Musk, l’endorsement per i repubblicani e l’assedio della sinistra su Twitter

Musk, l’endorsement per i repubblicani e l’assedio della sinistra su Twitter

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Mancano poche ore ai risultati delle elezioni di midterm.

Mancano pochi giorni all’annuncio di Donald Trump sulla sua terza candidatura alla Casa Bianca.

Intanto il nuovo padrone di Twitter, Elon Musk, fa scandalo con il suo endorsement: votate repubblicano alle elezioni legislative.

La sua uscita non dovrebbe sorprendere più di tanto, l’industriale più ricco del mondo è favorevole a politiche economiche liberiste, più consoni al programma del Grand Old Party.

Gli endorsement degli editori di media sono pratica corrente: il New York Times è pieno di consigli su come votare (sempre e soltanto per l’altra parte, il partito democratico). Inoltre Musk ha l’avvertenza di presentare la sua scelta non come una preferenza categorica ma come una preferenza tattica. Spiega che l’eccessiva concentrazione di potere è sempre fonte di abusi, pertanto è bene che un presidente democratico sia controbilanciato da un Congresso a maggioranza repubblicana. Ma lo scandalo rimane. Non può che rafforzare la campagna contro l’acquirente di Twitter, già in atto da settimane.

Si capisce la tensione febbricitante, gran parte del frastuono assordante che circonda i primi passi di Musk come nuovo padrone di Twitter, si spiega così: per anni l’establishment di sinistra ha controllato la sfera del discorso pubblico digitale negli Stati Uniti, fino ad applicare la censura in modo sempre più sistematico, confinando la destra in una sorta di «riserva indiana».

Musk è sempre stato più vicino alla destra (ha spostato la sua sede dalla California democratica al Texas repubblicano), anche se i suoi rapporti con Trump sono a dir poco tempestosi. Ma in gioco non c’è solo il ritorno di Trump su Twitter, o meno. Il semplice fatto che Musk possa alterare gli equilibri di potere e il controllo politico sui media digitali, ha mobilitato contro di lui una coalizione di forze formidabile.

In passato questo imprenditore è riuscito in imprese impossibili, rovesciando tutti i pronostici. Ha trasformato la Tesla nell’azienda automobilistica di maggior valore al mondo, mentre fino a pochi anni fa molti concorrenti e autorevoli osservatori la consideravano una bufala. Irriso inizialmente per i suoi propositi di conquista dello spazio, oggi con Space-X gestisce l’azienda più attiva del mondo nella messa in orbita di nuovi satelliti, anche per conto della Nasa. Questi precedenti dovrebbero indurre alla cautela prima di irridere ai suoi sforzi di risanamento di un’azienda malata (Twitter è stata quasi sempre in perdita).

Ma da quando Musk ha osato prendere il controllo del social media di San Francisco che ha inventato i «cinguettii», la campagna che si è scatenata contro di lui è forsennata, e sembra aver perso ogni senso delle proporzioni.

Ogni suo passo come nuovo capo di Twitter viene descritto con toni che variano dall’indignazione al catastrofismo. Un esempio sono i titoloni in prima pagina per l’ecatombe di posti di lavoro, accompagnati da analisi che trasudano orrore per i metodi «disumani» con cui Musk sta licenziando il personale dell’azienda appena acquistata. I 3.700 licenziamenti che Musk ha in mente sono tanti, non c’è dubbio, e la notizia merita visibilità. Tuttavia non si tratta di un «massacro occupazionale» senza precedenti, tutt’altro. In passato ben altre riduzioni di organici ebbero luogo nella Silicon Valley, per esempio i 24.600 licenziamenti alla Hewlett-Packard. In questo periodo, inoltre, tutto il settore Big Tech versa in difficoltà più o meno gravi, e i licenziamenti sono la regola: perfino Amazon si appresta a cacciare un bel po’ di dipendenti, così come Lyft, Stripe e tanti altri.

I toni apocalittici con cui viene descritta la ristrutturazione di Twitter sarebbero più adatti per raccontare ciò che sta accadendo a Meta-Facebook: l’azienda di Mark Zuckerberg ha perso il 70% del suo valore in Borsa, la scommessa sulla realtà virtuale e il metaverso per adesso è un disastro, e anche lì si preannunciano licenziamenti sostanziosi.

