di Cesare ZapperiIl flop nella città portata in serie A: «Lasciamo perdere». In una regione guidata da Lega e Forza Italia dal ’94 ora la coalizione ha soltanto due capoluoghi su 12 «Lasciamo perdere» sbuffa Silvio Berlusconi di fronte alla sconfitta di Monza. Non è bastato l’entusiasmo creato in città per aver portato la squadra di calcio in serie A per la prima volta né l’ultimo comizio in piazza dello stesso presidente di Forza Italia, privilegio non concesso ad altri. Niente da fare, la capitale della Brianza passa al centrosinistra grazie al successo di Paolo Pilotto (51,2%) sul sindaco uscente Dario Allevi (48,8%). E il «paradosso Lombardia», politicamente parlando, diventa ancora più evidente e, a ben vedere, stridente. Perché con il cambio di colore a Monza, che si aggiunge a quello maturato a Lodi quindici giorni fa (quando il venticinquenne Andrea Furegato ha battuto la sindaca leghista uscente Sara Casanova), ora sono ben 9 su 12 i capoluoghi di provincia della regione che risultano guidati da amministrazioni di centrosinistra. Mentre la Regione, come noto, è saldamente in mano al centrodestra dal lontano 1994. In quasi trent’anni, si sono succeduto il leghista Paolo Arrigoni (1994-1995), l’azzurro Roberto Formigoni (1995-2013), il leghista Roberto Maroni (2013-2018) fino all’attuale governatore Attilio Fontana, a sua volta espressione del Carroccio. Solo due città sono guidate dal centrodestra (Pavia e Sondrio), mentre la coalizione si è lasciata sfuggire Como, dove non è andata nemmeno al ballottaggio, a favore del civico Alessandro Rapinese. Mai in passato si è verificata una così marcata distanza tra il voto nei capoluoghi e quello nei paesi e nelle cittadine delle province. E forse è per questo, complice anche la fuga in avanti di Letizia Moratti, che nel centrosinistra più d’uno s’azzarda a pensare che l’anno prossimo, quando i lombardi torneranno ai seggi, la Lombardia sarà davvero contendibile. Il segretario regionale del Pd Vinicio Peluffo lo dice ad alta voce. A suo avviso, dall’ultimo turno elettorale «esce vincente un campo progressista ampio, plurale, capace di dialogare con tutte le forze politiche all’opposizione della giunta Fontana e di dare protagonismo ai tanti civismi che animano il territorio. Questo centrosinistra forte e in crescita ci fa guardare con fiducia alla sfida per le regionali del 2023». Proprio il successo in alcune importanti città ha fatto finire i sindaci tra i possibili candidati alla presidenza. Nel 2018 ci provò il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori (e andò maluccio). Nei mesi scorsi è circolato il nome del collega di Brescia Emilio Del Bono (non più ricandidabile proprio l’anno prossimo). E c’è chi farebbe carte false per convincere il milanese Beppe Sala. Altri preferiscono figure «civiche» come quella di Carlo Cottarelli. Per tutti il nodo resta lo stesso: come esportare in provincia, là dove sta la maggioranza degli elettori, i consensi conquistati in città. In trent’anni nessuno ha trovato la ricetta. 27 giugno 2022 (modifica il 27 giugno 2022 | 21:40) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-27 19:40:00, Il flop nella città portata in serie A: «Lasciamo perdere». In una regione guidata da Lega e Forza Italia dal ’94 ora la coalizione ha soltanto due capoluoghi su 12, Cesare Zapperi