Una maestra di scuola primaria, Ilaria Salis, 39 anni milanese, si trova rinchiusa da circa 1 anno nel carcere di massima sicurezza di Budapest, in condizioni detentive gravi. Il padre lancia l’appello per far luce su ciò e che sta vivendo la figlia.
La storia è raccontata da La Repubblica, che evidenzia come la condizione detentiva della giovane insegnante vede “topi e scarafaggi in cella, cibo scarso, meno di 3 metri e mezzo di spazio vitale a disposizione, l’umiliazione di essere trascinata alle udienze “legata e tenuta al guinzaglio da un agente della scorta”.
La donna è accusata di aver aggredito due neonazisti durante il Giorno dell’Onore, una commemorazione (non autorizzata ma tollerata dal governo Orban) che ogni 11 febbraio riunisce a Budapest centinaia di adoratori di Hitler. Le viene contestato anche di essere legata a Hammerbande, il gruppo tedesco che si propone di «assaltare i militanti fascisti», anche se in realtà lei i suoi familiari negano alcun coinvolgimento.
Il 29 gennaio si apre il processo, rischia fino a 16 anni. L’imputata si dichiara innocente.
Il padre ha scritto alle massime cariche italiane perché intervengano. Non per sottrarre la figlia al tribunale di Budapest, ma per tutelarne i diritti («cosa hanno fatto gli organi consolari per evitare la violazione dei diritti civili subiti da Ilaria?», chiede nella lettera), per proteggerne l’integrità («quali rimostranze ufficiali sono state presentate alle autorità ungheresi?»), per pretendere proporzionalità nel capo di imputazione («16 anni per due episodi di lesioni, guariti in 5 e 8 giorni: quali azioni diplomatiche sono state fatte per riportare le accuse all’effettiva gravità dei fatti?»). Per sperare, infine, nel trasferimento ai domiciliari in Italia.
Infatti, “il criterio di proporzionalità qui è completamente infranto“, spiegano gli avvocati difensori, Eugenio Losco e Mauro Straini. “In Italia per lessioni si procede solo dietro querela e con pena massima di 4 anni. A Ilaria è stato proposto un patteggiamento di 11 anni (l’ha rifiutato, ndr) da scontare in un carcere di alta sicurezza, è quasi il triplo della pena massima applicabile dal codice italiano“, riferiscono i legali della maestra al quotidiano, che riporta altri dettagli sulla condizione che vive in Ungheria:
“Mi sono trovata senza carta igienica, sapone e assorbenti (perché sfortunatamente avevo anche il ciclo) fino al 18 febbraio“; “sono stata costretta a indossare abiti sporchi e un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia, ho dovuto partecipare all’udienza di convalida così abbigliata“;
“Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica”, “oltre alle manette qui ti mettono un cinturone di cuoio con una fibbia a cui legano le manette, anche i piedi sono legati tra loro: due cavigliere chiuse con due lucchetti e unite tra loro da una catena di 25 centimetri. Poi mettono un’ulteriore manetta a un solo polso, a cui è fissato un guinzaglio di cuoio tenuto in mano dall’agente della scorta, si rimane legati così durante tutta l’udienza e l’esame svolto dall’antropologo“, conclude la giovane.
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Autore dell’articolo redazione