scienza e parole
di Peppe Aquaro 05 giu 2022
Da una parte, il filosofo; dall’altra la meteorologa e climatologa. Entrambi presenti nell’incontro di questa domenica mattina, 5 giugno, ai Giardini della Guastalla, nel cuore di Milano. Cosa ci fanno Telmo Pievani (filosofo della scienza, evoluzionista, comunicatore e saggista) e Serena Giacomin (meteorologa professionista – Meteo Expert – e presidente di “Italian Climate Network”) ospiti di “Agire per il clima”, titolo della due giorni di Pianeta 2030 del Corriere della Sera, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente? Il filosofo è stato invitato a parlare dell’impatto dell’uomo sul Pianeta, mentre alla climatologa è spettato il compito fare le dovute differenze tra clima e meteo.
Nel primo appuntamento di “Agire per il clima”, la maratona di due giorni voluta da Pianeta 2030 di Corriere.it, per la Giornata mondiale dell’Ambiente, il filosofo Telmo Pievani e la climatologa Serena Giacomin parlano del rapporto tra l’uomo e il Pianeta
Tutto questo sulla carta: perché, attraverso le parole dei due ospiti apparentemente diversi, visione dell’uomo e del clima non sono mai andati così d’accordo. Perfino nel tempo. E poco prima che la musica ecologica suonata da Capone & Bungt Bangt, con strumenti riciclati, da pura materia seconda, prendano il sopravvento sulle parole, c’è tempo per parlare di antropocene, ascoltando il filosofo della scienza, Telmo Pievani, autore di Viaggio nell’Italia dell’antropocene.
La carta d’identità dell’Antropocene
Una bella parola, l’Antropocene, «tirata in ballo ogni qualvolta si parla del rapporto tra uomo e natura: ma che cosa si intende per antropocene e quale può essere considerata la sua data di nascita», si chiede Edoardo Vigna, responsabile editoriale di Pianeta 2030 e uno dei due conduttori, con Andrea Laffranchi, sempre del Corriere, della maratona di due giorni in presenza e in streaming. «L’Antropocene? E’ una parola nata quasi per scherzo e al momento giusto. Se dovessimo cercare delle origini lontane nel tempo, potremmo risalire agli anni ’70 del 1800, quando l’abate Stoppani parlava di era antropozoica. Ma è soltanto nel 2002, con lo scienziato e premio Nobel per la chimica, Paul Crutzen, inviato ad una convention tra scienziati, in Messico, che la parola viene sdoganata. In modo perentorio e sbottando davanti a tutti: “Basta, da ora in poi si parla di Antropocene. E’ la nostra era”», risponde Pievani. Fine della storia. Per niente. Perché: «Da allora sono passati 20 anni, ma l’antropocene non è ancora stato inserito nelle Tavole delle ere geologiche. La mia idea era di farlo iniziare un paio di secoli fa, con l’addio del sistema agricolo. E lo stesso Crutzen era dell’idea di farlo iniziare nel 1800 con l’avvio delle macchine a carbone. Entrambe le ipotesi, però, sono state bocciate», aggiunge il filosofo. Tutti d’accordo, però, su una data: il 1945. Sì, alla fine della Seconda Guerra mondiale. Con il lancio della prima bomba atomica e con tutti gli esperimenti nucleari, più di 500, fino al 1963.
Correva l’anno 1610 (con zero Co2)
«Il motivo è presto detto: tra 10 milioni di anni, quando altri scienziati dovranno studiare geologicamente le nostre era, potranno trovare il cosiddetto ‘Chiodo geologico” proprio in quegli anni», spiega Pievani, il quale, da buon filosofo della scienza, riargomenta il tutto. «E’ però anche vero che fare iniziare l’Antropocene dal ’45 ti fa capire che l’uomo ha contribuito a cambiare il Pianeta da sempre, ma ciò che è accaduto in questi ultimi 77 anni è soltanto la presentazione del conto». E c’è ancora dell’altro. «Sì, esiste un’altra teoria, portata avanti da alcuni scienziati anglosassoni, secondo i quali l’antropocene sarebbe nato nel 1610. Perché? In quell’anno la Co2 sarebbe avrebbe raggiunto il punto più basso. Ma non era una bella notizia. Quel clima assolutamente fresco e pulito era dovuto agli effetti della colonizzazione delle Nazioni europee nell’America del Sud: quando furono uccise 50 milioni di persone e la foresta si riappropriò delle terre fino ad allora coltivate dalle popolazioni indigene. Un effetto che si può leggere ancora oggi nelle carote di ghiaccio dell’Antartide».
