«Mio marito condannato a morte in Iran. L’Italia ci aiuti a salvargli la vita»

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di Viviana Mazza

Parla la moglie del ricercatore iraniano-svedese Ahmadreza Djalali, condannato a morte per spionaggio. Djalali ha lavorato per due anni all’Università del Piemonte Orientale

«Ahmadreza è un ostaggio vero e proprio» dice la moglie Vida Mehrannia. Le agenzie di stampa di Teheran avevano annunciato che l’esecuzione del ricercatore iraniano-svedese Ahmadreza Djalali, esperto di medicina dei disastri che ha lavorato per due anni all’Università del Piemonte Orientale, condannato a morte in Iran con l’accusa di spionaggio, sarebbe avvenuta entro il 21 maggio. La data è passata, la moglie teme che sia imminente. Gli attivisti sperano che la mobilitazione internazionale, a partire dai colleghi di Novara (che ha dato a Djalali la cittadinanza onoraria) possa salvargli la vita.

La moglie di Djalali usa più volte la parola «ostaggio» nel corso di questa intervista con il Corriere della Sera. Non ci sono stati annunci ufficiali, ma l’esecuzione potrebbe essere stata posticipata «de facto», secondo Mahmood Amiry-Moghaddam, che ha seguito il caso per «Iran Human Rights», ong con sede a Oslo: lo porta a crederlo il fatto che la magistratura svedese ha annunciato che la sentenza di Hamid Nouri — detenuto iraniano sotto processo in Svezia con l’accusa di aver partecipato alle esecuzioni politiche in Iran negli anni Ottanta — arriverà il 14 luglio. «La Svezia non può interferire con l’esito del processo ma dopo il verdetto potrebbero scambiare i prigionieri. È evidente che Djalali viene trattato come un ostaggio e l’errore dei Paesi europei è non usare questo termine, come fecero gli americani con il personale della loro ambasciata a Teheran nel 1979-80».

Quando lo avete sentito l’ultima volta?

«La scorsa settimana abbiamo parlato con lui indirettamente, attraverso i sui parenti in Iran. La magistratura ci ha vietato i contatti diretti. A parte il fatto che continua a preoccuparsi per me e i nostri bambini, sembra molto calmo. È innocente, è stato arrestato per aver rifiutato di cooperare con l’intelligence iraniana nell’Unione europea e adesso è senza alcun dubbio un ostaggio che il regime sta usando per ottenere la liberazione dei propri agenti in Belgio e in Svezia. Ma Ahmadreza sa anche che spesso i sequestratori uccidono i loro ostaggi se le autorità (nel suo caso, Belgio e Svezia) non accettano le loro richieste. Quindi si aspetta che sarà facile per un regime brutale uccidere un prigioniero innocente. Le sue condizioni di salute, fisica e psicologica, sono gravi. È sotto torture durissime, incredibili, da molto tempo».

Nei giorni scorsi la tv di Stato iraniana ha ritrasmesso la presunta confessione di Djalali. È accusato di aver passato a Israele informazioni per assassinare scienziati iraniani legati al programma nucleare.

«Una confessione forzata — continua la moglie —, un video pieno di tagli, un copia-incolla narrato in terza persona. Era stato torturato, gli agenti dell’intelligence avevano minacciato di fare del male alla sua famiglia e ai suoi figli e gli avevano fatto credere che sarebbe stato rilasciato subito dopo l’intervista. Peraltro non si sentono nemmeno le sue risposte, si sente solo la voce del narratore».

È possibile che ci sia uno scambio con Hamid Nouri?

«Al momento le azioni della Svezia e probabilmente dell’Ue sono fallite e ci aspettiamo di sentire la notizia dell’esecuzione di Ahmadreza. Non so cosa sia successo nelle relazioni diplomatiche dell’Iran con la Svezia o il Belgio e l’Ue ma non ci sono stati risultati, al momento. Come ha detto anche Amnesty, Ahmadreza è un ostaggio vero e proprio e il regime iraniano ha cercato già di scambiarlo con Assadollah Asadi in Belgio (diplomatico iraniano condannato a 20 anni per aver progettato un attentato contro esuli, ndr) o con Nouri in Svezia. Non è semplice per noi sapere esattamente cosa accade nei corridoi della diplomazia. Ciò che io e i miei figli abbiamo chiesto all’Ue e in particolare alla Svezia, al Belgio e anche all’Italia e al Vaticano è questo: per favore impedite che un innocente venga ucciso, prima che sia troppo tardi aiutateci a liberare Ahmadreza. Avrebbe potuto cooperare con gli agenti iraniani (alcuni anni fa) e ora sarebbe con noi in Svezia, ma ha seguito principi etici e umanitari, ignorando offerte che avrebbero potuto mettere a rischio e uccidere cittadini europei. L’Italia ha rapporti molto buoni con l’Iran e le vostre autorità potrebbero risolvere questo caso».

1 giugno 2022 (modifica il 1 giugno 2022 | 22:43)

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, 2022-06-01 21:44:00, Parla la moglie del ricercatore iraniano-svedese Ahmadreza Djalali, condannato a morte per spionaggio. Djalali ha lavorato per due anni all’Università del Piemonte Orientale, Viviana Mazza

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