«Noi polacchi  nascondiamo i migranti nelle  case come si faceva con gli ebrei 80 anni fa. Per questo rischiamo 8 anni di galera»

«Noi polacchi nascondiamo i migranti nelle case come si faceva con gli ebrei 80 anni fa. Per questo rischiamo 8 anni di galera»

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Quando sente bussare alla porta, Amina sobbalza sul divano. Ha paura che la polizia possa fare irruzione in casa e scovarla. Non ha fatto niente di male, è soltanto una migrante clandestina, senza documenti, senza il diritto di restare in Polonia. E’ arrivata dalla Bielorussia superando il confine nella foresta. «Sono . Più volte ha tentato di superare il confine senza successo: «Quando i poliziotti mi hanno visto, hanno cominciato a sparare colpi in aria, mi hanno detto di tornare indietro, avevano anche i cani che abbaiavano». E poi c’è il muro voluto dal Governo polacco: una recinzione in costruzione, che diventerà lunga 186 chilometri, pari a quasi metà della lunghezza totale della frontiera, e costerà 340 milioni di euro. Ampi pezzi di muro ci sono già: si ergono in mezzo alla campagna, nella foresta, tra le case dei contadini. E bloccano i fuggitivi. Nonostante tutto, alla fine Amina è riuscita ad entrare in Polonia, è stata ritrovata tra gli alberi in condizioni drammatiche dagli attivisti della zona.

Adesso è rifugiata dentro la casa di una famiglia polacca, che la nasconde in mansarda. Non esce mai di casa, neppure in giardino per non essere scoperta dai vicini, che potrebbero denunciare alla polizia la sua presenza. Uscire di casa sarebbe rischioso, perché se ti beccano a portare i migranti in auto, rischi l’arresto per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ successo a quattro attivisti, sono stati arrestati. E se ti scoprono coi migranti in casa, rischi il processo. «O magari otto anni di galera: la polizia cerca di equiparare l’accoglienza al traffico di esseri umani» racconta K., la donna polacca che accoglie Amina: «Sono consapevole di rischiare, ma non possiamo restare a guardare indifferenti, se nessuno fa niente, queste persone rischiano di morire. Sembra di tornare indietro nel tempo, la stessa cosa succedeva 80 anni fa con gli ebrei che venivano nascosti nelle case». K. – e come lei altre famiglie – ha ospitato finora oltre 20 rifugiati. La sua casa, in aperta campagna, è vicina al confine. Seduta sul divano accanto a lei c’è la figlia Anna. «Non ho detto ai miei compagni di scuola che ospitiamo migranti, sarebbe troppo rischioso».

Sono decine ogni giorno i migranti che tentano di arrivare in Europa superando il confine tra Bielorussia e Polonia. Sono afghani, pakistani, siriani, yemeniti, alcuni africani, arrivati in Bielorussia incoraggiati dal governo di Aleksander Lukashenko, che ha concesso visti turistici con la falsa promessa di un canale facilitato verso l’Unione europea. Salvo poi lasciare ammassati alla frontiera centinaia di profughi che, nel tentativo di raggiungere l’Europa, vengono respinti dalla polizia polacca. In questo modo il Governo bielorusso prova a ricattare l’Ue. E così intere famiglie si ammassano al gelo della foresta, con bambini piccoli che vivono e dormono in giacigli di fortuna.

Due pesi e due misure: da una parte gli ucraini in fuga possono entrare in Polonia, dall’altra la stessa Polonia chiude le porte ai migranti non ucraini. Secondo le associazioni umanitarie locali, sono già oltre 200 i migranti morti di fame e freddo nell’ultimo anno. Alcuni migranti testimoniano di essere stati picchiati, altri dicono che gli agenti gli hanno distrutto i cellulari. Come Mohamed, fuggito dall’Iran perché omosessuale. Lo raggiungiamo telefonicamente, adesso è in Bielorussia: «La polizia ha usato lo spray con il peperoncino per inibire i miei movimenti, mi hanno strattonato e portato di forza al comando. Mi hanno preso le impronte, poi hanno detto che avrei dovuto firmare un foglio in cui accettavo di essere trasferito in un centro di detenzione. Non ho firmato perché sapevo che, una volta dentro quei centri, mi avrebbero rimandato indietro, loro hanno insistito, un poliziotto mi ha forzato a firmare, hanno usato anche la pistola elettroshock, ho detto che avrei voluto parlare con un avvocato ma non mi hanno ascoltato, mi hanno preso il telefono e me l’hanno distrutto, poi mi hanno riportato in auto in Bielorussia».

La zona di confine è blindata. Non c’è solo il muro. La Polonia ha istituito una «zona rossa» alla frontiera, pattugliata giorno e notte, dove i migranti non possono avvicinarsi, e neppure i giornalisti e gli operatori umanitari. Un dramma per molte zone turistiche della zona, come lavergine di , patrimonio Unesco. Impossibile raggiungere i paesini, i ristoranti, gli alberghi. Il parco nazionale di Białowieża, l’unico in Europa dove si possono avvistare i bisonti, è visitabile soltanto per una piccola parte. Il resto è off limits. Proviamo a superare il confine in auto, ma dovunque c’è una pattuglia che ci ferma: «Non si può andare, dovete tornare indietro». Chiediamo il motivo, gli agenti rispondono serafici: «Per i rifugiati». Ad aiutare i migranti bloccati nel bosco, ci sono decine di volontari delle associazioni umanitarie. Tra queste Grupa Granica, che conta numerosi attivisti lungo tutta la frontiera. La città di Białystok è la base di molte operazioni. Nella periferia c’è un magazzino pieno di aiuti umanitari. Sembra un negozio di abbigliamento: pantaloni, felpe, giubbotti, scarpe, stivali, cappotti, mutande, calzini, perché i calzini possono salvare la vita quando fuori si gela. Scaffali che traboccano. E poi il materiale di primo soccorso: garze, cerotti, torce, coperte termiche, termocamere, addirittura flebo: «Sì, ci sono migranti intrappolati nella foresta che necessitano di somministrazioni di fluidi e farmaci – spiegano i volontari – Una volta abbiamo soccorso una persona in ipotermia legando la flebo a un albero con il laccio di una scarpa».

, 2022-06-07 19:41:00, Al confine tra Bielorussia e Polonia le drammatiche testimonianze dei migranti clandestini che cercano di entrare in Europa. E dei polacchi che provano ad aiutarli mentre il governo di Varsavia sta costruendo un muro di 186 chilometri. Secondo le associazioni umanitarie, sono già oltre 200 i migranti morti di fame e freddo nell’ultimo anno,

Pietro Guerra

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