di Marzio BredaIl colloquio del presidente della Repubblica con il premier, che in attesa di mercoledì volerà in Algeria per le intese sul gas «Presidente, mi dimetto. Ma non per farmi riaffidare l’incarico. Lascio e basta. Definitivamente. Mi dispiace». È quasi ora di cena quando Mario Draghi, laconico e diretto com’è nel suo stile, comunica a Sergio Mattarella la decisione che ha preso dopo gli ultimi tormentati giorni del suo governo. Ha mantenuto la fiducia, ma il partito di maggioranza relativa non l’ha votata. Una ferita politicamente insanabile. «Non ha senso che io insista a farmi logorare», dice. Il presidente della Repubblica ascolta lo sfogo, annuendo con aria grave a ogni passaggio. «Capisco le difficoltà e comprendo le ragioni che mi hai elencato. La scelta è tua, ma ti invito a rifletterci su ancora. Dopotutto non sei stato sfiduciato. Le dimissioni mettiamole da parte fino a mercoledì. Pensaci. Poi vai in Parlamento a valutare la situazione, per doverosa trasparenza. Io spero che tu cambi idea». Ecco come è nato il rinvio alle Camere deciso ieri sera dal capo dello Stato, dopo un doppio colloquio con il premier (del primo faccia a faccia, interlocutorio, delle 15.00, non era trapelato nulla anche per non turbare le borse e i mercati, che hanno comunque reagito male; il secondo è servito per dare un crisma di ufficialità alla crisi). Si apre quindi una sospensione politica di cinque giorni, durante i quali il Quirinale spera in un ripensamento di Draghi, che intanto volerà in Algeria per chiudere gli accordi sul gas. Ma tornando all’ipotesi che faccia un passo indietro, sembra molto ardua, considerando come ha parlato il premier. Il quale, tra Montecitorio e Palazzo Madama, potrebbe limitarsi a semplici «comunicazioni» e abbandonare l’aula senza che questa si esprima con un voto (mentre un dibattito sarebbe inevitabile) e tornare sul Colle per formalizzare in via definitiva il suo abbandono. O potrebbe tornare sui suoi passi e accettare un rilancio, qualora la road map tracciata da Mattarella per parlamentarizzare la crisi e far assumere alle forze politiche le proprie responsabilità porti a un tale risultato. Una chance in cui, appunto, non crede però quasi nessuno. Che Draghi fosse di umore nerissimo e più incline a tagliare corto e dimettersi in modo irrevocabile che a farsi rinviare alle Camere, al Quirinale lo sapevano, e temevano, fin dall’altra notte. Quando l’assemblea del Movimento 5 Stelle ha optato, con una furbizia da Prima Repubblica, la «non fiducia» al governo. Tutto si è poi aggravato quando Conte ha cominciato a veicolare una tesi più che ipocrita, offensiva: «La crisi? Una forzatura compiuta da altri». Cioè dal premier. È alla luce di questi passaggi ambigui che si spiega l’atteggiamento amareggiato, indisponibile e problematico, mostrato da Draghi al Quirinale, nell’incontro preliminare con Mattarella. Lasciare subito Palazzo Chigi, addirittura senza alcuna ipotesi subordinata, come quella di gestire il Paese fino al momento del voto? Oppure sottoporsi alla verifica del Parlamento e, dopo esser stato reinvestito, tirare avanti con la stessa coalizione (magari priva dei 5 Stelle stavolta), ma nell’«intima certezza» — così l’avrebbe definita — che nel giro di qualche settimana fatalmente si ripetano (anche da altri fronti, come la Lega) le minacce, i diktat, i ricatti più o meno tignosi? Di fronte a questo tipo di obiezioni, espresse con i toni di chi ha ormai deciso ciò che intende fare, il capo dello Stato ha avuto pochi argomenti. Ha elencato i più prevedibili e mille volte ripetuti, a partire dalle emergenze che assediano l’Italia. Ma la sua capacità di persuasione morale, che pure è alta, non può essere sopravvalutata fino all’inverosimile. Dopotutto, ognuno ha il suo ruolo: lui quello di assicurare la stabilità del Paese, Draghi, da premier, quello di governare. E questo stava ormai per diventare un «non governo», ripeteva palesemente insoddisfatto. Si può capirlo. Non ha accettato di occupare quella poltrona, come tanti altri hanno fatto, per riceverne un personale lustro. Casomai è lui ad avergliene dato. E avrebbe, se non tutto, molto da perdere se ci restasse senza costrutto. 15 luglio 2022 (modifica il 15 luglio 2022 | 09:02) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-15 09:22:00, Il colloquio del presidente della Repubblica con il premier, che in attesa di mercoledì volerà in Algeria per le intese sul gas, Marzio Breda