di Luigi Ferrarella
La 33enne si era sistemata, con i suoi 5 bambini, nell’appartamento di un’anziana deceduta. Due pm dello stesso Tribunale hanno chiesto il processo, uno all’insaputa dell’altro, e così si è arrivati ai due verdetti
Due processi in primo grado: stessa imputata, medesimo il reato (occupazione abusiva), identico il fatto e la data e la località (una casa popolare dell’Aler di Milano nel 2017). Solo che un processo finisce con la condanna della donna, l’altro processo invece con la sua assoluzione. Non in due città diverse. Ma nello stesso Tribunale. In due sezioni sullo stesso corridoio. A 40 passi di distanza l’una dall’altra. È il segno di quanto l’informatizzazione degli uffici giudiziari abbia ancora molta strada in concreto da fare per uscire dalla retorica degli annunci.
Ciò che infatti si sarebbe portati a pensare, e cioè che esista un qualche computer che in automatico avverta la Procura che sta chiedendo il giudizio di una persona già mandata a giudizio per lo stesso fatto, o avvisi il Tribunale che sta processando una persona già giudicata per quello stesso fatto, nella realtà non esiste. Sicché, se capita (come può capitare) che per lo stesso fatto arrivi più di una denuncia, e in Procura la notizia di reato venga iscritta per sbaglio due volte, e assegnata quindi a due pm diversi, e poi questi pm chiedano il processo a reciproca insaputa, e uno dei due processi si concluda, ecco che in Tribunale i giudici e le cancellerie dell’altro processo sono «ciechi» rispetto a questo errore, di cui soltanto il difensore potrebbe avvedersi.
Ma l’avvocato deve giustamente fare l’interesse del proprio assistito. E siccome in caso di sentenze contrastanti viene messa in esecuzione quella più favorevole (assoluzione contro condanna, oppure la pena più bassa tra due condanne), ecco che nel caso accaduto a Milano, nel quale l’imputata era stata condannata nel primo processo, l’avvocato ha coltivato tutto l’interesse a far finire il secondo processo per vedere se la propria assistita potesse trarne beneficio. Come appunto è avvenuto con l’assoluzione.
Il primo processo inizia l’1 aprile 2019 e finisce il 16 ottobre 2019, e l’accusa alla donna («aver arbitrariamente invaso, al fine di occuparlo», un alloggio popolare dell’Aler a Milano «in data anteriore e prossima al 28 luglio 2017») nasce da un controllo degli ispettori Aler che in quell’appartamento (assegnato a una signora nel frattempo morta) trovano senza diritto la 33enne con 5 figli piccoli, che anche in altri cinque controlli nelle settimane successive dice di stare lì da 9 mesi, e di avere avuto le chiavi dal compagno di una sua amica che l’aveva accolta per scontare una condanna in detenzione domiciliare.
Ma anche se fosse così, argomenta la giudice Amelia Managò della VI sezione penale del Tribunale, comunque «non è configurabile lo stato di necessità», perché non ogni permanente difficoltà economica può scriminare l’occupazione abusiva, ma solo «la presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona», pena legittimare la «surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia»: da qui la condanna a 4 mesi, a lasciare l’immobile, e ad anticipare intanto 3.000 euro di risarcimento all’Aler.
Ma la stessa imputata viene citata a giudizio il 27 settembre 2019 per lo stesso fatto davanti all’VIII sezione del Tribunale, dove il processo inizia il 19 ottobre 2020 e finisce il 16 giugno 2021 con l’assoluzione dell’imputata (difesa dal legale Marco De Giorgio) perché l’accusa, per la giudice Luisa Savoia, «non ha provato che l’occupazione dell’alloggio a partire dal 27 aprile 2017 sia avvenuta ad opera dell’imputata: il solo dato oggettivo che fosse dentro casa il 7 marzo 2019 non consente di riferire all’imputata la condotta di occupazione dell’immobile, considerato che al momento del controllo nell’appartamento era presente anche un’altra persona di cui nulla è stato accertato sulla disponibilità o titolarità dell’immobile». Perciò «si deve dare credito, in mancanza di emergenze di segno contrario, alla versione difensiva della donna, che ha riferito di essere stata ospitata dall’amica per l’esecuzione della detenzione domiciliare».
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17 marzo 2022 (modifica il 17 marzo 2022 | 07:13)
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, 2022-03-17 06:36:00, La 33enne si era sistemata, con i suoi 5 bambini, nell’appartamento di un’anziana deceduta. Due pm dello stesso Tribunale hanno chiesto il processo, uno all’insaputa dell’altro, e così si è arrivati ai due verdetti, Luigi Ferrarella
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