Ne mancano 250 mila: dove sono finiti camerieri e cuochi? Le ragioni di una fuga

Ne mancano 250 mila: dove sono finiti camerieri e cuochi? Le ragioni di una fuga

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di Rita Querzè

La carenza di personale è tale che alcuni ristoranti rinunciano ad aprire a pranzo. Le accuse si incrociano. «Ristoratori che pagano poco». «Fannulloni». Siamo di fronte a un fenomeno globale. Esiste un problema di soldi (anche in nero), ma soprattutto di reputazione sociale di mestieri che causano stress. Meglio un posto ad Amazon?

Camerieri e cuochi: in Italia ne mancano 250 mila. Non è raro trovare ristoranti che rinunciano ad aprire a pranzo perché non riescono a coprire i turni. Nei servizi l’emergenza-personale è tale che i disagi per i clienti sono all’ordine del giorno. A partire dal trasporto aereo: dopo il rompete le righe imposto dal Covid, hostess e addetti di terra sono passati ad altri lavori. Ora non si trovano i rimpiazzi. Negli alberghi non è raro scoprire che la stanza non è stata riordinata, complici le defezioni tra gli addetti alle pulizie. Persino i parchi divertimenti come Gardaland sono costretti a chiudere alcune attrazioni.

Fattore vacanze

Con l’avvicinarsi del momento clou delle vacanze i disagi aumentano. Benzina sul fuoco della contesa ospitata dai talk show: da una parte chi accusa albergatori, ristoratori & C. di non pagare il personale. Dall’altra chi castiga i presunti fannulloni che preferirebbero «il divano», complice il reddito di cittadinanza. In realtà i torti e le ragioni non stanno tutti da una parte. Prima evidenza: siamo di fronte a un fenomeno globale. Racconta dal suo ufficio di New York Andrea Dorigo, responsabile global retail di Estée Lauder: «Qui tutto il settore dei servizi è in difficoltà nel reperimento di personale. Se prima della pandemia il commesso di un negozio guadagnava in media 15 dollari l’ora, adesso siamo saliti a 20. E non parlo di una media ma di un salario d’ingresso. Nonostante ciò, le persone non si trovano. La dimostrazione che il problema non è solo lo stipendio ma anche la reputazione sociale di certi mestieri. Che per di più richiedono una flessibilità oraria fuori dal comune e disponibilità nei fine settimana. Senza contare lo stress del rapporto col pubblico: i clienti pretendono spesso l’impossibile».

ITALIA PIÙ LENTA. SONO 200 MILA I POSTI DI LAVORO VACANTI NEL SETTORE DEI PUBBLICI ESERCIZI (ERANO 950 MILA NEL 2019 ORA SONO 750 MILA). LO DICONO I DATI INPS ELABORATI DALLA FIPE

Rispetto agli Usa, nel nostro Paese i cambiamenti nel rapporto domanda/ offerta di lavoro si scaricano molto più lentamente sulle retribuzioni: i contratti nazionali si rinnovano ogni tre anni, se va bene. Secondo i conti di Fipe, la federazione dei pubblici esercizi aderenti a Confcommercio, c’erano 950 mila addetti alla ristorazione nel 2019, poi sono scesi a 700 mila durante il Covid e adesso sono risaliti a 750 mila. Morale: 200 mila mancano all’appello. Per quanto riguarda il cuore della questione, gli stipendi, il contratto di Fipe Confcommercio (scaduto alle fine dell’anno scorso) garantisce 1.563 euro lordi al mese (pari a 1.253 netti) per chi lavora a tempo pieno.

Ben trenta contratti di settore

Il problema è che di contratti nel settore in tutto ce ne sono una trentina, come mostra uno studio condotto da Adapt per la stessa Fipe. Quello di Fipe copre circa 490 mila lavoratori ed è il più utilizzato. Ma poi ci sono anche gli accordi di Conflavoro, Fapi, Anpit, Cifa, Confip, Fidap, Enasarco… Fatto sta che ormai il contratto è à la carte e chi non si fa scrupoli può scegliere in base all’entità della retribuzione (col contratto Fapi il lordo scende a 1.266 euro pari a 1.079 netti, addirittura a 1.159 euro lordi per il primo anno di assunzione). Si potrebbe decidere che a stipulare i contratti siano solo associazioni di imprese e sindacati realmente rappresentativi. Ma nessun governo finora l’ha fatto perché sindacati e organizzazioni d’impresa temono di essere “misurati”.

