Nick Cave strega l’Arena di Verona, oltre due ore di gioia (e dolore)

Nick Cave strega l’Arena di Verona, oltre due ore di gioia (e dolore)

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di Matteo Cruccu

Il rocker australiano torna dopo quattro anno davanti a undicimila spettatori entusiasti. Il live cominciato con un’ora di ritardo a causa della pioggia battente

«Can you feel the heartbeat?» lo ripete due, tre, quattro, cinque volte. E, davvero, nell’antico teatro sembra di sentire un gigantesco battito cardiaco. È il momentum delle oltre due ore dell’ennesimo, riuscito, concerto di Nick Cave, di ritorno in Italia dopo quattro anni. E all’Arena di Verona, dopo esser transitato a Taranto qualche giorno fa. E dire che la sorte ultimamente non è stata generosa con il rocker australiano, privandolo di un altro figlio, Jethro a maggio, dopo la tragedia di sette anni fa, quando Arthur morì cadendo da una scogliera.

Ma Cave può solo esorcizzare con quello che sa fare meglio, cantare, anzi nutrirsi di affetto, di calore, di carnalità col suo pubblico di fedelissimi di sempre. La serata non era però partita benissimo: una pioggia battente funestava il battesimo dello show, provocando un’ora di ritardo rispetto all’inizio previsto. E una volta cominciato, sul concitato sabba di «Get Ready for Love», il sempre asciutto 64enne si sentiva un po’ a disagio. La pur bellissima Arena prevede spettatori seduti e uno spazio vuoto separa il palco dalla platea.

Una dinamica che non piaceva a Nick. Che lo diceva esplicitamente: da sempre, cerca appunto la fisicità degli spettatori (undicimila a Verona), canta loro addosso, li abbraccia, mulinando mefistofelicamente mani e gambe. E allora, a un certo punto, ci ha pensato lui: sull’epica «From Her to Eternity», si buttava in mezzo alle prime file, ergendovisi sopra e scatenando immediatamente il delirio in Arena. Il concerto era dunque partito: da quel momento Nick alternerà lancinanti passaggi al piano ( in «O Children» e «I Need You», i riferimenti ai figli perduti erano evidenti mentre sembrava quasi piangere nel canto) a tuffi letterali in mezzo alla folla come nelle vecchie cavalcate di «Tupelo» o «Red Right Hand», dove si arrampicava addirittura sui gradoni. E come San Daniele addomesticava definitivamente l’Arena poi su «Higgs Boson Blues».

Sempre accompagnato dalla sapienza dei Bad Seeds e delle tre brave coriste, col vecchio e barbuto sodale Warren Ellis impeccabile nel passare con nonchalance da uno strumento all’altro. Era il prologo all’ossessivo finale di «City of Refuge» (You better run, you better run) e la suadente tristezza di «Into My Arms»: perché correvano e si intercambiavano il dolore e la gioia, la malinconia e le sfrenatezza, un mix supremo di emozioni, di vita e di morte che questo poeta segaligno del rock ci ha regalato per anni. E ancora non smette di fare. Can you feel the heartbeat? Sì, l’abbiamo sentito, eccome.

5 luglio 2022 (modifica il 5 luglio 2022 | 02:33)

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, 2022-07-05 00:34:00, Il rocker australiano torna dopo quattro anno davanti a undicimila spettatori entusiasti. Il live cominciato con un’ora di ritardo a causa della pioggia battente, Matteo Cruccu

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