinanza ai bonus) senza alcuna su come produrlo. Il lavoro di lunga lena che sarebbe necessario è dunque ancora una volta esposto, già dal prossimo anno, alle incertezze e contraddizioni del ciclo elettorale italiano. Senza contare ciò che accadrà tra sei anni. In conclusione: non esiste una visione comune dello sviluppo del Mezzogiorno nel nostro parlamento e nella stessa cultura politica dei partiti che lo compongono. Questo rende estremamente difficile compiere un’operazione decennale e di impegno nazionale come quella che la Germania seppe fare con il suo Est, o anche come quella che i governi De Gasperi realizzarono in Italia con la Cassa del Mezzogiorno. I soldi del Pnrr sono benedetti ma non basteranno. Perciò meglio render conto ai cittadini meridionali di quanto sia imponente l’opera e di quanto sia necessario il loro impegno e la loro partecipazione perché abbia successo; piuttosto che illuderli ancora una volta sull’esistenza della bacchetta magica, anche se stavolta affidata a mani certamente più esperte, oneste e capaci. 15 maggio 2022 | 08:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-15 06:31:00, Questi fondi consentono di recuperare alcuni gap infrastrutturali esistenti da decenni, ma non modifica in nulla gli altri deficit competitivi del Sud,

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