Morto Abraham Yehoshua, ha narrato la complessità del mondo ebraico

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di Antonio Carioti

Aveva 85 anni, è stato più volte candidato al premio Nobel. I rapporti famigliari sono stati il territorio d’esplorazione privilegiato dello scrittore israeliano

Non aveva mai smesso di riflettere sull’identità e sul futuro d’Israele Abraham Yehoshua , il grande scrittore morto il 14 giugno 2022 all’età di 85 anni, più volte candidato al premio Nobel. Assieme al fraterno amico Amos Oz, scomparso nel dicembre 2018, era stato per molti versi la coscienza critica del suo Paese, anche se poi a un certo punto i due romanzieri si erano divisi sulla soluzione dei due Stati, uno ebraico e uno arabo, come formula capace di assicurare la pace nella loro terra martoriata. Oz continuava a sperarci, Yehoshua non ci credeva più, la considerava impraticabile.

D’altronde la capacità di ricredersi, di rimettere in discussione punti fermi ritenuti inamovibili era tra le qualità maggiori di Yehoshua. Anche la cifra stilistica dei suoi romanzi si era trasformata nel tempo, fino ai cinque dialoghi di cui si compone Il signor Mani del 1990 (Einaudi, 1994), opera d’intenso impegno sperimentale nella quale i protagonisti sono raccontati quasi esclusivamente attraverso le parole di altre persone. Nelle sue origini famigliari, nella sua vita, negli scritti di Yehoshua si rifletteva l’immensa complessità del mondo ebraico.

Viveva con intensità quel patrimonio di sofferenza e di saggezza, ma ne vedeva anche i lati opprimenti per l’equilibrio mentale collettivo. Con il romanzo Il tunnel (Einaudi, 2019), il cui protagonista è colpito da un inizio di demenza senile, aveva voluto interrogarsi simbolicamente sul tema scottante della memoria. Ed era giunto alla conclusione che per i popoli aggrapparsi con forza e ostinazione al passato può essere una sventura, perché ne deriva una scarsa capacità di vivere il presente in modo sereno e di guardare al futuro con fiducia.

Yehoshua sottolineava che di un eccesso di memoria soffrivano tremendamente i palestinesi, ossessionati dal desiderio di essere risarciti per le espropriazioni e le sofferenze subite a partire dal 1948, ma anche gli ebrei, incapaci di concepire una situazione diversa dall’assedio e dal rifiuto del mondo arabo circostante, con in più, sullo sfondo, l’ombra terribile della Shoah. «La troppa memoria — aveva detto lo scrittore — si trasforma in una barriera». E a quel punto ogni dialogo costruttivo diventa impossibile.

Nato a Gerusalemme il 9 dicembre 1936, Yehoshua apparteneva all’ebraismo sefardita. Il padre Yaakov, proveniente da Salonicco, era uno storico insigne, mentre la madre Malka Rosilio era nata in Marocco. Negli anni dal 1954 al 1957 il giovane Abraham aveva prestato il servizio militare e aveva combattuto nella guerra arabo-israeliana del 1956, sotto la guida del carismatico Moshe Dayan, il generale con la benda nera sull’occhio, quando le forze dello Stato ebraico avevano occupato per la prima volta il Sinai, ma erano state costrette a ritirarsi per via della reazione non solo sovietica, ma anche americana, di fronte alla loro offensiva e alla simultanea occupazione franco-britannica del canale di Suez.

In seguito Yehoshua si era dedicato agli studi, laureandosi in Letteratura e Filosofia all’Università di Gerusalemme. E al tempo stesso aveva cominciato a scrivere. Il suo primo libro, una raccolta di racconti intitolata La morte del vecchio, era uscito nel 1962, poi erano seguite altre prove sempre più convincenti. Tra gli anni Sessanta e i Settanta Yehoshua si era affermato come uno degli esponenti principali della cosiddetta New Wave della letteratura israeliana, caratterizzata da una maggiore attenzione verso la psicologia individuale dei personaggi.

