Lo racconta un giornalista della Bbc: Ci stanno dicendo dove si trovano e non possiamo fare nulla. Il racconto del terremoto
Le ore successive a una devastante scossa di terremoto come quella che ha colpito le citt al confine tra Turchia e Siria, tutti fanno la stessa cosa: cercano-aspettano-cercano. Lo fanno i soccorritori, i vigili del fuoco, la protezione civile, ma lo fanno le persone comuni che a mani nude, calcinaccio dopo calcinaccio, tolgono la montagna di mattoni e cemento che li separa dall’unica speranza: ritrovare chi amano, vivo. C’ chi urla nomi, chi non si allontana mai dal cumulo di macerie che una volta era casa con la speranza di sentire qualcosa, un gemito, un rumore da sottoterra. Tutto diventa speranza. E nell’era di WhatsApp anche i messaggi possono trasformarsi in strumenti di salvezza.
Succede questa cosa che miracolosa ma allo stesso tempo d i brividi. Chi si trova intrappolato sotto i resti delle cucine, dei salotti, dei tetti, quando pu, manda vocali e sms per dire sono ancora vivo, venitemi a salvare. Li manda ai parenti, ma non solo.
Ibrahim Haskologl, un giornalista turco residente a Istanbul e originario di Malatya – un’area fortemente colpita dal terremoto – ha raccontato a Bbc che le persone stanno inviando a lui e ad altri giornalisti video e note vocali, posizioni da sotto le macerie: Ci stanno dicendo dove si trovano e non possiamo fare nulla.
una corsa contro il tempo spietata, ingiusta. Pi passano le ore, pi la possibilit di risalire si fa difficile. Manca l’acqua, manca l’aria, fa freddo. E anche il cellulare si pu spegnere.
Non la prima volta che i messaggi diventano possibilit. La geolocalizzazione da anni molto utile ai soccorritori che i montagna trovano i dispersi. E non la prima volta che i messaggi diventano anche l’ultimo saluto. Indimenticabili quelli lasciati dalle vittime dell’11 settembre.
A quasi due giorni dalla scossa di terremoto, i morti sono cinquemila, i feriti oltre ventimila, i profughi milioni.
7 febbraio 2023 (modifica il 7 febbraio 2023 | 17:22)
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