Mykolaiv, nelle trincee di fangocon i soldati ucraini: «Qui è la prima linea»

Mykolaiv, nelle trincee di fangocon i soldati ucraini: «Qui è la prima linea»

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di Marta Serafini

Visita nei rifugi a un passo dalle linee russe. I militari, alcuni giovanissimi, vivono da due mesi una realtà fatta di freddo e bombardamenti continui. «Ma vinceremo», dicono

Dalla nostra inviata

Schevchenkove — «Non ci manca niente, guardi che bella cena di Pasqua stiamo preparando». Scherza il maggiore Kum mentre entra in trincea. Tira una pacca sulla spalla dell’appuntato. Artiom è giovane, sulla ventina. Alla luce di una lampada da campo sta affettando cinque uova sode. Fette perfette, tutte uguali. «Ci si abitua al buio, dopo oltre cinque settimane, ormai potrei farlo a occhi chiusi», spiega. Fuori, i boati dei missili russi non danno tregua. «Tenete la testa bassa. Stamattina sembra che siano di cattivo umore».

Buon umore

Il fango umido di pioggia si attacca alla pelle, mentre i colpi fanno tremare il terreno sotto i piedi. Ma il maggiore non perde il buon umore. «Stasera per la vigilia ci facciamo una bella cena, dovreste fermarvi con noi». Kum con gli occhi azzurro acciaio e le mani nere di fango e grasso per le armi. «Il mio nome significa padrino, colui che è più importante del padre». Non dice quanti uomini ha sotto di sé. Ma è il comandante del battaglione di fanteria di stanza nella regione. «Non possiamo svelare segreti militari. E ricordatevi che è vietato dare indicazioni al nemico sulle nostre postazioni». Poco più in là, sei brande. «Le abbiamo costruite con il legno degli alberi di Mykolaiv, quello che stanno tagliando nei viali delle città». Sei materassi umidi. Una presa cui attaccare i caricatori dei cellulari. «Ci hanno mandato questo generatore, grazie Germania, funziona perfettamente».

I boati tacciono per due minuti. Entra in azione l’artiglieria ucraina. Kum si accende una sigaretta. «Sono originario di Vinnytsia, dove ha sede l’aeronautica. Ma io sono uomo coi piedi per terra, preferisco la fanteria. Sono nell’esercito da 15 anni ormai. Qui a sud sono arrivato il 24 di febbraio». Qui è tra Mykolaiv e Kherson, a 5 chilometri dalle linee nemiche, lungo la M-14, diventata da tre settimane ormai il punto più caldo del fronte Sud. La strada della morte, come la chiamano i giornalisti e i fixer locali. «Difendiamo la prima linea, i nostri sono poco più avanti a noi», spiega ancora il maggiore. I corvi gracchiano tra un colpo e l’altro, in mezzo alle nuvole grigie. Kum si gira di scatto. I boati si stanno avvicinando di nuovo. «È il ruggito di un orso stanco. I russi non riescono a salire, tentano di tenere Kherson, per questo ci bersagliano. Ma ai miei uomini non ho nemmeno bisogno di dirlo, noi vinceremo».

Villaggi fantasma

Fuori dalle trincee, verso Shevchencove, il capitano Ruti si guarda intorno. Nel villaggio non è rimasto più nessuno, chi poteva è fuggito verso Mykolaiv. Decine di case distrutte, gli alberi sono bruciati. Solo i tulipani rossi ricordano che è ormai primavera inoltrata. «Quando siete venuti la settimana scorsa, avevano appena bombardato un deposito di grano». Lungo la strada, passa un uomo in bicicletta. Il capitano lo avvicina. «Sono rimasto per difendere la mia casa. Non voglio che quei maledetti si prendano quel poco che è rimasto», spiega Gregory, 57 anni. Ai piedi, le scarpe di stoffa morbida affondano nel fango. «Il prete e i militari ci portano da mangiare due volte alla settimana, sopravviveremo». Anche Igor, 25 anni, ha deciso di non andarsene. In mano ha una busta con le granaglie per le galline. «Mia madre e mia sorella le ho mandate via. Ma io resto. E, se necessario il capitano, lo sa. Io prendo un fucile e vengo a combattere con voi».

Il cratere della bomba

Il fratello di Ruti, il luogotenente Seraphin, se ne sta in disparte. Arrivati davanti al cratere lasciato da un missile si cala verso il fondo della voragine. Saranno almeno cinque metri. «Voglio vedere se è rimasto un pezzo della testata del missile che hanno usato, perché questo ha fatto più danni degli altri».

Nel centro del paese, davanti ad un casermone, tra un campo da calcio e un supermercato, brilla ancora il busto dorato del poeta Shevchenko, il più famoso d’Ucraina. Alle sue spalle, un edificio completamente distrutto. Tutte le scuole della regione sono state colpite. «Sono gli edifici più grandi e i russi le bersagliano perché le considerano obiettivi militari, ma da quando una scuola è un target?», si arrabbia il maggiore Aleksej mentre si copre il viso con il passamontagna. Lui e i suoi uomini nei giorni scorsi hanno soccorso decine di famiglie in fuga da Kherson. «Passato l’ultimo check point russo ci vengono incontro le donne, ci si buttano al collo piangendo. Mi vengono i brividi solo a pensarci». Il soldato Oksana, 41 anni da compiere il giorno dopo Pasqua, sorride. È l’unica donna del gruppo. «Sia io che mio marito siamo nell’esercito. I miei figli sono entrambi all’accademia e sono orgogliosi di noi. Ma a volte penso che mondo stiamo lasciando loro, mi sembra che sia impazzito tutto. Guardi questa scuola. Qui dento ci studiavano bambini e ragazzi, cosa faranno un domani quando torneranno qui?».

Di guardia

Di ritorno dal pattugliamento alla trincea, Kum è ancora di guardia. «Scrivetelo per favore che ci servono le vostre armi . Soprattutto binocoli con telemetri per misurare le distanze». Poi si gira. E via un’altra pacca. Questa volta a tiro c’è il capitano Ruti. «Lui non lo dice perché è timido. Ma Ruti è il più europeo di tutti noi. Sua nonna era di Rutigliano, poi è venuta via perché ha sposato un ucraino. Come vede siamo tutti fratelli, qui». Poi stringe la mano. È venuto il momento di salutare. I russi hanno ripreso a sganciare. «Andatevene. Non vi voglio sulla coscienza, qui abbiamo già abbastanza problemi»

23 aprile 2022 (modifica il 23 aprile 2022 | 23:31)

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, 2022-04-23 21:41:00, Visita nei rifugi a un passo dalle linee russe. I militari, alcuni giovanissimi, vivono da due mesi una realtà fatta di freddo e bombardamenti continui. «Ma vinceremo», dicono, Marta Serafini

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