Milano, faida fra trapper: sparatoria in corso Como, arrestato Baby Gang

Milano, faida fra trapper: sparatoria in corso Como, arrestato Baby Gang

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di Andrea Galli

Decapitata la banda di Simba la Rue del quale è stato risolto l’accoltellamento da parte dei rivali. Attacchi a giornalisti e agenti: «Io il vostro stipendio lo mangio a pranzo». Due mesi prima i giudici avevano rigettato la richiesta di sorveglianza speciale

«Abbiamo rischiato troppo… Io sono già dentro… Tra un anno e mezzo arriverà tutto, un anno e mezzo, due». E no: era lo scorso 4 luglio quando alcuni «soldati» della gang dei musicisti trapper capeggiata dai noti «Simba la Rue» e «Baby Gang», intercettati senza saperlo parlavano dell’aggressione, il giorno prima, all’alba, nella zona milanese dei locali di corso Como (due senegalesi gambizzati, da «punire» per antichi presunti torti). E adesso siamo qui, «appena» a inizio ottobre, dunque in larghissimo anticipo rispetto alle loro previsioni, a raccontare che le indagini sono terminate, e che quei ragazzi, insieme ad altri, avranno da duellare contro la giustizia. L’operazione all’alba di polizia e carabinieri ha innescato due ordinanze cautelari contro 11 persone. Lo sfondo è sempre quello: la faida tra le gang, già generatrice di 9 arresti dei carabinieri a fine luglio. E se contiamo l’odierna e contestuale ordinanza di Bergamo contro 5 «soldati» dello schieramento opposto, quello di «Baby Touché», non è sbagliato ipotizzare una consistente decapitazione delle bande. Dopodiché, siccome a volte il tempo qualcosa regala, non possiamo non iniziare da due storie personali. Le storie proprio di loro due: «Simba la Rue» e «Baby Gang». Amati, venerati, omaggiati dal popolo dei social che segue, esulta, imita. Contro le regole, contro il sistema, contro gli adulti. Contro tutti e nessuno.

Le stampelle come armi

Ebbene, di «Simba la Rue» s’era sinceramente trascorsa mezza estate a resocontare le gravi condizioni di salute, conseguenza dell’accoltellamento subìto in provincia di Bergamo il 16 giugno del quale la locale Procura parrebbe intenzionata a diradare le informazioni degli avvenuti arresti. Al solito, se ne ignora il motivo. Proseguiamo. Un perito aveva giudicato il quadro clinico di «Simba la Rue», al secolo Mohamed Lamine Saida, nato in Tunisia vent’anni fa e residente nel Lecchese, non idoneo al regime detentivo. Del resto a lui, infine operato, era stato suturato e ricollegato il nervo femorale tranciato da quella lama in due monconi. Eppure, tutto ciò premesso, lo stesso Saida che protestava contro la permanenza in cella, dov’era e che cosa faceva quel 3 luglio? Ma ovviamente stava lì, in corso Como, munito anzi armato di stampelle, per reggersi in piedi, poveretto, stampelle che invece sferrava come armi contro i due senegalesi. E ancora, poi trasferito dal carcere a una comunità nonostante il gip Guido Salvini avesse manifestato i propri dubbi sull’ipotesi paventando il rischio di una convivenza con membri del sodalizio, fin da subito Saida entrava, giustappunto, in contatto proprio con affiliati, vedeva, incontrava, telefonava, brigava, insomma superando, si legge in un dirimente e forse definitivo passaggio dell’ordinanza del gip, «anche le più pessimistiche previsioni». Può bastare, in attesa certo della versione del diretto interessato e della difesa del suo avvocato. Passiamo all’altro.

«Cambio vita»

Evitando la scontata riflessione sul nomen omen, discutendo di «Baby Gang», cioè Zaccaria Mouhib, 19enne con abitazione a Sondrio, spiccano annunci come il seguente, sventolati sui benedetti/maledetti social, strumento per i trapper di arruolamento dei discepoli: «Giornalisti pezzi di merda, sbirri infami, polizia associazione mafiosa, faccio più soldi di voi, il vostro stipendio lo mangio a pranzo». Di Mouhib, cui la squadra del questore Giuseppe Petronzi ha dedicato un ampio e strutturato lavoro non investendo unicamente sulla mera attività di contrasto ma ragionando d’insieme, dentro la realtà, non si può non menzionare la precoce carriera criminale, il vano pellegrinaggio, lui pure, per comunità, le risse, i furti, le lesioni personali, le istigazioni a delinquere, la diffamazione, e via elencando – l’elenco è davvero disgraziatamente corposo –; parimenti, a fronte di una «grave, attuale e concreta pericolosità sociale», non si può non menzionare la precedente decisione del Tribunale di rigettare la proposta di una sorveglianza speciale contando sulle garanzie di «Baby Gang» di, testuale, «aver cambiato vita e non avere più necessità di delinquere». Infatti. Per la cronaca, seppur sembri un desolante passaggio scontato, la decisione dei giudici, i quali avevano bocciato l’obbligo di soggiorno a Sondrio, era antecedente (di sessanta giorni) l’agguato di corso Como. In linea non unicamente teorica forse l’offensiva poteva essere evitata, avendo comunque avuto «Baby Gang» un ruolo centrale.

