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La proposta di legge di Fratelli d’Italia, che vuole difendere la lingua italiana proibendo l’uso di parole straniere come meeting o feedback, ha già sollevato un ampio dibattito.
Secondo la proposta, sono previste delle multe che potrebbero variare da 5mila a 100mila euro, a seconda della gravità del “reato” e delle circostanze.
Sul tema è già intervenuta l’Accademia della Crusca, come raccontato in un precedente articolo: secondo gli esperti linguisti, l’idea di multare chi utilizza parole straniere è non solo inefficace, ma anche ridicola. La lingua italiana, infatti, è stata influenzata nel corso dei secoli da molte lingue diverse, e l’utilizzo di parole straniere è parte integrante della sua evoluzione e del suo arricchimento.
Sulla questione arriva la riflessione di Valerio Ricciardelli, studioso ed esperto di Technical Education, che critica senza mezzi termini la proposta di legge a firma Fabio Rampelli.
“Per chi si occupa da una vita di EDUCATION-ECONOMY-EMPLOYABILITY e quindi conseguentemente di organizzazione aziendale, profili di ruolo, competenze e pertanto di mercato del lavoro in una economia mondiale, ciò che è stato proposto da questi parlamentari ha dell’incredibile“, dice Ricciardelli.
“Chi ha concepito questa idea sembra che non conosca come funziona l’economia mondiale, l’economia europea, l’economia nazionale e come sono legati tra di loro i sistemi economici. Non si conosce come sono organizzate le aziende, che cosa sono i mercati, cos’è il mercato del lavoro, come si denominano le “funzioni” ricoperte nelle aziende e perché si denominano con un linguaggio universale, che è e deve essere, innanzitutto, il linguaggio del business e che, per ora, è la lingua inglese“, prosegue.
“Le aziende italiane, appartenenti a gruppi internazionali, che sono tantissime, e che continuamente si relazionano con tutte le altre loro consociate, ovviamente usando il LINGUAGGIO DEL BUSINESS, e cosa dovrebbero fare, di fronte ad una simile legge, qualora andasse in porto? Dovrebbero modificare la denominazione delle funzioni aziendali,” italianizzandole” tutte? Dovrebbero prevedere, nella loro organizzazione aziendale, un nuovo reparto di COMPLIANCE che controlla se la terminologia usata nella organizzazione aziendale è in lingua nazionale e non contraria alla legge? E chi, e come si controlla il non rispetto della legge?“, si chiede sarcasticamente l’esperto.
E ancora: “si dovrebbe anche sapere che nel governo c’è un “ministero del made in Italy”, che tradotto significherebbe “ministero dei beni costruiti in Italia”. Che sia anche questo ministero fuorilegge per l’uso “dilagante delle parole straniere”? E quindi sanzionabile?”
“Aggiungo anche, che in molte nostre università, le tesi della laurea magistrale si scrivono e si discutono ormai in inglese. Sarebbe reato anche questo?“, fa notare Ricciardelli, che propone una riflessione più pratica del tema, da suo punto di vista, che ritiene come tale proposta “sia collegata alla grave ed evidente situazione del PNRR“.
“Forse – prosegue – è dovuta anche alla difficoltà dei funzionari che se ne devono occupare, di “maneggiare” le carte scritte in inglese, come vorrebbe l’Europa, anche per accelerare i lavori?”
“Se così fosse, la soluzione più ovvia e più immediata non sarebbe quella di coinvolgere, nel disbrigo di queste carte, funzionari con adeguate competenze linguistiche a partire dall’inglese? E magari fare una bella proposta di legge che imponga alla Pubblica Amministrazione che ha rapporti con le istituzioni internazionali, l’obbligo di disporre di personale con una perfetta conoscenza della lingua di comunicazione internazionale?“, fa notare Ricciardelli che a questo questo tira in ballo il dicastero di Viale Trastevere: “Qui però deve entrare in gioco il “ministero del merito”, se “merito” significa anche disporre delle competenze giuste, comprese quelle, linguistiche, che servono al Paese“.
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