La moglie di Saramago: «José fu umanista, non comunista. Vedeva le cose arrivare, come Cassandra»

La moglie di Saramago: «José fu umanista, non comunista. Vedeva le cose arrivare, come Cassandra»

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di Alessandra Coppola

Pilar del Río presenta a 7 il nuovo volume «Lezioni italiane», che raccoglie le lezioni tenute dallo scrittore in università, festival e teatri italiani nell’arco di oltre 20 anni

All’approssimarsi della sua ultima ora, José Saramago volle tornare in Italia. Lasciò dunque la confortevole casa sulle pendici laviche di Lanzarote e, sostenuto come sempre dalla moglie spagnola Pilar, si riempì gli occhi di Roma, ne annusò le strade, il lungotevere, i ciottoli. «Aveva bisogno di respirala, di sentirsi ancora una volta in Italia» ricorda adesso Pilar del Río «e fu appena prima di morire». Preferita tra le sue «altre patrie», amata, attraversata, descritta, dalla scoperta nell’agosto 1970 alla scelta di ambientarvi Manuale di pittura e calligrafia, dall’arte all’amicizia, Fo, Bertolucci, Magris, fino alla fine dei suoi giorni, nel 2010, l’Italia per Saramago è stata «un premio », «una Mecca», un pellegrinaggio necessario a «garantirsi la salvezza dell’anima». Ricambiato da affetto, profonda stima, profluvio di inviti e lauree ad honorem (la prima della sua vita a Torino), ai quali lo scrittore portoghese rispondeva con generosità. Di questi interventi in aule universitarie e conferenze, semidimenticati se non inediti, a cento anni dalla nascita, La Nuova Frontiera ha fatto ora una raccolta: Lezioni italiane, chiara citazione dalle celebri Lectures americane di Italo Calvino, che riescono a ricomporre con coerenza pensieri, poetica e impegno tra il 1992 e il 2003, riportando ancora una volta il Premio Nobel da noi (cura e prefazione essenziali di Giorgio de Marchis).

«LE ORIGINI SONO TUTTA UNA FINZIONE. NON AVREBBE DOVUTO CHIAMARSI SARAMAGO: QUELLO ERA IL SOPRANNOME DELLA SUA FAMIGLIA»

La vedova Pilar del Río,mi pilar, «il mio pilastro» come la invoca José in una delle innumerevoli dediche giocando con le parole, si incarica di accompagnare anche questa pubblicazione postuma e di rievocare per 7, collegata dallo studio dipinto di rosso della Fondazione Saramago di Lisbona, la lunga e intensa relazione dell’autore con il nostro Paese. «L’ho annotato anche nel mio libro sulla sua vita a Lanzarote (La intuición de la isla, appena edito in Spagna da Itineraria, ndr): c’era in Saramago una gratitudine nei confronti dell’Italia che veniva da lontano, da quando aveva conosciuto la bellezza percorrendo il Paese come si percorre un corpo che si aspetta e si ama. Era presente sempre, era come un sogno, uno sfondo costante».

Che cosa le ha raccontato suo marito dei suoi primi approcci con l’Italia?

«Oltre a quello che mi ha raccontato penso al Manuale di pittura e calligrafia: l’ammirazione del pittore protagonista che scopre la bellezza assoluta era la stessa dello scrittore. Il nostro primo viaggio assieme fu proprio un percorso che ricalcava quello del libro, cercando di tornare alle stesse emozioni, davanti alle stesse opere. Nulla è uguale, certo,ma perme l’emozione non era incontrare Giotto o Mantegna (su cui mio marito ha scritto peraltro il testo Un’etica, un’estetica); la mia emozione era guardarlo mentre ammirava quelle opere».

E così è rimasta a osservarlo, compagna e complice della fase ultima e più prolifica di uno scrittore maturato col tempo. È lui stesso a segnalarlo come uno snodo nell’autobiografia che ciclicamente aggiornava: «Nel 1986 conobbi la giornalista spagnola Pilar del Río». A margine di una festa, nel documentario dedicato al loro sodalizio (José e Pilar) lo confessa a un commensale: «Mi chiese un appuntamento, aveva letto tutti i miei libri. Quando la vidi arrivare capii che lei era un’altra cosa. Non facemmomai l’intervista… ». Si sposarono nel 1988, si trasferirono a Lanzarote per sfuggire all’ondata di censura bigotta che aveva scatenato in Portogallo Il Vangelo secondo Gesù Cristo. Costruirono una dimora bianca chiamata semplicemente “A Casa”, riempita di libri e di ritratti, e una quotidianità scandita dal lavoro alla scrivania ma anche dalle passeggiate coi cani, dal vino bianco e fresco dimalvasia, dalle visite di amici, giornalisti e spesso anche di fan sconosciuti, accolti da dediche, baci e abbracci.

Epilogo dolce di una storia che era cominciata in una famiglia di contadini senza terra del Ribatejo, il 16 novembre 1922. Anzi il 18 novembre, con un nome aggiunto su iniziativa dell’impiegato dell’anagrafe…

«Le origini sono tutta una finzione» spiega Pilar del Río «perché non nacque il 18 come dice il documento ufficiale, bensì il 16. Né avrebbe dovuto chiamarsi Saramago, era un soprannome della famiglia (da un’erba spontanea, ndr): avrebbe dovuto chiamarsi solo José de Sousa…».

