Sinisa Mihajlovic è morto, aveva 53 anni: la malattia scoperta giocando a padel

Sinisa Mihajlovic è morto, aveva 53 anni: la malattia scoperta giocando a padel

Spread the love

di Arianna Ravelli

Sinisa Mihajlovic morto all’et di 53 anni: aveva scoperto la sua malattia – una leucemia mieloide acuta – per caso, nel 2019, giocando a padel. Negli ultimi giorni le notizie sull’aggravarsi delle sue condizioni, oggi la conferma della morte. In Italia ha giocato per Roma, Sampdoria, Lazio e Inter; ha allenato Bologna, Fiorentina, Sampdoria, Milan e Torino. Lascia la moglie Arianna e sei figli

Sinisa Mihajlovic morto oggi a causa della grave forma di leucemia che lo aveva colpito anni fa. L’allenatore di calcio ed ex calciatore serbo aveva 53 anni. Lascia la moglie Arianna e sei figli, una delle quali gli aveva da poco dato una nipotina.

luglio, anno 2019, siamo nella sede di Casteldebole, il centro di allenamento del Bologna. Sinisa Mihajlovic qualche giorno prima, quando era ancora in vacanza in Sardegna, ha sentito un dolore all’adduttore, aveva dato la colpa al padel, agli allenamenti tosti a cui si sottoponeva anche a 50 anni, pensava a un’infiammazione.

I medici del Bologna hanno insistito perch facesse degli approfondimenti e gli hanno appena presentato, con mille precauzioni, l’esito: leucemia. Pausa. Ma con questa leucemia si vive o si muore?, la sua reazione, senza girarci attorno, dritta al punto.

Con questa leucemia, oggi, Sinisa Mihajlovic morto. Ed un finale che strazia, dopo tre anni di lotta e di speranza, come in un libro scritto male la fine arrivata per Natale, adattando Francesco Guccini e la sua storia ambientata sempre a Bologna.

Ma per tre anni Sinisa ha vissuto, ha lottato, allenatore della sua stessa terapia, voleva sapere tutto da medici e infermieri: tre ricoveri e tre cicli di chemio, un trapianto, il ritorno in panchina a tempi record per la prima col Verona, gli occhi infossati, i chili persi, un altro sorriso dell’amatissima moglie Arianna (un colpo di fulmine tanti anni fa a Roma, chiss che figli bellissimi verrebbero con lei, sono stati cinque: uno pi bello dell’altro in effetti), gli allenamenti seguiti sull’iPad, la squadra sotto la finestra dell’ospedale a festeggiare le vittorie (e la sua ironia, graffiante, non mi fanno uscire perch porta bene, perdete senn mi tengono qui), il festival di Sanremo con l’amico Zlatan Ibrahimovic, un esonero discusso, la nascita della nipotina Violante, figlia di Virginia, una ricaduta, altre cure, un altro trapianto.

Vita. Complicata, diversa da quella di prima, ma vita.

Dieci giorni fa Sinisa era comparso a sorpresa a Roma alla presentazione del libro di Zdenek Zeman, due irregolari che si sono sempre piaciuti. Nessuno poteva immaginare che sarebbe stata la sua ultima uscita pubblica.

Nell’autobiografia La partita della vita scritta con Andrea Di Caro, vicedirettore della Gazzetta dello Sport, Sinisa raccontava che era nato due volte, la prima il 20 febbraio 1969, a Vukovar, ex Jugoslavia, era un gioved e non ho pianto. Mi hanno raccontato che avevo gi un’arietta da duro, hanno dovuto sculacciarmi tre volte per farmi emettere un urlo.

La seconda il 29 ottobre 2019, all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, grazie a un ragazzo americano, sconosciuto, che gli aveva donato il midollo osseo. Quella volta, Sinisa pianse eccome: doveva essere l’inizio di un percorso pi lungo. Non era la stessa persona. Non era pi quello che divideva, del che c… guardi? a chi soffermava lo sguardo, che veniva chiamato zingaro negli stadi, era il Sinisa che aveva contagiato tutti con la sua lotta e la sua debolezza, la sua sfida alla malattia giocata attaccando e pressando alto, un Sinisa che non era abituato a trovare tutto questo consenso, lui che non lo aveva mai cercato.

Nel calcio c’ spazio per un luogo comune alla volta, cos per parlare di Mihajlovic non si pu non attingere al vocabolario del guerriero, del combattente, perch cos che si cresce a Borovo, con pap Bogdan, camionista, e mamma Viktorija, operaia alla Bata (la fabbrica di scarpe) che lo lasciavano a 5 anni a badare al fratello pi piccolo Drazen, poi calciando tutto il giorno da una parte all’altra di un enorme campo con due porte senza reti, una banana divisa come il migliore dei regali (tanto che il massimo dei sogni, per il futuro, era un camion di banane che mi sarei mangiato tutto da solo), e poi naturalmente la guerra fratricida in casa, le famiglie disgregate, lo zio, croato, fratello della madre, che voleva scannare come un porco suo padre, l’amicizia con la Tigre Arkan.

Per uno che ha visto questo, cosa volete che fossero le ansie del pallone? Che siano vincere da calciatore con Stella Rossa (una Champions da ragazzino), Sampdoria, poi Lazio e Inter (due scudetti, 4 Coppe Italia, una Coppa Uefa, una Supercoppa, 28 gol su punizione, tre nella stessa partita), diventare allenatore prima da secondo di Mancini e poi in proprio, Bologna, Catania, Fiorentina, Nazionale serba, Sampdoria, il salto al Milan, e poi Torino, ancora Bologna.

Di s stesso in panchina ha sempre rivendicato la capacit di valorizzare i giocatori, lanciare i giovani, far crescere il valore della squadra. Guardate chi arrivato dopo di me: ha sempre fatto peggio, ed era vero. Ma Sinisa era anche un uomo spiritoso, capoclan allegro, la musica serba nelle orecchie, che faceva vedere i film ai suoi giocatori, che amava Kennedy e leggeva i libri su Ghandi, che ha ricucito anche i rapporti incrinati dopo gli esoneri perch non voglio lasciare macerie.

Ne aveva viste abbastanza nella sua vita. Dell’Italia, che considerava casa, diceva che era un Paese incattivito, senza pi solidariet, come la mia ex Jugoslavia, per fortuna che voi siete tutti cattolici.

Lui aveva scelto tre fotogrammi per sintetizzare la sua vita: La prima volta che ho visto Arianna; la nascita dei miei figli; la rincorsa, il sinistro e la palla all’incrocio.

Quest’ultima palla uscita. Quindi Sinisa, con questa leucemia si muore. Ma, un pochino, si vive per sempre.

16 dicembre 2022 (modifica il 16 dicembre 2022 | 16:43)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-12-16 15:30:00, Sinisa Mihajlovic è morto all’età di 53 anni: aveva scoperto la sua malattia – una leucemia mieloide acuta – per caso, nel 2019, giocando a padel. Negli ultimi giorni le notizie sull’aggravarsi delle sue condizioni, oggi la conferma della morte. In Italia ha giocato per Roma, Sampdoria, Lazio e Inter; ha allenato Bologna, Fiorentina, Sampdoria, Milan e Torino. Lascia la moglie Arianna e sei figli , Arianna Ravelli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.