Nina, la figlia di Leonard Bernstein: «La Messa di mio padre fu un caso politico che scosse l’America»

Nina, la figlia di Leonard Bernstein: «La Messa di mio padre fu un caso politico che scosse l’America»

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di Valerio Cappelli

Il primo luglio debutta a Caracalla con la regia di Damiano Michieletto un pezzo che fu al centro di una querelle tra Nixon e Jackye Kennedy. «Papà aveva due anime, una contemplativa e l’altra estroversa. La sua bisessualità non fu facile accettarla in casa».

Nina, la figlia di Leonard Bernstein: «La Messa di mio padre fu un caso politico che scosse l'America»

Mass di Leonard Bernstein divenne un caso politico, e fu sovrastata da pessime recensioni. Una messa che non è una messa ma un’opera, un musical con molta danza o più semplicemente un «happening». Nel 1971 in America divenne un caso politico, e fu sovrastato da cattive recensioni. Ne parliamo con Nina Bernstein, la figlia minore del grande direttore e compositore, mentre si avvicina la prima assoluta italiana in forma scenica, di uno degli eventi dell’estate, il primo luglio a Caracalla con l’Orchestra dell’Opera di Roma diretti da Diego Matheuz e la regia di Damiano Michieletto.

Nina, verrà a Roma?

«Certamente sì, ci sono stata molte volte in passato, quando mio padre era presidente onorario dell’Accademia di Santa Cecilia. Ricordo una sua Bohème con tutti cantanti giovanissimi, e le estati a Positano da Franco Zeffirelli. Di questa produzione non so nulla».

Ma ricorderà quello che successe alla prima in USA…

«Io avevo 9 anni. Fu un momento molto doloroso per mio padre. Non c’è pezzo di musica più di quello che dia il senso del suo umanitarismo. Lui pensava che il mondo potesse migliorare con la musica. Era già sotto controllo dalle autorità, esisteva il file contro di lui di 800 pagine redatto dall’FBI. Prima, negli Anni ’50, gli avevano perfino ritirato il passaporto. Era stato costretto a firmare una carta in cui diceva di non essere comunista>.

Torniamo al 1971.

«Era l’America di Nixon e della guerra in Vietnam. L’establishment lesse Mass come pezzo pacifista, antipatriottico. L’FBI, per dirvi l’assurdità della situazione, era convinta che le parole Dona Nobis Pacem contenessero un codice cifrato. Mio padre otto anni prima aveva dedicato la Sinfonia Kaddish alla memoria di J.F. Kennedy, nello stesso anno, il 1963, in cui era stato assassinato. Sua moglie Jackie lo chiamò perché voleva affidagli la gestione artistica del Centro delle arti che si doveva inaugurare a Washington D.C. intitolato a suo marito. Papà gli disse che avrebbe voluto piuttosto scrivere un pezzo sacro. E così andò».

Fu stroncato dai giornali libera a lui vicini, come il New York Times.

«Per lui fu uno shock. Era furioso e depresso. Non gli perdonarono l’eclettismo, dissero che era ossessionato dal mito della gioventù. Per me, è un capolavoro. Fatto sta che dopo si dedicò alla direzione d’orchestra e non scrisse più musica per un bel po’».

E’ stato difficile essere la figlia di Leonard Bernstein?

«Sì, ma prima di tutto è stato un privilegio. Quando i miei fratelli, Jamie e Alexander, si sono fatti le loro vite, sono rimasta da sola in casa con papà. Io andavo al liceo, ci incontravamo la sera. Vivevamo tra le due case di New York e del Connecticut. Componeva tutta la notte. Prima, quando eravamo ragazzi, noi tre giocavamo a canasta o a ping pong, facevano gli anagrammi, a pranzo mangiavamo davanti alla tv come tutti gli adolescenti. Io studiavo pianoforte con la segretaria di papà».

Come lo ricorda?

«Aveva una doppia anima, da una parte contemplativa e malinconica, dall’altra estroversa, ed esuberante. Mi fece recitare le poesie di Songfest in concerto con lui, e nel disco del 1985 di West Side Story si può sentire la mia voce nelle parti dialogate di Maria. affidò Non accettava le regole, in un viaggio a Mosca sulla piazza Rossa fumava una sigaretta dopo l’altra, ora non si potrebbe. Era uno spirito libero».

La religiosità, per un ebreo americano figlio di immigrati russi…

«Era un argomento privato di cui non parlava mai, qui però venne allo scoperto. Suo padre Sam, mio nonno, era praticante, leggeva sempre il Talmud».

E’ stato difficile, come figlia, accettare la sua bisessualità?

«Nei primi tempi non fu facile accettarlo. Amava mia madre, ma il matrimonio non gli bastava. Ciò che è straordinario è che a un certo punto tornò in casa, passò gli ultimi due anni della vita di mia madre con lei, Felicia, una regina dell’eleganza a cui avevano diagnosticato un tumore e morì nel 1978, giovane, a 56 anni. Lei scrisse una lettera in cui diceva che non voleva essere la martire di Leonard Bernstein. Ma lo amava profondamente».

Oggi Mass sarebbe apprezzata?

«Sono convinta di sì. Perché la contaminazione dei generi all’epoca era di là da venire e oggi è predominante. C’è canto, danza, recitazione, ci sono richiami al gregoriano, la chitarra, versi di Paul Simon, residui di mio padre in origine destinati a Fratello sole, sorella luna di Zeffirelli, frammenti di liturgia in ebraico e in inglese…E’ un progetto folle e ambizioso, un pezzo che riflette la complessità di una società, e al centro c’è la crisi della fede nel XX secolo, tema oggi attualissimo. Ci sono parole di Mass che sono il suo autoritratto: Cosa dico non lo sento, cosa sento non lo mostro, cosa mostro non è reale, cosa è reale non lo so».

23 giugno 2022 (modifica il 23 giugno 2022 | 21:29)

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, 2022-06-23 19:30:00, Il primo luglio debutta a Caracalla con la regia di Damiano Michieletto un pezzo che fu al centro di una querelle tra Nixon e Jackye Kennedy. «Papà aveva due anime, una contemplativa e l’altra estroversa. La sua bisessualità non fu facile accettarla in casa». , Valerio Cappelli

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