di Andrea Pasqualetto
La bozza delle conclusioni degli esperti: «Nessun segno compatibile con l’azione di terzi». La donna era scomparsa il 14 dicembre del 2021 ed è stata ritrovata il 5 gennaio. Domanda: dov’è stata per 19 giorni?
Liliana Resinovich si sarebbe suicidata e sarebbe morta due, tre giorni prima del ritrovamento del corpo, il 5 gennaio scorso nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. L’anticipazione è dell’Adnkronos che attribuisce la conclusione ai consulenti della procura di Trieste. «Non faccio commenti su un documento che non è ancora stato depositato», taglia corto il procuratore di Trieste, Antonio De Nicolo. Una morte per asfissia che sarebbe sopraggiunta quasi tre settimane dopo la scomparsa della donna, avvenuta il 14 dicembre 2021. Il corpo di Liliana fu trovato vestito all’interno di due sacchi della spazzatura, uno infilato dall’alto e l’altro dal basso, con due buste di nylon intorno al capo.
«Nessuna aggressione»
Un ritrovamento singolare che a lungo aveva fatto pensare all’omicidio. Si tratterebbe di una bozza della relazione firmata dal professore di Medicina legale Fulvio Costantinides e dal medico radiologo Fabio Cavalli, inviata ai consulenti di parte per le loro osservazioni. Gli esperti, incaricati dal sostituto procuratore Maddalena Chergia, riportano i risultati dell’autopsia e degli esami tossicologici, nei quali viene esclusa l’assunzione di droga o farmaci. I sacchi integri che contenevano il corpo della vittima sono considerati «poco compatibili» con un caso di aggressione e con il trasporto del corpo «in ambiente impervio», in più c’è l’assenza di «qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui», la mancanza «di lesioni attribuibili a difesa» e di altre ferite che avrebbero potuto impedirle di reagire a un’aggressione. Il fatto che i sacchetti non sono stati trovati molto stretti al collo «non esclude», a parere dei consulenti, «una morte per una possibile asfissia di questo tipo: se è vero infatti che basta l’inspirio per far aderire il sacchetto agli orifizi del volto cagionando deficit di ossigeno, tale aderenza può essere anche intermittente o addirittura non esserci essendo sufficiente per il soffocamento l’accumulo progressivo di anidride carbonica espirata ed il rapido consumo dell’ossigeno nel poco volume aereo offerto dal sacchetto».
Non c’è la mano di terzi
L’ipotesi di soffocamento appare dunque «plausibile» nel caso specifico, «in assenza di altri segni di asfissia meccanica violenta (strozzamento, strangolamento), non emergendo, inoltre, chiare evidenze oggettive omicidiarie, come pure ipotesi più rare e remote come l’abuso di solventi, le manovre legate ad erotismo con asfissia posta in essere a scopo sessuale». In sostanza, «non emerge» a parere dei consulenti tecnici, «alcunché che concretamente supporti l’intervento di mano altrui nel determinismo del decesso» di Liliana, che si era allontanata da casa senza cellulari e fede nuziale.
Il corpo «non presenta evidenti lesioni traumatiche possibili causa o concausa di morte, con assenza di solchi o emorragie al collo, con assenza di lesioni da difesa, con vesti del tutto integre e normo indossate, senza chiara evidenza di azione di terzi». L’autopsia ipotizza «una morte asfittica tipo spazio confinato («plastic bag suffocation»), senza importanti legature o emorragie presenti al collo».
Dov’è andata per 19 giorni?
Se queste saranno le conclusioni definitive, rimangono sospesi un paio di interrogativi: dov’era Liliana nei 19 giorni che separano il giorno della scomparsa da quello ipotizzato del suicidio? E quei primi risultati attribuiti al medico legale che facevano risalire la morte ai giorni della scomparsa, erano forse sbagliati?
Comunque sia, pare che il caso sia destinato a una richiesta di archiviazione da parte della procura.
9 agosto 2022 (modifica il 9 agosto 2022 | 22:03)
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