editoriale Mezzogiorno, 9 novembre 2022 – 08:09 di Giancristiano Desiderio Il regionalismo italiano visto da Nord ha un volto, visto da Sud ne ha un altro. Il volto del Nord è il buongoverno, il volto del Sud è il vicereame. Naturalmente, dispiace dirlo, ma il primo passo per mettersi sulla retta via è guardare in faccia la realtà. Se, poi, invece di usare la parola «vicereame» si vuole ricorrere alla definizione di «miniStati», come ha fatto ieri Arturo Marzano nel suo ottimo articolo, beh, lo si può fare ma con la consapevolezza, riguardo al Mezzogiorno, che se non è zuppa è pan bagnato. Infatti, mentre al Nord ci sono Regioni che si basano sulla buona tradizione dell’auto-governo locale creando così dei mini-Stati, al Sud il regionalismo senza il costume di un buongoverno locale ha prodotto, dagli anni Settanta in poi, quello che Carlo Trigilia definì anni addietro «nuovo feudalesimo» e, quindi, dei vicereami con altrettanti viceré che hanno i loro vassalli e valvassori e valvassini e giù così per li rami fino a giungere all’illusione che la salvezza sia il reddito di cittadinanza. L’autonomia differenziata, che fa tanto paura anche se è scritta in Costituzione, non può di certo essere più nera della mezzanotte dal momento che la differenza nelle rispettive autonomie già esiste e si chiama, appunto, buongoverno e vicereame. Ne vogliamo prendere atto una buona volta? Il progresso economico e civile del Mezzogiorno c’è stato senza le Regioni, mentre con le Regioni il Mezzogiorno è regredito sia economicamente sia civilmente. Il regresso c’è stato non solo rispetto al Nord ma – questo è il punto centrale della celebre «questione meridionale» – anche rispetto a sé stesso proprio perché ciò che è venuta meno è stata la capacità delle classi dirigenti meridionali di garantire il buongoverno locale. Il regionalismo meridionale genera dipendenza economica dallo Stato, istituzioni da Ancien Régime, classe politica priva di responsabilità che promuove come strategia di governo il vittimismo con cui da un lato si individuano i colpevoli esterni e dall’altro si alimenta l’arretramento sociale. Naturalmente, come dice Shakespeare, c’è del metodo in questa follia. E il metodo consiste nel simulare ciò che non c’è – si pensi alla sanità, alla scuola, al lavoro – e nel dissimulare ciò che c’è – si pensi, per essere chiari, alle responsabilità di chi ha governato comuni, provincie, regione. Ma il costo di questa metodica follia chi lo paga? Lo sappiamo: i malati di cancro e di cuore che nel vicereame della Campania muoiono più che in Italia, le giovani generazioni e famiglie e aziende che per necessità prendono la via dell’emigrazione nazionale e internazionale, tutti coloro che restano con la consapevolezza di vivere in un mondo a parte. Il regionalismo, dunque, è un fallimento. E la storia di questo fallimento – che Benedetto Croce annunciò profeticamente nel suo discorso dell’11 marzo 1947 all’Assemblea costituente – conviene raccontarcela bene perché non è con le bugie dette a noi stessi che usciremo dalla condizione minore del vicereame. Individuare nell’autonomia differenziata il pericolo da evitare equivale a invertire l’ordine delle cose: non è l’autonomia differenziata che genera il fallimento del regionalismo ma è il fallimento del regionalismo (meridionale) che promuove il fallimento dell’autonomia differenziata. 9 novembre 2022 | 08:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-09 07:11:00, editoriale Mezzogiorno, 9 novembre 2022 – 08:09 di Giancristiano Desiderio Il regionalismo italiano visto da Nord ha un volto, visto da Sud ne ha un altro. Il volto del Nord è il buongoverno, il volto del Sud è il vicereame. Naturalmente, dispiace dirlo, ma il primo passo per mettersi sulla retta via è guardare in faccia la realtà. Se, poi, invece di usare la parola «vicereame» si vuole ricorrere alla definizione di «miniStati», come ha fatto ieri Arturo Marzano nel suo ottimo articolo, beh, lo si può fare ma con la consapevolezza, riguardo al Mezzogiorno, che se non è zuppa è pan bagnato. Infatti, mentre al Nord ci sono Regioni che si basano sulla buona tradizione dell’auto-governo locale creando così dei mini-Stati, al Sud il regionalismo senza il costume di un buongoverno locale ha prodotto, dagli anni Settanta in poi, quello che Carlo Trigilia definì anni addietro «nuovo feudalesimo» e, quindi, dei vicereami con altrettanti viceré che hanno i loro vassalli e valvassori e valvassini e giù così per li rami fino a giungere all’illusione che la salvezza sia il reddito di cittadinanza. L’autonomia differenziata, che fa tanto paura anche se è scritta in Costituzione, non può di certo essere più nera della mezzanotte dal momento che la differenza nelle rispettive autonomie già esiste e si chiama, appunto, buongoverno e vicereame. Ne vogliamo prendere atto una buona volta? Il progresso economico e civile del Mezzogiorno c’è stato senza le Regioni, mentre con le Regioni il Mezzogiorno è regredito sia economicamente sia civilmente. Il regresso c’è stato non solo rispetto al Nord ma – questo è il punto centrale della celebre «questione meridionale» – anche rispetto a sé stesso proprio perché ciò che è venuta meno è stata la capacità delle classi dirigenti meridionali di garantire il buongoverno locale. Il regionalismo meridionale genera dipendenza economica dallo Stato, istituzioni da Ancien Régime, classe politica priva di responsabilità che promuove come strategia di governo il vittimismo con cui da un lato si individuano i colpevoli esterni e dall’altro si alimenta l’arretramento sociale. Naturalmente, come dice Shakespeare, c’è del metodo in questa follia. E il metodo consiste nel simulare ciò che non c’è – si pensi alla sanità, alla scuola, al lavoro – e nel dissimulare ciò che c’è – si pensi, per essere chiari, alle responsabilità di chi ha governato comuni, provincie, regione. Ma il costo di questa metodica follia chi lo paga? Lo sappiamo: i malati di cancro e di cuore che nel vicereame della Campania muoiono più che in Italia, le giovani generazioni e famiglie e aziende che per necessità prendono la via dell’emigrazione nazionale e internazionale, tutti coloro che restano con la consapevolezza di vivere in un mondo a parte. Il regionalismo, dunque, è un fallimento. E la storia di questo fallimento – che Benedetto Croce annunciò profeticamente nel suo discorso dell’11 marzo 1947 all’Assemblea costituente – conviene raccontarcela bene perché non è con le bugie dette a noi stessi che usciremo dalla condizione minore del vicereame. Individuare nell’autonomia differenziata il pericolo da evitare equivale a invertire l’ordine delle cose: non è l’autonomia differenziata che genera il fallimento del regionalismo ma è il fallimento del regionalismo (meridionale) che promuove il fallimento dell’autonomia differenziata. 9 novembre 2022 | 08:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,