Prima tappa di un percorso che sembra già destinato al romanzo. Se è vero, parole di Saramago, che «tutto è autobiografia», che influenza hanno avuto queste vicende nei suoi libri?

«Mai raccontava di cose proprie, tuttavia in ogni libro vive l’autore. E nei suoi libri viveva lui. Tutto quello che raccontava era quello che la sua sensibilità e la sua intelligenza proponevano. Mai casi concreti, situazioni concrete. Salvo che ne Le piccole memorie, in cui ha scritto di quando era bambino e adolescente, fino a quando scoprì la prima bugia e terminò la sua età dell’innocenza. Negli altri libri non vi è mai rigorosamente nulla di autobiografico, eppure tutto è autobiografico perché racchiudono il suo pensiero, il suo sentire, le aspirazioni, i sogni, le delusioni».

«NON ERA PROFETICO: OSSERVAVA E PENSAVA. COSÌ SONO TUTTE LE DONNE NELLE SUE OPERE, CAPACI DI VEDERE. COME IN ‘CECITÀ’»

Uno dei temi centrali di queste Lezioni italiane è il rapporto tra la scrittura e «le zone d’ombra» della Storia, in cui si inserisce il romanzo…

«La Storia ufficiale è stata scritta a beneficio di principi e guerrieri: una vicenda di battaglie e conquiste. Saramago leggeva molto i cosiddetti “nuovi storici” che danno rilievo a personaggi una volta emarginati, come le donne. Diceva che a lui non interessava tanto la Storia quanto il Passato, dove possiamo incontrare Pitagora, Michelangelo e Bertolucci, per dire, sullo stesso piano. E poi all’interno del Passato gli interessava recuperare voci. Il Monastero di Mafra (monumento nazionale portoghese a cui è dedicato Memoriale del convento, ndr) è stato costruito dall’architetto tal dei tali? No, nel suo libro lo costruirono una serie di uomini con nomi e cognomi, che vissero, soffrirono, amarono e morirono. Dunque, se la Storia ufficiale racconta la guerra, la letteratura racconta realmente la vita».

In un intervento sul poeta Antonio Machado, Saramago lancia un appello a «fare politica» («a viso scoperto», aggiunge): qual era il suo modo di fare politica?

«In uno dei suoi primissimi libri Saramago citò in apertura una frase di Marx e Engels, che suona più o meno: “Se le circostanze formano gli esseri umani, dobbiamo fare in modo che le circostanze siano umane”. Saramago al fondo era umanista, non comunista. E quello che non poteva sopportare erano gli attentati contro l’umanità, che si producono ogni giorno».

Dal ritorno delle politiche autoritarie alla pandemia, Saramago è spesso stato considerato profetico. Del resto, era un apologeta di Cassandra…

«Non era profetico, nella maniera più assoluta: era un pensatore. Osservava e pensava. Se si producono armi e gli Stati continuano ad armarsi, per esempio, ci saranno guerre. Ragionava e vedeva le cose arrivare. Allo stesso modo di Cassandra, alla quale i maschi non davano credito».

Durante il confinamento da coronavirus, uno dei libri più letti, assieme a ‘La peste’ di Camus, è stato ‘Cecità’ di Saramago, in cui un’umanità imbarbarita viene travolta da un’epidemia che rende ciechi…

«Io stessa ho riletto La peste e Cecità, che sta andando tra l’altro in scena nella versione teatrale in questi giorni a Barcellona: è vero, sembra stia parlando della pandemia. Ci siamo ritrovati chiusi in casa senza sapere cosa sarebbe successo. Alcune situazioni limite che racconta Saramago non le abbiamo sperimentate nel nostro mondo privilegiato, ma altrove sì. Gente senza cibo, senza tetto, senza aiuti di nessun tipo: loro hanno vissuto la violenza, la fame, l’abbandono proprio come nel romanzo».

Ruolo chiave in Cecità lo ha la protagonista femminile: l’unica che vede. Ancora Saramago da queste lezioni: «Sono sempre le donne a salvare i miei libri». Si può leggere come un’ulteriore dedica a lei, Pilar «che non era nata e che tanto ha tardato ad arrivare» (da Le piccole memorie )?

«Aveva donne che salvavano i suoi libri prima che io apparissi… In quella frase faceva riferimento al ruolo delle donne nel corso della Storia. Saramago diceva che le donne hanno il potere di osservazione, l’unico potere che non dovevano farsi cedere dagli uomini: cura e osservazione. E tutte le donne delle sue opere hanno questo potere: vedono».

16 novembre 2022 (modifica il 16 novembre 2022 | 08:11)

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, 2022-11-16 07:14:00, Pilar del Río presenta a 7 il nuovo volume «Lezioni italiane», che raccoglie le lezioni tenute dallo scrittore in università, festival e teatri italiani nell’arco di oltre 20 anni , Alessandra Coppola

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