NBA Finals: Golden State vince a Boston in gara-6, titolo ai Warriors

NBA Finals: Golden State vince a Boston in gara-6, titolo ai Warriors

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di Flavio Vanetti

Con Curry most valuable player, la squadra di Steve Kerr si riprende il trono chiudendo sul 4-2 coi Celtics

Probabilmente era scritto nei libri che il titolo dell’«annata di diamante», quello dei 75 anni dalla fondazione della Nba, andasse alla squadra che nella stagione 1946-47 si era imposta. All’epoca erano i Philadelphia Warriors e giocavano nella capitale della Pennsylvania; oggi, trasferiti in California dal 1962, sono i Golden State Warriors e sono il simbolo e l’orgoglio di San Francisco. Settimo successo nella storia del club, i GSW hanno chiuso i conti con i Boston Celtics, espugnando il TD Garden in gara 6: 103-90 il punteggio, serie terminata sul 4-2 per i gialloblù. Stephen Curry è stato eletto Mvp dei playoff e della finale (mentre il serbo Jokic lo è stato della stagione): scelta prevedibile, essendo lui il simbolo di questa squadra, tornata al vertice dopo essere precipitata all’ultimo posto del ranking. Storia di appena due anni fa.

La prima volta a San Francisco

Sei titoli alle spalle, i primi due come detto nell’era dei Philadelphia Warriors, gli altri quattro a Oakland, che era diventata la «casa» dei Guerrieri. Quindi questo è il primo vinto a San Francisco e l’impresa scrive la prima pagina di una nuova era. È anche il termine del periodo di magra successivo alle cinque finali consecutive (con tre vittorie) del decennio scorso. Solo due anni fa, infatti, i Golden State Warriors chiudevano la stagione con il peggior record della Lega professionistica. La vittoria del 2022 segna un’inversione di tendenza con pochissimi precedenti e non così scontata nel brillante esito finale: un merito in più per Golden State e per coach Steve Kerr. A proposito dell’allenatore, che di recente s’è preso la ribalta anche per il coraggio con cui ha ribadito il disgusto per la facilità con cui negli Usa ci si arma e si uccide la gente: cinque volte campione da giocatore (tre a Chicago con Michael Jordan, due a San Antonio) è al poker con i GSW quale coach. Ed è stato, nella carriera, pure general manager: basta dire che è un grande e che è una figura-chiave di questa impresa?

All’ultimo posto nel 2020

La finale 2019, persa contro i Toronto Raptors, era stata seguita — come se non bastasse la delusione per il titolo mancato — da un ciclo incredibile di colpi della malasorte. Gli infortuni a Kevin Durant prima — ndr: KD, mai veramente inserito nel gruppo, avrebbe lasciato la squadra per rientrare con i Brooklyn Nets a guarigione avvenuta — e a Klay Thompson furono poi seguiti da quello a Stephen Curry. Peraltro la perdita del primo è stata ben più lunga, ma l’indisponibilità di Curry, che nella stagione 2019-20 ha giocato soltanto 5 partite, è stata pesantissima. Fuori gli «Splash Brothers», i Warriors hanno rivisto l’organico (senza azzeccarci molto: l’operazione D’Angelo Russell è stata deludente) ma i risultati non sono arrivati: solo 15 vittorie e 50 sconfitte.

Il ritorno degli «Splash Brothers»

La stagione 2020-2021, quella nella quale era nel roster pure Nico Mannion (in alternanza con la squadra satellite della G-League), ha riportato il bilancio in attivo (39 vittorie e 33 sconfitte, ma niente playoff) prima che il campionato attuale completasse l’opera di rilancio. Merito della presenza di Curry, del ritorno di Klay Thompson dopo due anni e mezzo, dell’esplosione di Wiggins (per la prima volta All-Star nella sua carriera), della ritrovata cattiveria agonistica (al netto di intemperanze spesso inaccettabili) di Draymond Green e dell’emergere di Jordan Poole, nuova arma per l’attacco. Al termine della fase regolare sono arrivate 53 vittorie contro 29 sconfitte. Sono seguiti i successi nei playoff contro Denver, Memphis e Dallas, la conquista del titolo dell’Ovest e l’approdo alla finalissima contro Boston.

«Stephen Curry è come Federer»

A questo punto è necessaria una parentesi su Stephen Curry per spiegare l’importanza del fuoriclasse con l’aria da ragazzino. Steve Kerr prima di gara 5 l’ha paragonato a Roger Federer, scatenando la reazione divertita di Steph: «Voglio una lista di tutti i grandi a cui mi ha paragonato: una volta è Tim Duncan, un’altra Federer…». La battuta del coach, però, non è casuale. Tutto nasce da una trasferta di pre-season del 2017 a Shanghai: Federer andò a trovare i Warriors e Green gli domandò come facesse a giocare ancora ad alto livello dopo 20 anni: «Perché amo la routine quotidiana», disse Federer. Curry pare sia una copia di Roger: «Anche Stephen è un metronomo: giorno dopo giorno non cambia lavoro — sala pesi, tiri, allenamento, video — ma lo fa con gioia e sapendo che la disciplina è la base del successo» .

La bella storia di Gary Payton II

Come in ogni grande vittoria ci sono poi mirabili storie di «eroi» che diventano tali dopo aver rischiato di sparire dal basket che conta. È il caso di Gary Payton II, figlio di Gary Payton, campione Nba con Miami e olimpionico con gli Usa nel 1996 e nel 2000. Il figlio d’arte è stato fondamentale in gara 5 (15 punti), ma la sua carriera otto mesi fa avrebbe potuto essere molto diversa. A rischio di essere tagliato per l’ennesima volta, infatti, aveva chiesto informazioni su un posto vacante come video coordinator per i Golden State Warriors, cercando di ottenere un colloquio per il posto nello staff. «Sapevo quali erano le mie possibilità — ha spiegato —. Mi dicevano che non ne avevo poi molte di “fare la squadra”, ma che ce n’era uno libero nel reparto video. Perciò ho provato a chiedere un colloquio per quel lavoro, sperando che poi spuntasse almeno un contratto da 10 giorni». È andata molto meglio: il contratto «vero» è arrivato, il posto in squadra pure e adesso GPII è campione Nba. Come papà.

17 giugno 2022 (modifica il 17 giugno 2022 | 06:42)

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, 2022-06-17 04:18:00, Con Curry most valuable player, la squadra di Steve Kerr si riprende il trono chiudendo sul 4-2 coi Celtics, Flavio Vanetti

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