Nebytov: «Indaghiamo su 20 stupri a Kiev, ma non c’è stata una deliberata politica russa delle violenze sessuali contro le donne ucraine»

Nebytov: «Indaghiamo su 20 stupri a Kiev, ma non c’è stata una deliberata politica russa delle violenze sessuali contro le donne ucraine»

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di Lorenzo CremonesiIl comandante della polizia di Kiev: anche case bruciate per nascondere le prove DAL NOSTRO INVIATOKIEV — «Non c’è stata una deliberata politica russa delle violenze sessuali contro le donne ucraine. Ma stiamo investigando diversi casi avvenuti nella regione della capitale durante il mese di marzo», ci dice il comandante della polizia per il distretto regionale di Kiev, generale Andriy Nebytov. Proprio lui sta conducendo l’inchiesta e ieri sera ci ha ricevuto nel suo ufficio. Quanti casi si trovano nei suoi dossier? «Stiamo esaminando oltre venti episodi di possibili violenze sessuali. Uso volutamente il condizionale perché in generale le donne e le famiglie sono estremamente reticenti a parlarne con gli investigatori, cercano di non rendere pubblico il loro dramma. Per noi è un problema. Abbiamo anche trovato diversi cadaveri, per lo più di giovani donne, rivenute svestite, con evidenti ferite di armi da taglio e le mani legate dietro la schiena. I nostri esperti stanno effettuando le autopsie per capire se fossero state violate prima di essere uccise. La maggioranza, infatti, pare siano state assassinate dopo lo stupro, o i ripetuti stupri, magari da più soldati». E come fate a investigare se quelle vive rifiutano di deporre? «Abbiamo a disposizione le registrazioni delle telefonate. Le donne non denunciano per vergogna, ma ne parlano con amici e parenti. Inoltre, abbiamo le registrazioni delle conversazioni tra soldati russi captate dalla nostra intelligence». Qualche caso certo e circostanziato? «Almeno due. Il primo è quello di Marina, 34 anni, del villaggio di Bogdanivka, vicino a Brovary a est di Kiev. Suo marito che ha cercato di difenderla è stato ucciso subito assieme ai cani della famiglia, lei è stata violata di fronte al figlio di tre anni. Due russi avevano minacciato di uccidere anche il bambino se avesse opposto resistenza. Conosciamo anche il nome di uno dei violentatori: Michail Romanov, che pare sia stato fatto fucilare dai superiori quando hanno saputo. Ma forse è stato invece ucciso dai nostri commando. Non siamo sicuri, stiamo ancora cercando di trovare il corpo. Il secondo caso riguarda un’abitante di Borodianka, lo ha scoperto una giornalista ucraina di Radio Svoboda. Ma la vittima con noi non ha voluto parlare, chiede di essere dimenticata». In generale i soldati hanno ucciso chi cercava di difendere le donne? «Sì, sono stati uccisi mariti, fratelli o genitori e in qualche caso hanno bruciato le case per nascondere le prove». I comandi russi hanno punito i violentatori? «Dalle intercettazioni abbiamo capito che alcuni comandanti russi hanno fatto fucilare i soldati stupratori. Non tutti, ma alcuni sono stati giustiziati». Quindi che non c’era una deliberata politica russa degli stupri? «Sì, confermo, non c’era. Però sappiamo anche che dopo circa una settimana dall’inizio dell’occupazione gli alti comandi russi hanno trasmesso l’ordine alle truppe di sparare ai civili che cercavano di scappare verso le linee ucraine e comunque chiunque resistesse ai loro ordini. Tra i morti ci sono donne, uomini, vecchi e bambini. Ad oggi abbiamo contato attorno a Kiev 764 civili uccisi, di cui 36 bambini». Cosa volevano ottenere? «Intendevano fiaccare ogni resistenza col terrore. Questa politica mirava anche a interrompere i corridoi umanitari e boicottare il nostro tentativo di portare i civili in salvo nelle nostre linee. L’unica alternativa era che la gente scappasse verso nord in Bielorussia. Ma nessuno voleva stare coi russi o i loro alleati». I civili ci raccontano che le unità più crudeli erano cecene e delle province asiatiche. «Sì, noi li chiamiamo “buriati”. C’erano russi, ceceni e asiatici, questi ultimi erano i più cattivi. Noi abbiamo molti prigionieri, però non sappiamo se tra loro ci siano violentatori». Ha sentito di bambini violentati? «Sono voci, ma noi non abbiamo alcuna prova. Se ne stanno occupando alcune organizzazioni umanitarie e al ministero degli Interni. Noi non possiamo confermare». Pensa vi siano casi di stupri a Mariupol o nel Donbass? «Non so, ma si tratta di scenari differenti. Attorno a Kiev pare che gli stupri si siano consumati dopo l’inizio dell’occupazione nei momenti di relativa calma quando addirittura erano arrivate unità della polizia russa. Ma nelle altre zone i combattimenti restano molto attivi, mi pare difficile avvengano stupri sotto le bombe». Sembra logico dedurre che il collasso della disciplina tra le truppe russe sia avvenuto dopo qualche giorno dall’inizio dell’occupazione. «Confermo. I russi invadono il 24 febbraio e il primo caso a noi noto di violenza sessuale si consuma il 9 marzo. All’inizio i soldati erano euforici, credevano che la guerra sarebbe durata molto poco e loro sarebbero stati accolti come liberatori. E infatti tutto doveva essere semplice, i loro tank non avevano alcuna copertura aerea. Dalla Bielorussia la loro avanzata è stata una scampagnata per 100 chilometri, hanno superato Chernobyl e sono arrivati sino a Hostomel, circa 30 chilometri a nord di Kiev. Noi li abbiamo studiati, la nostra strategia è stata lasciarli avanzare e poi li abbiamo bombardati con ogni mezzo. Sappiamo che solo alcune unità erano ben addestrate, parlo degli elicotteristi, le artiglierie e poco altro. Ma le fanterie non erano affatto pronte e sono state le prime a cadere nel panico, che ha portato allo sbandamento e al collasso della disciplina». 14 aprile 2022 (modifica il 14 aprile 2022 | 10:11) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-14 08:11:00, Il comandante della polizia di Kiev: anche case bruciate per nascondere le prove, Lorenzo Cremonesi

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