Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo: «Mi corteggiava lasciando i pizzini sul cruscotto». «Lei è la mia arma segreta»

Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo: «Mi corteggiava lasciando i pizzini sul cruscotto». «Lei è la mia arma segreta»

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di Valerio Cappelli

Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, coppia da sei premi Oscar: «A casa non si parla di cinema». «La prima volta a Hollywood cercavamo come due bambini la famosa scritta sulla collina, indossando magliette con quella stessa parola»

La storia dei «pizzini» è fantastica. Chi vuole raccontarla? «Erano biglietti amichevoli — si fa sotto Francesca —, in cui magari mi invitava a cena fuori. Da lì ho capito che Dante aveva un interesse per me». Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo stanno insieme dal 1976, una delle coppie più longeve, e di sicuro la più premiata al cinema: sei Oscar, tre a testa, sistemati su mensole Ikea. Pasolini, Fellini, Martin Scorsese, Tim Burton… Registi diversi tra loro ma in comune hanno la visionarietà. Sintetizzando, scenografo Dante, arredatrice Francesca. Agli Oscar la categoria Art director dà due premi ed è divisa tra set designer, cioè Dante, e set decorator, Francesca. Sono soci, compari, amici, marito e moglie. Lui parla con una genuinità e semplicità disarmante che odora di bucato, parla anche con i suoi occhi pacifici e tenaci, ama paradossi e battute, lei lo guarda come se stessero insieme da un giorno.

Siete romantici?

Francesca: «Dopo tanti anni, guardare un film insieme, avere interessi comuni, andare a cena fuori, è romantico».

Avete due figli trentenni, Melissa è a capo della Google Italia, Edoardo è producer di cinema a Londra.

Dante: «Non ha mai lavorato con noi, si rifiuta per evitare eventuali malignità».

Vi siete conosciuti nel…

Francesca: «Nel 1975 in Sardegna, a Portobello di Gallura. Dante aveva appena finito di costruire casa sua, Elio Petri, il regista, politicizzato e di sinistra come tutti all’epoca, ne aveva una e consigliò quel consorzio a Dante, premurandosi che non andassimo a Porto Rafael, diceva che lì c’erano i fascisti. Dante all’inaugurazione invitò Fabrizio De André che era suo amico; io ero amica di Puny, la prima moglie. Dante aveva come ospiti quattro amiche donne. Se siamo gelosi? In maniera sana».

Ma i «pizzini»?

Dante: «Questa cosa andò avanti per mesi, ci metteva di buonumore, la giornata cominciava bene se trovavamo un biglietto sul cruscotto, nessuno però faceva il primo passo. Scoprimmo di essere vicini di casa a Roma, io abitavo a via Caroncini ai Parioli e Francesca a via Ruggero Fauro. E mettevamo le macchine nello stesso garage. Così sui cruscotti ci lasciavamo dei biglietti».

Francesca: «In uno di quei biglietti gli scrissi che a febbraio sarei andata in montagna con Puny, se passava gli lasciavo il telefono. Lui passò. Da lì è cominciato tutto».

Fu un’attrazione fatale ? Francesca: «Dante è intelligente e spiritoso. Ma litighiamo mille volte».

Dante: «Mille e cento. Mi piace discutere perché poi facciamo pace. Ma una volta sono stato davvero furente. Quando per ricostruire la casa di Ava Gardner in The Aviator ha noleggiato mobili che costavano un occhio della testa, quel lampadario enorme…». Francesca: «Ma lui non sapeva che mi ero impegnata a restituire tutto dopo due giorni proprio per non sforare il budget. È l’unica volta che mi avrebbe ammazzato».

Chi è disordinato?

Francesca: «Dante entra nel mio spogliatoio e dice, qui si potrebbe allestire un negozio. Tendo ad accumulare, ma ho promesso una parte del guardaroba al nostro amico Dino Trappetti che ha la sartoria teatrale Tirelli».

Dante: «Io cammino in mezzo ai suoi vestiti».

Francesca: «Fa il precisino però si definisce un casinaro organizzato».

Siete tolleranti?

Francesca: «Lui ha un suono di voce molto alto».

Recriminazioni?

