Morto a Milano Raffaele Ganci, boss di Cosa nostra e uomo di Totò Riina e dei Corleonesi

Morto a Milano Raffaele Ganci, boss di Cosa nostra e uomo di Totò Riina e dei Corleonesi

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di Cesare Giuzzi

Aveva 90 anni, era ricoverato in ospedale e detenuto a Opera. E’ stato tra i responsabili degli omicidi del giornalista Mario Francese, del vice questore Ninni Cassarà e del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa

E’ stato tra i responsabili degli omicidi del giornalista Mario Francese, del vice questore Ninni Cassarà e del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa. Ma anche delle uccisioni durante la guerra di mafia che ha insanguinato Palermo dei boss «nemici» Stefano Bontate, Salvatore e Santo Inzerillo.

Chi è Raffaele Ganci

Considerato da sempre uomo di Totò Riina e dei Corleonesi, il padrino palermitano Raffaele Ganci è morto all’età di 90 anni nel reparto dedicato ai detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano. Benché sottoposto al carcere duro era ricoverato da tempo dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Successore di Salvatore Scaglione alla guida del mandamento della Noce, ucciso proprio per volere di Ganci nel 1982, il boss era attivo nell’edilizia e nel commercio di carne. Condannato a una serie di ergastoli, Ganci ha scontato il carcere previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario nel supercarcere di Opera (Milano).

La morte di Giovanni Falcone

Il nome di Ganci è legato a molti misteri che ruotano intorno alle stragi del 1992 e 93. A cominciare dalla fase preparatoria degli attentati. Dalla macelleria della sua famiglia, in via Francesco Lo Jacono, a Palermo, c’era un osservatorio privilegiato sulla vicina abitazione del giudice Giovanni Falcone: da lì, secondo lo stesso figlio pentito di Ganci, Calogero, partì l’avviso che il magistrato stava tornando a Palermo, il 23 maggio 1992, perché i mafiosi della Noce videro che la blindata guidata dall’autista giudiziario Giuseppe Costanza aveva lasciato il posteggio sotto casa Falcone. Padrino irriducibile, una volta arrestato e dopo che il figlio decise di collaborare con la giustizia (l’altro, Domenico detto Mimmo, è al 41 bis come pluriergastolano irriducibile), don Raffaele arrivò a rinnegare il nome del figlio pentito. In aula, proprio al processo per la strage di Capaci, chiedendo che Calogero andasse in aula («Sento l’odore di mio figlio»). E a Palermo, durante un processo in corte d’assise, minacciò di dire, se non li avesse detti il figlio, davanti al collegio presieduto da Innocenzo La Mantia, «i nomi dei magistrati corrotti, altrimenti li farò io».

Il vecchio macellaio

Il vecchio macellaio autore di decine di omicidi, i nomi però non li ha mai fatti. Faceva parte della commissione provinciale, Ganci decise e partecipò in prima persona alle stragi del ‘92 e al massacro del vicequestore Ninni Cassarà e dell’agente Roberto Antiochia (6 agosto 1985): per questo la Noce era «nel cuore» di Riina, secondo il pentito Salvatore Cancemi, uno dei tanti accusatori del vecchio patriarca, e da qui il suo legame con il padrino corleonese.

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3 giugno 2022 (modifica il 3 giugno 2022 | 20:53)

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