Mezzogiorno, 19 agosto 2022 – 08:47 di Marco D’Isanto C’è uno spettro che si aggira nelle prossime elezioni politiche, è lo spetto del Mezzogiorno. A leggere i programmi politici delle maggiori coalizioni si resta abbastanza sorpresi. Il tema dello sviluppo meridionale e della riduzione del divario territoriale italiano è assente o legato a poche e marginali idee. Molti si affidano alle risorse del Pnrr come la panacea di tutti i mali. Sembra dunque che le differenze storiche, economiche, sociali e antropologiche tra il Sud ed il Nord del paese possano essere compensate nei prossimi anni con le sole risorse del Pnrr destinate a rafforzare il livello delle infrastrutture del Mezzogiorno. È al tempo stesso un errore marchiano ed un alibi per la classe politica che emargina, ancora una volta, il Mezzogiorno nel dibattito pubblico. Il progetto di autonomia differenziata che le forze politiche di destra e anche alcuni settori del centrosinistra portano avanti dimostra quanto sia radicata nel paese l’idea di abbandonare, per sempre, il Mezzogiorno al suo destino di sottosviluppo. Con la complicità della classe dirigente meridionale che sembra molto attratta dalla gestione delle risorse europee e molto poco interessata a disegnare una direttrice di sviluppo del Mezzogiorno. C’è poi la dimensione assistenziale, che pur venendo incontro ad un legittimo desiderio di protezione sociale, non è in grado certamente di porsi come una strategia efficace per ridurre il divario territoriale. Restano pertanto sul tappeto le grandi questioni dello sviluppo meridionale: la disoccupazione, la diffusione, come ci ricorda lo Svimez, di lavori precari che ha portato ad una forte crescita dei lavoratori a basso reddito (working poor ), a rischio povertà, le inefficienze della pubblica amministrazione e l’incapacità di spesa che rendono quasi impossibile che nel Mezzogiorno si completino le opere pubbliche programmate con le risorse del Pnrr nel rispetto del termine ultimo di rendicontazione fissato dall’Unione europea (2026), la debolezza dello sviluppo manifatturiero, un livello indegno di infrastrutture sociali a partire da quelle dedicate all’educazione, il nuovo processo migratorio e la diffusa criminalità. Eppure ci sono alcuni temi strategici che anche una classe dirigente fiacca potrebbe efficacemente perseguire: la bio-economia, l’industrializzazione a base culturale e l’innovazione sociale. Si tratta di assi strategici che si tengono insieme e che potrebbero efficacemente rappresentare una leva dello sviluppo contemporaneo del Mezzogiorno. Non si tratta solo di puntare sull’utilizzo di risorse naturali rinnovabili sulle quali il Mezzogiorno ha una vocazione specifica ma di promuovere lo sviluppo di settori come le bioenergie, le bio tecnologie e connetterle ad alcuni settori importanti per lo sviluppo del Mezzogiorno come la cultura, il turismo e l’agricoltura. Secondo le stime della Commissione europea, è stato calcolato che entro il 2025, gli investimenti in ricerca e innovazione nel campo della bioeconomia avranno come ricaduta in valore aggiunto nei settori del comparto pari a dieci volte la quota investita inizialmente. E’ fin troppo semplice comprendere come questo sarebbe un asset strategico in grado di aiutare l’intero paese ad affrontare le drammatiche conseguenze della crisi energetica. Sulla cultura abbiamo speso molta energia per promuovere, dalle colonne di questo giornale, una idea innovativa di sviluppo culturale del Mezzogiorno: dalle zone franche della cultura all’innovazione gestionale del patrimonio culturale. Nel frattempo si sperimentano nel Mezzogiorno alcune delle più avanzate modalità di gestione innovativa del patrimonio culturale: il partenariato pubblico privato sta trovando proprio nel patrimonio culturale del Sud, dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei, alla Reggia di Caserta, al Parco archeologico nazionale di Crotone, applicazioni avanzate. Per non parlare del cinema e dell’audiovisivo i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Anche sul fronte dell’innovazione di infrastrutture sociali innovative il Mezzogiorno ha prodotto casi esemplari che costituiscono prototipi per la costruzione di un welfare contemporaneo e comunitario. Ha ragione il Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, a segnalare l’importanza del Mezzogiorno nello sviluppo del paese e a lamentare l’assenza di programmi in tal senso. Forse val la pena di ricordare il famoso monito di Giuseppe Mazzini: «L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». 