Francesca: «Avrei voluto che fosse più avventuroso». Dante: «Ancora di più? Che ti dovevo portare sulla Luna?». Francesca: «Intendo dei viaggi a sorpresa, le avventure sui set, quelle, ci sono sempre».

Radici familiari?

Francesca: «Io vengo da un contesto borghese, le origini sono calabresi».

Dante: «Io vengo dalla povertà dignitosa di Macerata, mio padre faceva il mobiliere. La passione per gli spazi grandi e i set monumentali mi venne per il trauma di quando, durante la guerra, sotto un bombardamento, mi ritrovai sotto un buco angusto e mi mancava il respiro, cercavo aria dalle fessure, mi sembrava di morire. Da allora, soffro di claustrofobia».

Come avete cominciato a lavorare insieme?

Francesca: «Non voleva che lavorassi con lui. Ma era spesso via sui set per lavoro, che senso aveva… Il nostro primo film insieme fu La pelle di Liliana Cavani, 1981».

Cosa vi attrae dell’altro?

Dante: «Agli Oscar, quello per il film di Tim Burton, Sweeney Todd, eccetera, Francesca invece di pensare a noi si mise a elogiare la bellezza di Cate Blanchett incinta… Una cosa molto femminile che sminuiva la tensione emotiva del momento. Gli amici dicono che è la mia arma segreta».

Vi ricordate la vostra prima volta a Hollywood?

Dante: «Lo racconto nella mia autobiografia che esce ora e che ho dedicato a Francesca, Immaginare prima: le mie due nascite, il cinema, gli Oscar. Dunque, cercavamo come due bambini la scritta Hollywood sulla collina indossando magliette con quella stessa parola, sembravamo due tunisini giunti alla meta».

Vi portate il lavoro a casa?

Dante: «No, mai. Ma parlammo molto dei disastri avvenuti sul set di Le avventure del barone di Münchausen di Terry Gilliam: lo sforamento del budget, la biancheria intima issata su una gru di 80 metri per costruire la mongolfiera, i costumi bloccati dalla dogana turca. Uno dei più grandi flop della storia del cinema è considerato un capolavoro di fantasia e visionarietà».

Con Pasolini, il primo maestro, vi davate del «lei»?

Dante: «Sempre. La sua lezione sono citazioni e riferimenti, Giotto, i fiamminghi, il Manierismo, Bruegel, i miei bozzetti nascono sempre dal confronto con la Storia dell’arte, grazie a lui ho visto il cinema attraverso la pittura. È quello che per primo ha creduto in me, Medea, Il Vangelo secondo Matteo che mi ha molto toccato, un giorno ho voluto portare la croce di Gesù per capire cosa si prova. Io sono cattolico praticante, la domenica a Messa accendo otto candele per i nostri cari».

E con Fellini?

Dante: «Mi chiamava Dantino, dopo un po’ passammo al tu. Per Satyricon chiese un colore beige a Luigi Scaccianoce, lo scenografo di cui io ero aiuto. Era un veneziano che faceva due, tre film insieme, lavorava per Rossellini e Lizzani, mi presentò tanti registi. Federico era scontento, allora raccolsi un pezzo di cartone dal pavimento e dissi, questo può andare? Ecco, bravo, questo sì. Pensare che sui titoli di coda l’editor tolse il mio nome perché l’avevo mandato a quel paese».

Fellini e il mondo onirico, era ossessionato dai sogni.

Dante: «Mi chiedeva cosa sognassi, io li inventavo, i sogni. C’è una frase che rubo a Giulietta Masina, quando diceva che suo marito Federico diventava rosso quando diceva la verità».

Martin Scorsese?

Francesca: «Ci capiamo senza parlare. È di poche parole ma di tanti fatti, mi ha dato una mano preziosa per avere la Green Card in Usa».

Il Papa vi ha ricevuti.

Francesca: «Era una messa privata, alle 7 del mattino, a Santa Marta, dove abita. Al termine ci ha detto, mi compiaccio. Mi raccomando, andate avanti così, senza sorprese».

22 novembre 2022 (modifica il 22 novembre 2022 | 23:01)

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, 2022-11-22 23:23:00, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, coppia da sei premi Oscar: «A casa non si parla di cinema». «La prima volta a Hollywood cercavamo come due bambini la famosa scritta sulla collina, indossando magliette con quella stessa parola», Valerio Cappelli

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