Malcolm X compie 30 anni: un biopic tanto atteso, ma forse troppo oleografico

Malcolm X compie 30 anni: un biopic tanto atteso, ma forse troppo oleografico

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di Filippo Mazzarella

Un film attesto da anni, ma dove Spike Lee non riuscì a rispondere alle attese

Il 17 novembre 1992, Spike Lee presentò al mondo il suo sesto e fluviale lungometraggio: “Malcolm X”, il primo realizzato ad alto budget dopo una serie di trionfi indipendenti che ebbe il suo apice nel 1989 con “Fa’ la cosa giusta”. Tre ore e ventidue minuti di studio sulla figura politica di Malcolm Little (1925-1965), centrale per la cultura afroamericana degli anni Sessanta, che aveva sostituito la X al suo cognome eliminandolo in virtù del fatto che fosse eredità dello schiavismo.

Nella sua breve e controversa esistenza, Malcolm X portò alla loro maggior visibilità le teorie del NOI (Nation Of Islam), movimento nato negli anni Trenta allo scopo di sensibilizzare la popolazione di colore a riabbracciare religione e tradizioni primigenie e creare all’interno degli Usa una nazione parallela completamente nera e filoislamica, diventando (con Martin Luther King, a lungo considerato più suo rivale che suo sodale) uno dei massimi esponenti della rivendicazione dei diritti civili degli afroamericani. Ebbe un’infanzia e un’adolescenza complicate, che lo portarono nel 1946 a una condanna per furto: e fu nel carcere di Charlestown, Boston, che intercettò le teorie suprematiste del NOI e si convertì all’Islam per poi, una volta scarcerato, nel 1952, entrare a far parte dell’organizzazione. Il suo nome salì definitivamente alla ribalta nel 1957, quando radunò centinaia di persone di fronte alla stazione di polizia di New York dove le autorità negavano si trovasse Johnson Hinton, membro del NOI picchiato e arrestato, e riuscì a far trasportare l’uomo, gravemente ferito, in un ospedale. Da quel momento, divenne (anche) uno scomodo fenomeno mediatico; e le sue idee radicali culminarono in un famoso discorso in cui dichiarò che i neri degli Stati Uniti dovevano lottare per i loro diritti «con tutti i mezzi necessari».

Ma la sua stella brillò per poco. Diviso in tre parti, il film rende conto di tutti questi eventi (prendendosi ampie -e contestate- libertà): dalla turbolenta gioventù agli anni del carcere, dalla rimessa in discussione personale come attivista pubblico alla sua relazione con l’educatrice Betty Shabazz, dalla violenta scissione con la Nation Of Islam al suo assassinio (con ogni probabilità voluto e perpetrato dagli stessi ex compagni, con la CIA di supporto) all’Audubon Ballroom di Harlem il 21 febbraio 1965. Può sembrare paradossale che, nel non remoto 1992, la difficoltà di raccontare storie di neri a Hollywood fosse ancora così persistente: ma “Malcolm X” è e resta innanzitutto, a posteriori, un film che in filigrana restituisce limpidamente quello stato delle cose. I rappresentanti dell’industria più temeraria tentarono infatti senza successo per almeno due decenni di portare sullo schermo l’autobiografia di X uscita nel 1965: tanto che il produttore Marvin Worth ne aveva acquisito i diritti già dal 1967, anche se non riuscì nell’immediato a concretizzare il progetto e per ripiego produsse nel 1972 il documentario di Arnold Perl (candidato all’Oscar) “Malcolm X: His Own Story As It Really Happened”. Fu solo grazie al coinvolgimento nell’operazione di Spike Lee (subentrato a Norman Jewison nel 1990), che lavorò con Arnold Perl sui resti della vecchia sceneggiatura originale dello scrittore James Baldwin, che il film entrò finalmente in produzione.

Ma Lee ebbe mille problemi: le minacce private del leader Louis Farrakhan, l’ostilità di esponenti della cultura nera (come il commediografo Amiri Baraka, che lo derise pubblicamente), gli scontri sul budget con la Warner (che lo portarono a investire due dei tre milioni di dollari del suo compenso per finanziare le riprese, coinvolgendo poi VIP come Prince, Janet Jackson e Oprah Winfrey per complementari iniezioni di liquidità). E, alla fine, la montagna partorì un topolino. Malgrado un cast di prim’ordine, con Denzel Washington come punta di diamante nel ruolo del protagonista (e Angela Bassett come Betty Shabazz, Al Freeman jr. come il predicatore Elijah Muhammad, lo stesso Lee nel ruolo dell’amico d’infanzia di Malcolm, Shorty; e un nutrito elenco di comprimari tra cui Delroy Lindo, Giancarlo Esposito e Christopher Plummer), lo stile che il regista volle adottare per il biopic era quanto di più lontano dalla sua incendiaria e pungente verve degli esordi: e nell’epoca in cui film-fiume come “JFK – Un caso ancora aperto” di Oliver Stone sembravano dettare norme per il cinema “civile”, anche Lee si lasciò trascinare dalla magniloquenza, rifacendosi a modelli (come Coppola o Scorsese; quest’ultimo non a caso ne produsse poi “Clockers”) che il “suo” pubblico faticò a perdonargli.

Incorniciò così il suo capolavoro mancato nel contemporaneo (la sequenza d’apertura monta filmati autentici dell’incidente Rodney King e un’immagine della bandiera americana in fiamme; quella di chiusura vede Nelson Mandela -all’epoca appena scarcerato – rivolgersi a giovani studenti sudafricani utilizzando le stesse parole di Malcolm X); ma rimase vittima, nella struttura portante, di un’oleografia inattesa, oltreché di una verbosità capace sulla lunga distanza di ritorcersi contro qualsiasi tentativo di presa di posizione “laterale” verso quella cultura dell’entertainment dominata dallo sguardo e dall’ipocrisia dei “bianchi”. Finendo col realizzare quello che resta storicamente una sorta di film-matrice da cui discendono buona parte dei ben più focalizzati progetti odierni di cinema “black”; ma anche un esempio (negativo e ambiguo) della sua incapacità (accidentale?) di sintetizzare una forma capace di neutralizzare e trascendere quella del “nemico”. Per una volta, l’Academy ci vide giusto: e “punì” un film che avrebbe dovuto apertamente giocarle contro ma che poi si era ipocritamente rivelato “studiare da Oscar”, con due sole nomination: quella agli straordinari costumi di Ruth E. Carter e quella (scontata) per il miglior attore a Denzel Washington (ma il premio gli fu scippato da Al Pacino per “Scent of a Woman”).

17 novembre 2022 (modifica il 17 novembre 2022 | 11:42)

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