Le certosine indagini

«Non fu rissa banale ed estemporanea ma un episodio di grave violenza e sopraffazione, originato da una logica di banda e da una volontà di controllo del territorio». Così il gip Salvini per inquadrare l’episodio del 3 luglio, che aveva avuto, in prima battuta, la caccia delle «volanti» della polizia, impegnate nella ricostruzione dei fatti, e poi affiancate negli sviluppi dalle ricognizioni della squadra Mobile, e insieme il proseguo delle indagini della Compagnia Duomo dei carabinieri già sul pezzo, in quanto concentrati su due pregressi avvenimenti: un altro pestaggio, nella zona di Porta Venezia, condotto dal gruppo di Saida, e il rapimento del rivale «Baby Touché». Fatto salvo che i carabinieri di Milano del generale Iacopo Mannucci Benincasa, sul complesso tema delle gang giovanili hanno già prodotto un’articolata e avanguardistica mappa milanese, unendo incursioni di analisi sociale alla mera arte d’investigare, i due percorsi di ricerca sono confluiti nella collocazione sulla scena del crimine di ogni personaggio. Volti, nomi, ruoli di chi, quella notte di luglio, quando erano le 5.20, stava in corso Como. Fatti seguiti, i giorni successivi, dalle parole. Sempre intercettate. Eccone alcune. «Noi non spariamo in aria, è quella la verità! I nostri ragazzi, se sparano, sparano addosso alla gente… Baby c’aveva il ferro in mano…». «Se parla troppo, scassalo!». «Gli ho tirato troppe ginocchiate, mi sa… Guarda il suo sangue! Mi fa piacere… Tantissimo mi fa piacere».

La fratellanza

A sociologi e quanti altri le ricche e intense analisi sulla catena di violenze, sui singoli comportamenti, su questa fratellanza di sangue, sulle responsabilità dei genitori e degli educatori, sulle banalizzazioni mediatiche, su certi anacronistici annunci che non tengono conto dei cammini individuali, senza che questi fungano s’intende da giustificazione, sul demandare alle forze dell’ordine e alle comunità, ma sì, se la sbrighino loro e amen. Però, unitamente alle indagini, rimangono i messaggi da esse diffusi: risulta un peccato capitale battezzare la faida quale conseguenza di affari tra delinquenti «periferici» che, in sostanza, non ci riguardano. Fissarsi infatti sulle terre di nascita di alcuni dei ragazzi, sovente ventenni, è una scappatoia per non percorrere il loro successivo cammino, col grosso dell’esistenza trascorsa in Italia. E non a Milano, bensì nella ormai ex serena e illesa provincia padana, in comunità dove amministratori e cittadini si bullano di non avere grossi sostanziali problemi di criminalità. Certe dinamiche di questi ragazzi, aveva da subito ammonito il gip, rimandano alle azioni delle banlieue francesi: la professione della violenza come appartenenza al gruppo, la connivenza, la reciproca protezione, i silenzi, il culto dei capi, la facilità – spaventosa facilità – con la quale un incensurato si rovina la vita partecipando a un agguato e quasi uccidendo un coetaneo. Fra i destinatari delle ordinanze, anche Paulo Marilson Da Silva, principale manager di «Baby Gang», figura apicale per le pubbliche relazioni; Eliado Tuci detto «Lupo», altro servitore di Mouhib; Andrea Rusta, uno che segue come un ultrà o un adolescente innamorato d’un calciatore sia «Simba la Rue» sia «Baby Gang». Di questo Rusta, le intercettazioni riportano l’inesauribile goduria nel ricordare l’accanimento contro i due senegalesi ricordando, com’è prevedibile, che i balordi aveva approfittato di una considerevole sproporzione numerica; da branco; erano sicuri che avrebbero avuto la meglio rischiando zero. Facile, no?

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7 ottobre 2022 (modifica il 7 ottobre 2022 | 07:38)

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, 2022-10-07 05:39:00, Decapitata la banda di Simba la Rue del quale è stato risolto l’accoltellamento da parte dei rivali. Attacchi a giornalisti e agenti: «Io il vostro stipendio lo mangio a pranzo». Due mesi prima i giudici avevano rigettato la richiesta di sorveglianza speciale, Andrea Galli

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