di Marco BrunaLa scrittrice Usa: il Paese guidato da Zelensky ci ricorda l’immenso valore di una vita umana perduta Dobbiamo pensare al bene di chi verrà dopo di noi «Ci siamo illusi di conoscere il nostro destino, oggi dobbiamo ripensarlo drammaticamente. Dio benedica gli ucraini, continuano a insegnarci quanto sia immenso il valore di una vita umana perduta». Marilynne Robinson, scrittrice amata da Barack Obama — che oltre ad averle consegnato la National Humanities Medal la intervistò di persona nel 2015 in Iowa —, non riesce a nascondere il proprio dolore di fronte alla distruzione dell’Ucraina. Candidata più volte al Premio Nobel, vincitrice di un Pulitzer per Gilead (2004), primo volume di una tetralogia completata da Casa (2008), Lila (2014) e Jack (2020, tutti editi da Einaudi), Robinson è l’autrice contemporanea più religiosa d’America, narratrice della provincia e delicata ritrattista di vite ordinarie, indagatrice dei misteri che si nascondono nelle persone e nelle cose. «Viviamo sotto il peso di decisioni prese da generazioni precedenti; dobbiamo fare un passo indietro per il bene di chi verrà dopo di noi, perché non continui a subire le conseguenze di scelte drammatiche», racconta Robinson in collegamento su Zoom con il Corriere dalla sua casa nello Stato di New York. La guerra cambia le nostre vite, le nostre parole. Cambierà anche la letteratura? «La cultura russa è amata nel mondo: siamo abituati a collocare Dostoevskij in una categoria e Putin in un’altra, allo stesso modo in cui separeremmo Walt Whitman da Donald Trump. Il risentimento nei confronti della popolazione russa, in particolare in Europa, è il risultato di una paura diffusa. Il mondo è diventato improvvisamente un posto pericoloso. Oggi parliamo della possibilità di un conflitto atomico, è annichilente. Putin continua a raccontare bugie al suo popolo per convincerlo a sostenere l’invasione dell’Ucraina, sapendo che se i russi conoscessero la verità gli volterebbero le spalle. La Russia è migliore di come l’ha ridotta Putin». Il 24 marzo la Casa Bianca, all’alba della missione europea di Joe Biden, ha annunciato che gli Stati Uniti accoglieranno 100 mila profughi ucraini. «È un gesto necessario, ma continuo a sperare che il loro futuro sia nel Paese che amano, l’Ucraina, da cittadini liberi. Dobbiamo evitare che si trasformino in rifugiati per sempre». Che idea si è fatta di Volodymyr Zelensky? «È formidabile, ammiro la sua visione democratica della vita e della politica. È semplice, diretto, parla onestamente di ciò che gli sta a cuore». In videocollegamento con il Parlamento italiano il 22 marzo, Zelensky ha detto che l’obiettivo ultimo di Putin è l’Europa, e l’Ucraina è il punto di accesso. «Ho letto articoli riguardo al misticismo di Putin, alla sua intenzione di lanciarsi in una crociata per portare nel mondo la benedizione della Russia. I risultati della sua invasione non sono quelli sperati, utilizza carri armati vecchi mezzo secolo, il suo esercito non è organizzato come dice. Ha spedito ragazzini al fronte. Non credo che l’Europa sia alla sua portata. Certo, la mentalità espansionistica, aggravata dal suo misticismo, può portarlo a fare qualunque cosa». È d’accordo con la linea di Biden? L’altro ieri, a Varsavia, le sue parole su un cambio di regime in Russia hanno alzato il livello della tensione. «C’è in gioco il destino del mondo. Non credo che a Washington si aspettassero un’invasione dell’Ucraina su questa scala. Biden scommette sulla resistenza ucraina, su una situazione di stallo. Non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo più importante: bisogna tenere in vita l’Ucraina, perché ci sono persone che vorranno tornare a casa, alle loro vite». Pensa che il non intervento sia anche una conseguenza della drammatica e fallimentare ritirata americana dall’Afghanistan? Biden vuole evitare che gli Stati Uniti facciano altri passi falsi come in Medio Oriente? «Il Medio Oriente è una ferita aperta, ciò che ha cominciato George W. Bush in Iraq non avrà mai giustificazione. Come i russi oggi, anche gli americani hanno avuto a che fare con leader imprevedibili ed egoisti. C’è qualcosa di speciale riguardo all’Europa: qui le guerre diventano mondiali. Se ci sono disordini in Venezuela, per fare un esempio tra i tanti, è probabile che rimanga un conflitto isolato. In Europa diventa globale». Durante il discorso sullo Stato dell’Unione del 1° marzo, Biden ha detto che Putin non è mai stato così isolato. «Non sono sicura che a Washington sappiano che cosa aspettarsi da Paesi come la Cina. Sulla carta non penso che la Cina abbia bisogno di un partner economicamente subordinato, e la Russia non vorrebbe fare quella parte». L’Occidente è arrivato in ritardo? Avrebbe potuto prevedere un intervento in un’area così «calda» dopo la rivoluzione del 2014 e l’allontanamento dell’ex presidente Yanukovich? «Non credo fosse possibile prevedere questa guerra, ci siamo adagiati nell’illusione che Putin fosse più cauto». Trump ha detto che Putin non avrebbe mai invaso l’Ucraina sotto la sua presidenza.«Tutto il mondo beneficia del fatto che Donald Trump non è più presidente. Trump era talmente pigro che non leggeva i briefing che gli preparavano i suoi collaboratori alla Casa Bianca. Vive in una realtà di fantasia». Lei conosce Obama. Come si sarebbe comportato da presidente? «Avrebbe affrontato la situazione con grande pragmatismo e attenzione. Avrebbe provato a salvare il salvabile». Quale autore russo consiglierebbe di leggere in questi giorni? «Cechov, per la tenerezza che mostra verso le anime oscure, nascoste». 28 marzo 2022 (modifica il 28 marzo 2022 | 08:00) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-28 06:00:00, La scrittrice Usa: il Paese guidato da Zelensky ci ricorda l’immenso valore di una vita umana perduta Dobbiamo pensare al bene di chi verrà dopo di noi, Marco Bruna