Meridione alla ricerca di identità

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editoriale Mezzogiorno, 2 dicembre 2022 – 08:21 di Aldo Schiavone I segnali d’allarme si sono moltiplicati negli ultimi tempi: dal dossier di Bankitalia sul divario Nord-Sud, di cui hanno riferito i giornali, all’ultimo rapporto Svimez: il Sud sta entrando in una fase di recessione che si prevede severa e abbastanza lunga: sicuramente per l’intero 2023. Con il risultato – sin da ora evidente – di un ulteriore scollamento rispetto al resto del Paese: la frattura che spezza in due l’Italia sta ormai diventando una voragine, in cui precipitano tutte le nostre speranze. È su questo sfondo che va letta e interpretata la tragedia di Ischia: il dissesto mai curato del territorio si somma al dissesto sociale e a quello amministrativo e politico locale, in un contesto che rivela ogni giorno di più ciò che non saprei in che modo definire se come non una decomposizione progressiva di tutto ciò che è «pubblico» nel Mezzogiorno, compresa l’etica civile di una parte non trascurabile della sua cittadinanza. I dati della crisi sono inequivocabili: effetto della pandemia di Covid, della guerra ucraina, dell’inflazione e del caro-energia. Per il 2023 le previsioni indicano un calo di produttività del Sud nel suo insieme rispetto all’anno precedente che raggiunge il -0,4 per cento (in Campania il -0,5), in seguito alla diminuzione sia dei consumi, sia degli investimenti; mentre nel Centro-Nord il segno rimane positivo (+0,8), sebbene in frenata rispetto al 2022, con il divario quindi fra le due parti del Paese in aumento di oltre un punto. In Italia ci saranno 760.000 nuovi poveri, due terzi dei quali – circa mezzo milione – nel Mezzogiorno: una cifra impressionante. L’occupazione femminile è nel Sud al 33 per cento (in Campania al 29: una delle cifre più basse d’Europa), rispetto a una media nazionale del 49 per cento, già molto inferiore a quella europea (che è del 63 per cento). Mentre il livello dei servizi offerti nella scuola dell’obbligo tocca ulteriori record negativi. Nel Sud sono circa 650.000 gli alunni delle scuole primarie statali senza alcun tipo di mensa, con un picco negativo per la Sicilia e la Campania, mentre circa 550.000 non hanno una palestra (di nuovo con una punta in Campania). Di fronte a questo quadro – che sarebbe poco indicare come grave – l’elemento che scoraggia di più è la completa latitanza del Governo: anche in ciò, bisogna dire a onor del vero, perfettamente allineato al precedente, che del Sud si era a sua volta completamente dimenticato. Sembra – a quanto si dice – che nel disegno di legge di bilancio che sta per andare in discussione in Parlamento non vi sia un sol riferimento al Mezzogiorno; e che nemmeno venga usata la parola. Altro che mettere la «questione meridionale» al centro dell’agenda-Italia, come aveva appena solennemente dichiarato la presidente del Consiglio. Non ho controllato, e non so se sia proprio così. Ma al di là di questa assenza, certo rivelatrice se corrispondesse alla verità, quel che colpisce, di fronte a una situazione come quella che si sta delineando, è la completa mancanza di una strategia, di una visione, della predisposizione – anche solo abbozzata – di un quadro di misure e di interventi capace in qualche modo di frenare la caduta e di invertire la rotta. Nulla di nulla. Vuoto totale. Come se il problema non esistesse. La nostra politica – in questo senza alcuna differenza fra i diversi schieramenti – sembra ricordarsi del Mezzogiorno solo quando si parla del Reddito di cittadinanza, per sottolinearne la valenza soprattutto locale, con i suoi percettori per lo più collocati in questa sola parte del Paese. Negli ultimi tempi pareva che il silenzio fosse stato interrotto dalla riscoperta, diventata di moda forse sull’onda di qualche libro, della vocazione mediterranea dell’Italia, e la connessione fra il Sud e il suo mare. Benissimo: non c’è che da rallegrarsene. Era ora. Ma perché, oltre che sbandierare questa ritrovata congiunzione, non si è passati ai fatti, e non si è cominciato a mettere all’ordine del giorno il problema delle infrastrutture, dei servizi, degli investimenti, delle riqualificazioni produttive necessari per rendere questa