Mariupol, si avvicina la fine dell’acciaieria Azovstal

Mariupol, si avvicina la fine dell’acciaieria Azovstal

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di Lorenzo Cremonesi

Nei sotterranei rimangono gli irriducibili del battaglione Azov che promettono di combattere fino alla morte. Come tratterà Mosca i combattenti che si sono arresi?

DAL NOSTRO INVIATO CHISINAU I feriti gravi e una parte degli irriducibili tra gli ucraini si sono arresi ai russi dopo quasi tre mesi di resistenza disperata. Ma tanti altri continuano a combattere, non gettano il fucile. Così, ancora una volta, l’epopea di Mariupol assurge a specchio violento ed estremo della guerra lanciata da Putin lo scorso 24 febbraio. A vedere due giorni fa i filmati dei 264 combattenti ucraini (di cui almeno 52 gravemente feriti per la stessa ammissione di Mosca) consegnarsi ai soldati russi di fronte alle rovine dell’acciaieria Azovstal era inevitabile domandarsi a quale sorte sarebbero andati incontro. «Se le squadre russe sin dall’inizio uccidevano sul posto tutti i sospettati di essere volontari della Azov catturati in combattimento, perché il destino di questi ultimi dovrebbe essere diverso?», chiedeva lunedì un giornalista di Zaporizhzhia. In Ucraina nessuno dimentica le immagini degli uomini, tutti gli uomini compresi ragazzini e anziani, fatti spogliare ai posti di blocco per verificare che non avessero tatuaggi «nazisti», come dicono i comandi russi. Senza dubbio, tanti tra i resistenti nei sotterranei della Azovstal sono coperti di tatuaggi: sino a qualche settimana fa li mostravano orgogliosi ai civili che condividevano con loro la durezza dell’assedio. La stessa domanda è tornata ieri nell’osservare altri sette bus carichi di prigionieri usciti dall’inferno della battaglia.

L’epopea e gli eroi

Ma il tema non è solo questo. In verità, l’epopea di Mariupol e degli «eroi», come li definiscono apertamente in Ucraina compreso il presidente Zelensky, non è affatto finita. La guerra continua. Putin sperava con tutto il cuore di piantare la sua bandiera sui resti fumanti dell’acciaieria e poter finalmente dichiarare al mondo un successo in questa guerra che per lui sta diventando sempre più un incubo. La festa della vittoria il 9 maggio avrebbe dovuto avere Mariupol al centro delle celebrazioni. Ma, niente da fare.

Il discorso di Putin

Nel suo discorso sulla Piazza Rossa non l’ha neppure nominata. E adesso, una settimana dopo, l’Azovstal rimane invitta. Quanti sono gli irriducibili ancora nascosti nelle catacombe sotto gli altiforni ridotti in macerie? Difficile dire. Sino a tre settimane fa sia Kiev che Mosca parlavano di 2.000 combattenti, di cui circa 600 feriti, oltre ad un migliaio di civili. Quando poi, a partire dal primo maggio, Onu e Croce Rossa sono riusciti a fare evacuare i civili, abbiamo scoperto che erano molti meno, forse circa la metà, di cui solo un terzo ha raggiunto il centro sfollati ucraino di Zaporizhzhia. Ieri la vice ministra della Difesa a Kiev, Hanna Maliar, ha dichiarato di essere a conoscenza del loro numero reale, ma di non volerlo rendere noto, perché considerato un «dato sensibile». Segno che, nonostante Zelensky affermi di non volere «eroi morti», anche tra i suoi fedelissimi non sono affatto certi che la resa degli ultimi sia imminente, o almeno non di tutti. C’è inoltre da tener conto della possibilità che gli stessi combattenti siano divisi tra loro. Probabilmente i soldati regolari dei Marines e della Guardia Nazionale sono più propensi a consegnarsi in cambio della vita. «Si sta negoziando con cautela, serve tempo», ammette Zelensky. Ma non è affatto detto che ciò valga per quelli della Azov: gente dura, disposta a tutto sin dalle battaglie del 2014. «I nostri non si arrenderanno, non faranno questo favore a Putin. Sanno obbedire e fare il loro dovere. Moriranno con il fucile in mano e diventeranno parte della leggenda, un insegnamento e un monito», ci ha ripetuto più volte Michail Pirog, il 55enne comandante del reggimento Azov a Zaporizhzhia. Del resto, gli ultimi segnali che arrivano da Mosca non sono per nulla rassicuranti. «Tratteremo i prigionieri secondo le regole di guerra», aveva detto Putin. Il presidente russo aveva ribadito che non avrebbe accettato uno scambio di prigionieri che comprendesse quelli della Azovstal — compromesso che invece Kiev cerca ancora contando sulla mediazione turca — però sembrava incline a rispettare le convenzioni internazionali. Ma ieri a Mosca si sono scatenati i falchi, probabilmente incattiviti anche dalle brutte notizie che ricevano dal fronte attorno a Kharkiv e nel Donbass. Ed è adesso il presidente del Parlamento (la Duma), Vyacheslav Volodin, che tende a distinguere tra prigionieri «soldati regolari» e invece volontari della Azov.

La distinzione

«Il nostro Paese tratterà con umanità coloro che si sono arresi o sono stati catturati, ma per i nazisti la nostra posizione non è mutata: sono criminali di guerra e dobbiamo assicurarli alla giustizia», dice. Negli ambienti giudiziari russi comincia a circolare la tesi per cui i militanti dell’Azov sono «terroristi» contro i quali andrebbe applicata la pena capitale. La propaganda russa lascia intravedere le prossime mosse: visto che Kiev, a partire dalla scoperta delle fosse comuni e delle torture contro i civili di Bucha due mesi fa, non smette di accusare i soldati russi di «crimini di guerra», lo stesso farà adesso Mosca contro i nazionalisti ucraini. «I terroristi vanno eliminati, uccidono civili inermi», affermano nei tribunali moscoviti. La risposta di coloro che restano asserragliati è comunque a tono: «Noi non ci arrenderemo, i russi non ci faranno prigionieri, siamo già uomini morti, tanto vale finire combattendo».

17 maggio 2022 (modifica il 17 maggio 2022 | 23:11)

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, 2022-05-18 00:25:00, Nei sotterranei rimangono gli irriducibili del battaglione Azov che promettono di combattere fino alla morte. Come tratterà Mosca i combattenti che si sono arresi?, Lorenzo Cremonesi

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