di Roberto Saviano
Bisognerebbe demolire gli abusi o condonarli e con il ricavo mettere in sicurezza il territorio. Ma come al solito non si decide, si resta nel mezzo. E proprio nel mezzo ci sono le frane e le tragedie
Ischia, Procida, Capri: chi non c’è stato non potrà comprendere mai il motivo che innesca il desiderio, quando si è lì, di pensarsi creature inventate dagli Dei. Roccia e mare, vicolo e giardino, arrampicata e strapiombo. Stiamo parlando di terre in mezzo al mare, come mi hanno insegnato a definirle. Chiunque, una volta messo piede su queste isole, ha provato almeno per un istante ciò che dice Alphonse de Lamartine di Ischia «È l’isola del mio cuore, è l’oasi della mia gioventù, è il riposo della mia vecchiaia».
Ecco, si badi, non un luogo che vuoi visitare, a cui vuoi tornare per ristorarti, nulla di tutto questo. Bensì un luogo dove sceglie di vivere. Su quest’isole ci arrivi e immagini come d’instino la tua esistenza per sempre piantata li.
Ischia rispetto alla sua rivale turistica Capri è sempre stata isola più accessibile, adatta a un turismo d’ogni estrazione dal lusso al popolare, isola più metropolitana e meno elitaria, meraviglioso luogo assai più vicino culturalmente a Napoli rispetto anche a Procida, più piccola e con i suoi abitanti tutti o quasi imbarcati sulle navi commerciali e crociera. Ischia è l’isola più napoletana del golfo e questo l’ha resa frequentatissima, densa, assediata.
La tragedia di queste ore è accaduta a Casamicciola nella zona settentrionale di Ischia. Casamicciola è luogo di leggenda che racconta dove Ulisse riprese le sue forze nel Gurgitello, il ruscello di acqua calda che l’ha resa meta termale amatissima da Ibsen, de Lamartine, sino alla cancelliera Merkel. Eppure un luogo così d’incanto è sempre stato spazio di tragedia e di instabilità, di insicurezza estrema e di assedio cementizio.
Per comprendere quanto è endemico il disastro in quel territorio basta ascoltare una vecchia espressione del dialetto napoletano: «È ’na Casamicciola»; oppure «è successa ’na Casamicciola»; o ancora «faccio succedere ’na Casamicciola», metafora per dire «gran disastro, gran confusione, gran disordine, distruzione». Tutto questo discende dalle continue frane che da secoli avvengono a Casamicciola e che tutto travolgono, ma soprattutto dalla tragedia del terremoto del 1883. La vittima più illustre del disastro di Casamicciola fu Bendetto Croce. Uno degli scrittori veristi più talentosi dell’epoca, Carlo Del Balzo, nel 1883 pubblicò a Napoli (per Tipografia Carluccio, De Blasio & C.) il libro «Cronaca del tremuoto di Casamicciola» dove scrisse: «Era anche a villa Verde tutta la famiglia Croce di Foggia. Erano nella loro camera la signora Croce e la figliuoletta, il sig. Croce e il primogenito, seduti presso un tavolino, scrivevano, in una stanza attigua; la porta di comunicazione era aperta. La signora Croce e la fanciullina cadono travolte nel pavimento, che crolla tutto: non un grido, non un lamento, muoiono istantaneamente. Al contrario, il sig. Croce, sebbene del tutto sepolto, parla di sotto le pietre. Il suo figliuolo gli è daccanto, coperto fino al collo dalle pietre e dai calcinacci. E il povero padre gli dice: offri centomila lire a chi ti salva; e parla col figlio, che non può fare nulla per sé, nulla pel babbo, tutta la notte!». Dalla tragedia che sterminò la famiglia Croce lasciandolo unico superstite ad oggi c’è stato una cementificazione continua, una impossibilità reale di gestire mettendo in sicurezza l’isola.
Disboscare, costruire, speculare, l’unico imperativo è sempre stato solo guadagnare e sopravvivere. Null’altro. Così non possono non accadere frane, si tende solo ad aspettare e sperare di non trovarsi in casa o in strada quando succederà. Fatalismo, da sempre la regola delle mie terre. Lo stesso che fa vivere alle pendici del Vesuvio nonostante si sappia che difficile sarebbe salvarsi in caso di eruzione nonostante il monitoraggio dell’attività del vulcano.
La bellezza di questi posti, il loro incanto copre l’orrore della gestione, l’assurdità contorta della burocrazia, del familismo che la governa, della mancanza endemica dei fondi pubblici.
Non è accaduto nulla nel 2006, quando a Ischia Luigi Buono, 53 anni, che lavorava come cuoco al porto, fu travolto da una frana identica a quella di queste ore e morì insieme alle sue tre figlie: Anna di 18 anni, Maria di 16 e Giulia di 15. Non è accaduto davvero nulla dopo la morte di Anna De Felice nel 2009 (15 anni) travolta anche lei insieme alla madre.
Sento arrivare già il commento: ma è l’abusivismo. Se davvero fosse così (e non bisogna associare abusivismo a lusso turistico perché non è quasi mai così) le soluzioni sono due: o condonare in cambio di una messa in sicurezza totale o abbattere immediatamente. Ma se abbatti perdi voti, perdi consenso su tutta l’isola. E poi non ci sono nemmeno i soldi per farlo. Come al solito il nostro paese non decide: si è sempre nel mezzo. E proprio nel mezzo ci sono le frane, che tutta l’immensa bellezza di Ischia non può impedire e nemmeno trattenere.
26 novembre 2022 (modifica il 26 novembre 2022 | 17:34)
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, 2022-11-26 16:34:00, Bisognerebbe demolire gli abusi o condonarli e con il ricavo mettere in sicurezza il territorio. Ma come al solito non si decide, si resta nel mezzo. E proprio nel mezzo ci sono le frane e le tragedie, Roberto Saviano