I contratti pirata

Senza disboscare i contratti pirata, la via più semplice e veloce per aumentare il netto in busta paga potrebbe essere ridurre tasse e contributi. Il cosiddetto cuneo fiscale. «Sicuramente la riduzione del cuneo fiscale è un intervento importante. Ma crediamo che possa essere utile anche detassare e decontribuire gli aumenti contrattuali, in modo da favorire il rinnovo dei contratti», auspica Roberto Calugi, direttore generale di Fipe. «Inoltre la questione dei contratti pirata non può essere ignorata. Parte da qui una concorrenza sana tra gli attori del mercato». La busta paga netta di un cameriere dipende anche dallo schema orario di lavoro. «Si va dai 2.000 euro mance comprese per chi fa la stagione sulla riviera romagnola e lavora a tempo pieno anche 12 ore al giorno ai 700-800 euro di chi lavora 24 ore alla settimana e gira gli hamburger nei fast food», semplifica Luca De Zolt della Filcams Cgil. Per la verità la difficoltà a trovare camerieri stagionali non è nuova. Non a caso nei tre stelle della riviera romagnola il 90% di chi serve ai tavoli viene dai Paesi dell’Est.

Meccanismo inceppato

«Il meccanismo ora si è parzialmente inceppato», racconta De Zolt. «Alcune province in Romagna e Toscana hanno cercato di fare accordi con l’Albania per portare stagionali a lavorare negli alberghi da maggio a settembre ma poi tutto si è arenato davanti a permessi sanitari e difficoltà burocratiche. Senza contare i disagi legati al Covid», spiega ancora. Accendendo così un faro su un’altra questione chiave: «Il problema è che parlare di netti in busta paga può essere fuorviante», avverte il sindacalista. «Nel settore i rapporti di lavoro in grigio sono all’ordine del giorno. In pratica si è assunti in regola magari con un part time, ma poi si lavora a tempo pieno con una parte della retribuzione in nero. Se non si fanno i conti con questa realtà non si avrà mai una visione obiettiva del settore».

Quanto pesa l’abitudine al «nero»

IL “NERO” L’iniezione di sussidi per fare fronte all’emergenza economica generata dal Covid ha favorito il “nero”. Il presidente di Confimprese Mario Resca va giù pensante: «Nessuno accetta più lavori come quelli nella ristorazione, con turni h24 anche nei fine settimana. Piuttosto che accettare lavori impegnativi, meglio godere del reddito di cittadinanza e arrotondare col “nero”. Il reddito sommerso e il lavoro irregolare in Italia sono ancora impuniti». D’altra parte il lavoratore con il reddito di cittadinanza quando riceve un’offerta si trova di fronte alla seguente scelta. Scenario A: portare a casa 780 euro di reddito di cittadinanza più mille facendo il cameriere in nero, in tutto 1.780 euro. Oppure, scenario B, rinunciare al reddito e lavorare “in bianco” incassando 900 euro e basta, visto che il datore di lavoro ridurrà il compenso dovendo pagare tasse e contributi. Non c’è bisogno di dire quale sia la scelta più conveniente. «Le attività stagionali in particolare non sono attrattive perché l’accettazione determina la perdita del reddito di cittadinanza, che invece viene percepito sempre», rincara Rosario De Luca, presidente della fondazione studi dei Consulenti del Lavoro.

Il settore aereo

Per finire, una nota a margine merita l’emergenza nel settore del trasporto aereo. Anche qui come nella ristorazione a scatenare la tempesta perfetta è stato il Covid. I lavoratori a termine hanno perso il posto e si sono guardati intorno. Racconta il segretario della Filt Cgil Fabrizio Cuscito: «Nell’handling (lo smistamento bagagli; ndr) si guadagnano 700-800 euro al mese lavorando 6-8 ore al giorno. Un pilota intasca 2.000-2.200 euro netti. Un assistente di volo intorno ai mille euro. In questi anni lo sviluppo delle low cost ha ridotto le retribuzioni. Ma ora il sistema non tiene più. Anche perché il nostro è un lavoro usurante. Per non parlare della conciliazione famiglia-lavoro pressoché impossibile». E così molti hanno preferito cambiare settore. Alla fine meglio un lavoro da Amazon, con un orario “normale” e una busta paga equivalente, che servire il caffè ad alta quota. Sabati e domeniche compresi.

24 luglio 2022 (modifica il 24 luglio 2022 | 07:36)

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, 2022-07-24 05:40:00, La carenza di personale è tale che alcuni ristoranti rinunciano ad aprire a pranzo. Le accuse si incrociano. «Ristoratori che pagano poco». «Fannulloni». Siamo di fronte a un fenomeno globale. Esiste un problema di soldi (anche in nero), ma soprattutto di reputazione sociale di mestieri che causano stress. Meglio un posto ad Amazon?, Rita Querzè

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