indicazione qualcosa di più di un enunciato senza conseguenze? Bisogna dire subito però che denunciare le carenze dei governi – di questo come dei precedenti – non basta. Perché c’è subito da chiedersi cosa stiano facendo la Regioni meridionali, le amministrazioni locali e le stesse classi dirigenti del Mezzogiorno, o quel che resta di esse, per rendere evidente l’insostenibilità della situazione, e farsi loro promotrici di iniziative, proposte, indicazioni operative per poter fermare l’ulteriore distacco meridionale dal resto dell’Italia. E perché non pensano per esempio – qui e ora – a un’iniziativa comune, che veda unite le grandi città meridionali, da Napoli a Bari, da Reggio a Palermo, con indicazioni concrete e realistiche che rendano chiara all’intero Paese da un lato l’insostenibilità delle attuali condizioni, e dall’altro la possibilità effettiva di venirne fuori, se si agisce con lungimiranza e tempestività. Perché c’è da aggiungere che c’è una cosa che spaventa soprattutto nei tempi che stiamo vivendo: la rassegnazione. Uno stato d’animo che è emerso – oltre la superficie di indignazioni che durano lo spazio d’un mattino – anche nella vicenda di Ischia. La rassegnazione, voglio dire, a quel che si considera inevitabile – la dannazione dell’inferiorità meridionale, di una cittadinanza dimezzata per le genti del Sud – e l’opaco e rinunciatario acconciarsi ad essa ritagliandosi il proprio piccolo angolo di sopravvivenza nell’inferno che avanza. Si parla tanto, in questi mesi, spesso a sproposito, di identità italiana. Ebbene, oggi il confine dove si difende l’identità italiana è il nostro Sud: nei centri storici da sottrarre all’incuria, nelle periferie da ricucire quartiere dopo quartiere, negli ospedali e nelle scuole da non lasciar più al proprio destino di inefficienza e di degrado, nelle masse di nuovi poveri cui offrire – oltre che immediata assistenza – una prospettiva di salvezza e di riscatto. È questa la nuova frontiera. La newsletter del Corriere del MezzogiornoSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 2 dicembre 2022 | 08:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-12-02 07:22:00, editoriale Mezzogiorno, 2 dicembre 2022 – 08:21 di Aldo Schiavone I segnali d’allarme si sono moltiplicati negli ultimi tempi: dal dossier di Bankitalia sul divario Nord-Sud, di cui hanno riferito i giornali, all’ultimo rapporto Svimez: il Sud sta entrando in una fase di recessione che si prevede severa e abbastanza lunga: sicuramente per l’intero 2023. Con il risultato – sin da ora evidente – di un ulteriore scollamento rispetto al resto del Paese: la frattura che spezza in due l’Italia sta ormai diventando una voragine, in cui precipitano tutte le nostre speranze. È su questo sfondo che va letta e interpretata la tragedia di Ischia: il dissesto mai curato del territorio si somma al dissesto sociale e a quello amministrativo e politico locale, in un contesto che rivela ogni giorno di più ciò che non saprei in che modo definire se come non una decomposizione progressiva di tutto ciò che è «pubblico» nel Mezzogiorno, compresa l’etica civile di una parte non trascurabile della sua cittadinanza. I dati della crisi sono inequivocabili: effetto della pandemia di Covid, della guerra ucraina, dell’inflazione e del caro-energia. Per il 2023 le previsioni indicano un calo di produttività del Sud nel suo insieme rispetto all’anno precedente che raggiunge il -0,4 per cento (in Campania il -0,5), in seguito alla diminuzione sia dei consumi, sia degli investimenti; mentre nel Centro-Nord il segno rimane positivo (+0,8), sebbene in frenata rispetto al 2022, con il divario quindi fra le due parti del Paese in aumento di oltre un punto. In Italia ci saranno 760.000 nuovi poveri, due terzi dei quali – circa mezzo milione – nel Mezzogiorno: una cifra impressionante. L’occupazione femminile è nel Sud al 33 per cento (in Campania al 29: una delle cifre più basse d’Europa), rispetto a una media nazionale del 49 per cento, già molto inferiore a quella europea (che è del 63 per cento). Mentre il livello dei servizi offerti nella scuola dell’obbligo tocca ulteriori record negativi. Nel Sud sono circa 650.000 gli alunni delle scuole primarie statali senza alcun tipo di mensa, con un picco