Alla ricerca di nuovi modelli
Secondo Pievani, l’origine dell’Antropocene al 1610, sottolinea un aspetto importante: quello della diseguaglianza sociale. «Quel cambiamento climatico, apparentemente in positivo, non era altro che il frutto di una oppressione e genocidio di un popolo. In pratica, il conto dei danni dell’Antropocene, o del cambiamento climatico, da quattro secoli fa fino ad oggi, non sarà pagato solo da noi: l’80 per cento degli effetti sarà pagato da chi ha contribuito con meno del 5 per cento al problema. Ecco allora che occorrerebbe una transizione non solo energetica ma anche dell’equità sociale». Infine, il filosofo lancia un assist perfetto a Serena Giacomin, meteorologa e climatologa, pronta a prendere la parola dopo di lui e prima dell’esibizione musicale, ma anche con tante parole, di Cristiano Godano: «Essere nell’anno 77 dell’Antropocene, la sfida dei prossimi decenni per l’Antropocene è realizzare modelli per capire come la crisi climatica aumenta il rischio pandemico, in quanto il riscaldamento climatico genera insicurezza e conflitti. Cose che sanno benissimo le grandi potenze del mondo, le quali hanno messo il “Climate change” nei grandi rischi globali sulla sicurezza».
Occhio al punto 17 dell’Agenda Onu
Infine, un occhio ai 17 Goal dell’Agenda Onu, per la quale se è vero che il punto 13, quello sul climate change è tra i più conosciuti, è anche vero che il punto 17 dice: “Dopo aver affrontato i primi 16 ricordatevi che dovete collegare tutti gli altri. Per la serue, con l’antropocene, che è nel 17, occorre imparare le connessioni tra le varie crisi. Per affrontare il futuro. L’assist alla Giacomin è presto detto, a proposito delle differenza tra clima e meteo: «La meteorologia raccoglie i dati dall’atmosfera e grazie a calcoli e modelli matematici riesce a calcola fino a quattro giorni di distanza al massimo, che tempo farà. Il clima, invece, per stabilire una variabile climatica ha bisogno di 30 anni di dati degli anni trascorsi», ricorda Giacomin, che aggiunge: «Ma il punto chiave è che un singolo fenomeno meteo non stabilisce una tendenza climatica. Anche se queste ondate di caldo si inseriscono in una tendenza conclamata in cui le estati sono sempre più lunghe e più calde».
Come raccontare il “Climate change”
Per quanto riguarda, invece, la tendenza negazionista suo riscaldamento globale, l’esperta risponde con ottimismo contenuto: «La gente è ormai più consapevole dell’esistenza del problema. Ma una sorta di negazionismo c’è ancora. E dovemmo ricordarcene maggiormente. Michael Mann, il famoso climatologo, parla di inattivismo che è una tendenza ancora più pericolosa. E allora, dovremmo mantenere l’attenzione alta perché così potremo affrontare meglio i cambiamenti sociali ed economici». Infine, Giacomin commentando quali siano i modi più appropriati per comunicare il Climate change, porta l’attenzione a un aspetto psicologico: «Spesso il cambiamento climatico viene narrato con toni minacciosi, ma non va bene così. Dovremmo comunicare anche le azioni positive e costruttive per migliorare la nostra percezione. Perché se è vero che il cambiamento climatico è sempre esistito, è altrettanto vero ricordarci che il problema vero è la rapidità con cui sta cambiando». E Maurizio Carucci, musicista e fondatore del progetto agricolo, “CAscina Barban”, prima di salire sul palco (è lui l’ultimo ospite della mattinata di Pianeta 2030 ai Giardini della Guastalla) annuisce, prendendo il microfono e parlando di sé: tra musica e sostenibilità. «Un bell’impegno, in un mondo sempre più veloce come quello di oggi», conclude Andrea Laffranchi. E ricomincia la musica.
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, 2022-06-05 11:55:00, Nel primo appuntamento di “Agire per il clima”, la maratona di due giorni voluta da Pianeta 2030 di Corriere.it, per la Giornata mondiale dell’Ambiente, il filosofo Telmo Pievani e la climatologa Serena Giacomin parlano del rapporto tra l’uomo e il Pianeta, Peppe Aquaro