di Paola Di CaroI sospetti della leader che chiede chiarezza: il vertice dovrà concludersi con decisioni operative Il vertice si farà, e «presto», perché non c’è «tempo da perdere». E importa poco a Giorgia Meloni — pronta ad alzare il telefono già in queste ore per organizzare il summit — chi deve chiamare chi, come, in quale ordine: «Anche a casa mia — scherza in radio a Un giorno da pecora —. Con quale canzone? Ricominciamo…». Quello che seriamente le importa, e moltissimo, è «avere risposte chiare alle mie domande». Che nascono da «segnali non tranquillizzanti», tanti, arrivati prima, durante e dopo il voto per le Amministrative, un uragano per il centrodestra. Nelle riunioni con i suoi, Meloni non ha nascosto la sua preoccupazione, condita da parecchia irritazione per l’atteggiamento degli alleati impegnati «più a incalzare, sfidare, criticare me e FdI che la sinistra». Tanto da rafforzare in lei il dubbio, sorto da qualche tempo in verità, che la richiesta di unità del centrodestra da parte di Berlusconi e Salvini non sia per vincere assieme le elezioni e governare come coalizione — chiunque sia alla fine il premier — ma un modo per «usare i voti di FdI e del popolo anti-sinistra» per ottenere il massimo degli eletti e poi, una volta tornati in Parlamento, «usare all’occorrenza» ciascuno i propri gruppi per formare maggioranze diverse. Magari una riedizione del governo Draghi, comunque un abbraccio con la sinistra non detto alla vigilia e realizzato post voto. Per lei, una strada impossibile da percorrere. «A Berlusconi e Salvini voglio fare domande chiare e ottenere risposte chiare: volete stare nel centrodestra o volete i voti di FdI per farci altro ? Ci vedete come alleati o siamo il cavallo di Troia, magari, per alchimie alle quali noi non siamo disponibili?», anticipa il tema del vertice Meloni ai suoi collaboratori. E se si vuole continuare assieme e assieme correre per vincere, bisognerà che d’ora in poi i vertici siano «tenuti in sedi istituzionali, convocati con frequenza costante e ravvicinata, con un ordine del giorno preciso e soprattutto dovranno concludersi con decisioni operative». Cominciando subito e senza interminabili rinvii. Una posizione molto netta, non perché — ripete fino allo sfinimento — lei si veda già come «leader del centrodestra o candidata premier: non me ne è mai importato nulla, il problema della leadership l’hanno sempre avuta gli altri, io non cerco pennacchi», ma perché appunto troppi «segnali» fanno scattare l’allarme rosso. Quali? L’ultimo è quello lanciato da Flavio Tosi , il candidato sostenuto da FI a Verona in contrapposizione a Sboarina. Lui, che è stato secondo l’analisi che si fa in FdI la vera causa della sconfitta in città perché ha diviso il fronte candidandosi, perché ha sempre attaccato Sboarina e non Tommasi, che minaccia di fare «lo stesso gioco contro Zaia», in un’intervista è arrivato a dire che FdI è un peso per il centrodestra di cui ci si dovrà liberare. E nessuno lo ha zittito brutalmente. Non in FI, partito del quale è esponente, non Salvini che pure con un’intervista il giorno del voto aveva duramente criticato Sboarina per non aver accettato l’apparentamento: «Nemmeno a noi a Catanzaro è stato concesso — si arrabbia la Meloni — ma lo abbiamo appoggiato lo stesso e secondo studi dei flussi, al secondo turno gli elettori di FdI sono stati i più compatti ad andare a votare. Come sempre». E ancora, le continue critiche ai candidati del suo partito, sentite anche in questi giorni, dallo stesso Sboarina a Michetti, quando lei — ha ricordato ai suoi in queste ore — non ha mai detto una parola sui candidati scelti dagli altri, che da Milano a Bologna hanno fatto tutti risultati «peggiori di Roma». Così come «dopo i ballottaggi, non ci siamo messi a fare distinguo su sconfitte come quelle di Monza». Il tutto mentre a sinistra «fanno il contrario, sono compatti, facendo passare a Verona un ex calciatore come uno statista…». Insomma, serve chiarezza: «Voglio capire chi sono gli amici e chi gli avversari, una volta per tutte: noi o la sinistra?». Lei la sua collocazione l’ha scelta: nei Conservatori europei, partito del quale è presidente, che a Roma sta tenendo un seminario organizzato da Raffaele Fitto per «arricchire il dibattito — dice il co-presidente del gruppo — che ci consenta di definire ancora meglio la nostra proposta politica e programmatica». Senza ambiguità. Perché la strada per Meloni resta una, senza subordinate: governare sì ma con il centrodestra. Che sia questo o, se servirà, un «centrodestra nuovo e diverso». Ma gli altri la pensano come lei? Vuole capirlo la leader di FdI. E presto. Dopo «ognuno farà le proprie valutazioni». Qualunque esse siano. 30 giugno 2022 (modifica il 30 giugno 2022 | 07:41) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-30 05:48:00, I sospetti della leader che chiede chiarezza: il vertice dovrà concludersi con decisioni operative, Paola Di Caro