negativo per la Sicilia e la Campania, mentre circa 550.000 non hanno una palestra (di nuovo con una punta in Campania). Di fronte a questo quadro – che sarebbe poco indicare come grave – l’elemento che scoraggia di più è la completa latitanza del Governo: anche in ciò, bisogna dire a onor del vero, perfettamente allineato al precedente, che del Sud si era a sua volta completamente dimenticato. Sembra – a quanto si dice – che nel disegno di legge di bilancio che sta per andare in discussione in Parlamento non vi sia un sol riferimento al Mezzogiorno; e che nemmeno venga usata la parola. Altro che mettere la «questione meridionale» al centro dell’agenda-Italia, come aveva appena solennemente dichiarato la presidente del Consiglio. Non ho controllato, e non so se sia proprio così. Ma al di là di questa assenza, certo rivelatrice se corrispondesse alla verità, quel che colpisce, di fronte a una situazione come quella che si sta delineando, è la completa mancanza di una strategia, di una visione, della predisposizione – anche solo abbozzata – di un quadro di misure e di interventi capace in qualche modo di frenare la caduta e di invertire la rotta. Nulla di nulla. Vuoto totale. Come se il problema non esistesse. La nostra politica – in questo senza alcuna differenza fra i diversi schieramenti – sembra ricordarsi del Mezzogiorno solo quando si parla del Reddito di cittadinanza, per sottolinearne la valenza soprattutto locale, con i suoi percettori per lo più collocati in questa sola parte del Paese. Negli ultimi tempi pareva che il silenzio fosse stato interrotto dalla riscoperta, diventata di moda forse sull’onda di qualche libro, della vocazione mediterranea dell’Italia, e la connessione fra il Sud e il suo mare. Benissimo: non c’è che da rallegrarsene. Era ora. Ma perché, oltre che sbandierare questa ritrovata congiunzione, non si è passati ai fatti, e non si è cominciato a mettere all’ordine del giorno il problema delle infrastrutture, dei servizi, degli investimenti, delle riqualificazioni produttive necessari per rendere questa indicazione qualcosa di più di un enunciato senza conseguenze? Bisogna dire subito però che denunciare le carenze dei governi – di questo come dei precedenti – non basta. Perché c’è subito da chiedersi cosa stiano facendo la Regioni meridionali, le amministrazioni locali e le stesse classi dirigenti del Mezzogiorno, o quel che resta di esse, per rendere evidente l’insostenibilità della situazione, e farsi loro promotrici di iniziative, proposte, indicazioni operative per poter fermare l’ulteriore distacco meridionale dal resto dell’Italia. E perché non pensano per esempio – qui e ora – a un’iniziativa comune, che veda unite le grandi città meridionali, da Napoli a Bari, da Reggio a Palermo, con indicazioni concrete e realistiche che rendano chiara all’intero Paese da un lato l’insostenibilità delle attuali condizioni, e dall’altro la possibilità effettiva di venirne fuori, se si agisce con lungimiranza e tempestività. Perché c’è da aggiungere che c’è una cosa che spaventa soprattutto nei tempi che stiamo vivendo: la rassegnazione. Uno stato d’animo che è emerso – oltre la superficie di indignazioni che durano lo spazio d’un mattino – anche nella vicenda di Ischia. La rassegnazione, voglio dire, a quel che si considera inevitabile – la dannazione dell’inferiorità meridionale, di una cittadinanza dimezzata per le genti del Sud – e l’opaco e rinunciatario acconciarsi ad essa ritagliandosi il proprio piccolo angolo di sopravvivenza nell’inferno che avanza. Si parla tanto, in questi mesi, spesso a sproposito, di identità italiana. Ebbene, oggi il confine dove si difende l’identità italiana è il nostro Sud: nei centri storici da sottrarre all’incuria, nelle periferie da ricucire quartiere dopo quartiere, negli ospedali e nelle scuole da non lasciar più al proprio destino di inefficienza e di degrado, nelle masse di nuovi poveri cui offrire – oltre che immediata assistenza – una prospettiva di salvezza e di riscatto. È questa la nuova frontiera. La newsletter del Corriere del MezzogiornoSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 2 dicembre 2022 | 08:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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