di Lilli Garronedi
Fu nel celebre Caffè vicino al Senato che nel 1976 l’ingegnere svizzero allora dipendente della Nestlè ebbe l’idea dell’invenzione, dopo una scommessa con la moglie italiana
Tutto è iniziato al Caffè Sant’Eustachio nel 1976. È in questo bar a due passi dal Senato, infatti, che a Eric Favre, ingegnere svizzero specializzato in aerodinamica, e allora dipendente della Nestlé, è venuta l’idea sfociata nell’invenzione che l’ha reso celebre: quella delle capsule Nespresso. Così ieri con la moglie Anna Maria è voluto tornare a ringraziare.idea su come preparare la tazzina di caffè in casa è arrivata grazie a una scommessa con la moglie italiana, alla quale aveva assicurato che avrebbe trovato il modo di «fare l’espresso più buono di tutti». E la «folgorazione», che poi ha portato l’ingegnere a inventare le capsule Nespresso, è stata proprio al Caffè Sant’Eustachio.
Così l’incontro, dopo 46 anni, tra Favre, la moglie e Raimondo Ricci, titolare del locale, iniziato fra i tavoli esterni sulla piazza, è un fiume di parole, di sorrisi e di ricordi incentrati sull’allora barista Eugenio. «È a lui che ha chiesto come faceva il caffè – inizia il racconto Ricci – e la risposta è stata molto semplice: “Spingo un pulsante”. Noi facciamo un caffè cremoso e tutto è nato da questa particolarità. Ma adesso mi ha raccontato che poi ha interrogato a lungo Eugenio: il segreto è nell’aria e nella forte pressione dell’acqua». Dopo la lunga chiacchierata con il barista, l’ingegnere – come Archimede – ha trovato la soluzione giusta «nella vasca da bagno»: «È uscito dicendo: “Ho capito tutto”», aggiunge la moglie Anna Maria. Ovvero «ho capito che quello che rendeva così unica la bevanda servita da Eugenio in questo bar – spiega – era dovuto al fatto che il getto d’acqua bollente che passa attraverso il macinino viene pompato a scatti: in questo modo la bevanda si ossigena. E a contatto con l’aria tutti i profumi e gli aromi vengono esaltati».
Il resto della storia sono le prime capsule, dapprima tonde e poi a forma di navetta spaziale, vista l’iniziale passione di Favre, e le difficoltà nel fare accettare la sua invenzione anche ai vertici dell’azienda; l’aver dovuto lui stesso vendere le prime macchinette del caffè nel 1986, prima destinate a un pubblico specializzato come bar ed uffici, poi alle famiglie. Figlio di contadini, l’ingegnere vive tuttora nella campagna svizzera a pochi chilometri da Losanna, e vicino a lui e Anna Maria le tre figlie. Inutile dire che sono state loro le prime assaggiatrici del caffè in capsule, «e poi ci sono voluti dieci anni prima di arrivare all’attuale successo. Ho lasciato l’azienda nel 1991 – prosegue Favre – e oggi ho un’impresa mia e mi dedico a un Museo del caffè». Sorridente e pieno di energia, sicuro che sarebbe stato «un inventore», esplora con curiosità tutti gli angoli e le macchine per fare il caffè del Sant’Eustachio dove ha trovato ispirazione e chiede in continuazione di Eugenio, ma «sono passati tanti anni, ormai non c’è più», dice Ricci. Che nel suo famoso caffè, dove si servono seimila tazzine al giorno (e si vendono ogni giorno 10.000 capsule gialle «alla Favre» con la miscela del Sant’Eustachio) ha incontrato anche Howard Schultz come amministratore delegato di Starbucks: «Non ha preso idee per il caffè quanto per la nostra tradizione di incontro al bar, di sedersi e parlare bevendo qualcosa». Orgoglioso? «Sono orgoglioso del fatto che noi italiani abbiamo inventato l’espresso nel 1905 – risponde Ricci – e che un piccolo caffè in una piccola piazza di Roma possa essere fonte di tanta ispirazione».
21 aprile 2022 (modifica il 21 aprile 2022 | 08:34)
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, 2022-04-21 06:42:00, Fu nel celebre Caffè vicino al Senato che nel 1976 l’ingegnere svizzero allora dipendente della Nestlè ebbe l’idea dell’invenzione, dopo una scommessa con la moglie italiana, Lilli Garrone