19 agosto 2022 | 08:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-08-19 06:48:00, Mezzogiorno, 19 agosto 2022 – 08:47 di Marco D’Isanto C’è uno spettro che si aggira nelle prossime elezioni politiche, è lo spetto del Mezzogiorno. A leggere i programmi politici delle maggiori coalizioni si resta abbastanza sorpresi. Il tema dello sviluppo meridionale e della riduzione del divario territoriale italiano è assente o legato a poche e marginali idee. Molti si affidano alle risorse del Pnrr come la panacea di tutti i mali. Sembra dunque che le differenze storiche, economiche, sociali e antropologiche tra il Sud ed il Nord del paese possano essere compensate nei prossimi anni con le sole risorse del Pnrr destinate a rafforzare il livello delle infrastrutture del Mezzogiorno. È al tempo stesso un errore marchiano ed un alibi per la classe politica che emargina, ancora una volta, il Mezzogiorno nel dibattito pubblico. Il progetto di autonomia differenziata che le forze politiche di destra e anche alcuni settori del centrosinistra portano avanti dimostra quanto sia radicata nel paese l’idea di abbandonare, per sempre, il Mezzogiorno al suo destino di sottosviluppo. Con la complicità della classe dirigente meridionale che sembra molto attratta dalla gestione delle risorse europee e molto poco interessata a disegnare una direttrice di sviluppo del Mezzogiorno. C’è poi la dimensione assistenziale, che pur venendo incontro ad un legittimo desiderio di protezione sociale, non è in grado certamente di porsi come una strategia efficace per ridurre il divario territoriale. Restano pertanto sul tappeto le grandi questioni dello sviluppo meridionale: la disoccupazione, la diffusione, come ci ricorda lo Svimez, di lavori precari che ha portato ad una forte crescita dei lavoratori a basso reddito (working poor ), a rischio povertà, le inefficienze della pubblica amministrazione e l’incapacità di spesa che rendono quasi impossibile che nel Mezzogiorno si completino le opere pubbliche programmate con le risorse del Pnrr nel rispetto del termine ultimo di rendicontazione fissato dall’Unione europea (2026), la debolezza dello sviluppo manifatturiero, un livello indegno di infrastrutture sociali a partire da quelle dedicate all’educazione, il nuovo processo migratorio e la diffusa criminalità. Eppure ci sono alcuni temi strategici che anche una classe dirigente fiacca potrebbe efficacemente perseguire: la bio-economia, l’industrializzazione a base culturale e l’innovazione sociale. Si tratta di assi strategici che si tengono insieme e che potrebbero efficacemente rappresentare una leva dello sviluppo contemporaneo del Mezzogiorno. Non si tratta solo di puntare sull’utilizzo di risorse naturali rinnovabili sulle quali il Mezzogiorno ha una vocazione specifica ma di promuovere lo sviluppo di settori come le bioenergie, le bio tecnologie e connetterle ad alcuni settori importanti per lo sviluppo del Mezzogiorno come la cultura, il turismo e l’agricoltura. Secondo le stime della Commissione europea, è stato calcolato che entro il 2025, gli investimenti in ricerca e innovazione nel campo della bioeconomia avranno come ricaduta in valore aggiunto nei settori del comparto pari a dieci volte la quota investita inizialmente. E’ fin troppo semplice comprendere come questo sarebbe un asset strategico in grado di aiutare l’intero paese ad affrontare le drammatiche conseguenze della crisi energetica. Sulla cultura abbiamo speso molta energia per promuovere, dalle colonne di questo giornale, una idea innovativa di sviluppo culturale del Mezzogiorno: dalle zone franche della cultura all’innovazione gestionale del patrimonio culturale. Nel frattempo si sperimentano nel Mezzogiorno alcune delle più avanzate modalità di gestione innovativa del patrimonio culturale: il partenariato pubblico privato sta trovando proprio nel patrimonio culturale del Sud, dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei, alla Reggia di Caserta, al Parco archeologico nazionale di Crotone, applicazioni avanzate. Per non parlare del cinema e dell’audiovisivo i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Anche sul fronte dell’innovazione di infrastrutture sociali innovative il Mezzogiorno ha prodotto casi esemplari che costituiscono prototipi per la costruzione di un welfare contemporaneo e comunitario. Ha ragione il Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, a segnalare l’importanza del Mezzogiorno nello sviluppo del paese e a lamentare l’assenza di programmi in tal senso. Forse val la pena di ricordare il famoso monito di Giuseppe Mazzini: «L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». 19 agosto 2022 | 08:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,