Il successo internazionale era arrivato con il romanzo L’amante del 1977, pubblicato in Italia da Einaudi come tutte le altre sue opere: una sorta di composizione polifonica in cui l’autore dava la parola a sei diversi personaggi per narrare le vicende di una famiglia israeliana all’epoca della guerra del Kippur (1973). Un libro che era stato tradotto in 23 lingue e aveva avuto due trasposizioni cinematografiche, una delle quali realizzata nel 1999 dal regista italiano Roberto Faenza. Anche il secondo romanzo di Yehoshua, Un divorzio tardivo (1982), manteneva lo stesso schema dei capitoli scritti ciascuno dal punto di vista di un singolo personaggio. E anche qui al centro dell’intreccio c’erano i rapporti famigliari, territorio d’esplorazione privilegiato per questo autore.

Pur evidenziandone le difficoltà e le fatiche, Yehoshua credeva profondamente nell’istituto del matrimonio come cellula fondamentale della società, purché basato su un piano di rigorosa parità tra i coniugi. Molto legato alla moglie Rivka, una psicoanalista che aveva sposato nel 1960 e che era scomparsa nel 2016, da lei aveva avuto tre figli ed era orgoglioso dei suoi numerosi nipoti. Dopo la morte di Rivka, Abraham si era trasferito a Tel Aviv da Haifa, città nella cui università aveva a lungo insegnato, per stare più vicino al resto della famiglia.

All’intesa attività letteraria, che lo aveva visto nel corso del tempo pubblicare diversi romanzi molto apprezzati, come Ritorno dall’India (1994), Viaggio alla fine del millennio (1997), La sposa liberata (2001), Il responsabile delle risorse umane (2004), Fuoco amico (2007), Yehoshua aveva abbinato l’impegno politico alla ricerca di uno sbocco pacifico per il conflitto arabo-israeliano, i cui riverberi sono presenti anche in diversi suoi lavori narrativi.

Dopo avere sostenuto a lungo, con Oz e con l’altro amico David Grossman, il disegno di arrivare alla creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele, che pareva in qualche modo delinearsi dopo gli accordi di Oslo, negli ultimi tempi aveva cambiato idea. Fallito il processo di pace avviato negli anni Novanta, era giunto alla conclusione che, dopo il ritiro delle forze armate dello Stato ebraico dalla striscia di Gaza, sarebbe stato impossibile evacuare l’ormai troppo numerosa comunità dei coloni israeliani residenti nei territori posti oltre il confine del 1967. Riteneva quindi che tutto sommato convenisse sancire anche sul piano formale l’esistenza di uno Stato unico binazionale esteso dal fiume Giordano al mare, concedendo gradualmente diritti di cittadinanza agli arabi di Gerusalemme e poi della Cisgiordania.

Di idee progressiste, sapeva riconoscere tuttavia i torti della sua parte e le doti politiche del premier di destra Benjamin Netanyahu, che assimilava a Silvio Berlusconi. Vincitore di premi letterari in diversi Paesi, Yehoshua se ne era aggiudicati parecchi in Italia, tra i quali il Grinzane Cavour, il Boccaccio, il Flaiano, il Viareggio alla carriera. Era regolarmente ospite nel nostro Paese in occasione delle manifestazioni culturali più rilevanti e guardava con interesse e rispetto alla religione cristiana, non soltanto alla figura di Gesù, ma anche a quella di san Paolo. Segnato dalla scomparsa della moglie e poi da quella di Oz, Yehoshua considerava tuttavia la propria fine senza angoscia, anche se non credeva nell’aldilà. «La morte – aveva detto in un’intervista con Aldo Cazzullo sul Corriere – è molto importante. Un dono che facciamo ai nostri nipoti: lasciare loro spazio».

14 giugno 2022 (modifica il 14 giugno 2022 | 21:52)

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, 2022-06-14 19:58:00, Aveva 85 anni, è stato più volte candidato al premio Nobel. I rapporti famigliari sono stati il territorio d’esplorazione privilegiato dello scrittore israeliano, Antonio Carioti

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