In quanto ai metodi con cui i dipendenti vengono cacciati, in America non sono mai particolarmente gentili: qualcuno ricorda gli «scatoloni» della Lehman Brothers? La catastrofe Meta-Facebook non ha né la stessa visibilità né viene analizzata con i toni ostili che segnano i notiziari su Twitter.

La spiegazione è evidente per chi conosca la geografia politica dei media americani. La maggior parte degli organi d’informazione tradizionali, dal New York Times al Washington Post, dalla Cnn alla Msnbc, sono controllati da una generazione di militanti della sinistra radicale. Questo establishment si considera progressista, pratica la woke culture o cancel culture che ho analizzato in passato nel mio saggio «Suicidio occidentale», e considera come una sua missione sacrosanta quella di censurare molte opinioni contrarie, magari etichettandole come fake-news.

Questo establishment è ancora più potente nei social, dove la generazione politicamente corretta ha preso il controllo da tempo in quei poteri forti che sono Google e Facebook. Così si spiegano i due pesi e due misure, nel narrare le vicende di Tiwtter e Facebook.

Questo establishment progressista è potentissimo e Musk se ne sta rendendo conto: «I gruppi attivisti – ha detto – stanno facendo pressione sugli investitori pubblicitari perché disertino Twitter, stiamo subendo perdite massicce nelle entrate pubblicitarie, benché io non abbia ancora cambiato nulla nelle regole di moderazione dei contenuti».

Anzi, per placare l’ira degli «attivisti», Musk vuole affidare la moderazione dei contenuti a un comitato di esperti indipendenti, chiamandosi fuori. Quando parla di «attivisti», il nuovo padrone di Twitter si riferisce alle correnti ideologiche militanti che influenzano la Global Alliance for Responsible Media, un’associazione nata per «combattere contenuti nocivi sui media», che riunisce i responsabili pubblicitari di grandi multinazionali e le maggiori agenzie pubblicitarie, insieme con i top manager in carica per le questioni etiche, coloro che vigilano sulla purezza dottrinaria delle aziende su temi come le minoranze etniche e sessuali o l’ambientalismo.

Ironizzando sull’accerchiamento che subisce da parte di questa nuova «polizia del linguaggio», Musk si è auto-nominato non più chief executive di Twitter bensì Twitter Complaint Hotline Operatore: traduco liberamente con «centralinista della linea diretta per le lamentele contro Twitter».

L’offensiva mediatica non è l’unica. La sinistra parlamentare e di governo completa l’accerchiamento di Musk. Al Congresso alcuni democratici, capeggiati dal senatore Chris Murphy, chiedono un’indagine sui capitali esteri che partecipano all’acquisizione di Twitter e minacciano di bloccarla per ragioni di sicurezza nazionale. Si riferiscono a un fondo saudita e a un investitore sino-canadese, che hanno partecipazioni molto minoritarie. Altri esponenti della sinistra invocano l’intervento della Casa Bianca, perché Musk avendo una fabbrica Tesla a Shanghai sarebbe colluso con il regime cinese e quindi Twitter (secondo loro) finirebbe per subire l’influenza di Xi Jinping. Peraltro l’Amministrazione Biden finora è stata indulgente verso una piattaforma social come TikTok, la cui proprietà è interamente cinese.

Non bisogna cercare una coerenza negli assalti lanciati contro Musk. Per conservare il senso delle proporzioni: Twitter è un nano con i suoi 4,5 miliardi di fatturato pubblicitario rispetto ai 210 miliardi di Alphabet-Google o ai 31 miliardi di Amazon. Ma Google e Amazon sono nelle mani «giuste».

In questo clima di assedio, l’endorsement di Musk ai repubblicani a poche ore dal voto si può interpretare come un gesto opportunistico e difensivo.

La vittoria della destra alle elezioni di mid-term sembra abbastanza scontata, non sarà la presa di posizione tardiva di Musk a spostare dei voti. Forse lui sta già chiedendo alla futura maggioranza parlamentare di proteggerlo dagli attacchi dell’establishment di sinistra.

To independent-minded voters:

Shared power curbs the worst excesses of both parties, therefore I recommend voting for a Republican Congress, given that the Presidency is Democratic.

— Elon Musk (@elonmusk) November 7, 2022

7 novembre 2022, 17:57 – modifica il 7 novembre 2022 | 18:14

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, 2022-11-07 19:07:00, Elon Musk ha invitato a votare per i candidati del partito Repubblicano. Ma ben prima di questa mossa (opportunistica) il leader di Twitter è stato attaccato da media tradizionali e social: ecco perché, Federico Rampini

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