“ ‘La scuola dev’essere amicizia, o non è scuola affatto’. Con quest’affermazione, Mario Untersteiner, docente del Liceo Berchet fino alla Liberazione, e poi preside in quanto unico professore dell’istituto a non aver aderito al Partito Nazionale Fascista, poneva le basi per la scuola che noi oggi pretendiamo: non uno sterile trasferimento di nozioni, bensì un luogo e un tempo di cura dei rapporti umani in chiave formativa in cui la crescita degli individui si sviluppi a partire dal dialogo, dal rispetto e dalla collaborazione”.
A scrivere la lettera sono i rappresentanti del Liceo Berchet di Milano e firmata da una rete di scuole.
“Il Liceo Berchet, pertanto, ci ha educato alla complessità e al pensiero critico, strumenti indispensabili per diventare cittadini liberi e consapevoli, tanto da consentirci la possibilità di contestare l’ambiente stesso in cui stiamo svolgendo il nostro percorso formativo” aggiungono gli studenti.
“Infatti – spiegano – la possibilità di analizzare e condividere con buona parte dei nostri docenti e con il nostro dirigente i disagi e i malesseri scolastici, al di là dell’evidenza pubblica che ne è conseguita, ci sta consentendo di costruire insieme il cambiamento dall’interno. Per fare in modo che queste aperture non si riducano a una disponibilità episodica, è necessario tuttavia che la relazione empatica tra studenti e professori, con cui non desideriamo scontrarci ma confrontarci, diventi la norma“.
“Non vogliamo passare per quelli che cercano riduzioni dei programmi didattici, come si è fatto strumentalmente intendere sui media, né per quelli che non vogliono impegnarsi. Ciò su cui cerchiamo di porre l’attenzione è solo il necessario riconoscimento di una dignità della fragilità. La fragilità può caratterizzare un percorso di studio o un tratto di esso, come un ordinario passaggio di vita. Una condizione che crediamo sia connaturata all’essere umano e non alla nostra generazione, ancora una volta chiamata a dimostrare la propria identità e le proprie risorse mentre è costretta a subire numerose crisi, a partire da quelle globali. In altre parole – evidenziano – non chiediamo di studiare meno, vogliamo studiare meglio, in un ambiente sereno e fertile in cui lo studente non si senta alienato ma riconosciuto nelle proprie specificità“.
“Abbiamo ragione di credere che il nostro disagio non sia una condizione isolata. Sono diffuse le realtà nelle quali gli studenti soffrono gli stessi problemi, senza avere la stessa attenzione e le stesse possibilità di essere ascoltati. Sentiamo perciò la responsabilità di coinvolgere le altre realtà scolastiche, alcune delle quali hanno già intrapreso il cammino in questa direzione, nel processo trasformativo delle modalità stesse del “fare scuola”.
Questa lettera vuole essere un messaggio di solidarietà verso tutti quei ragazzi di altre scuole che si sentono in difficoltà e, al contempo, una chiamata all’azione: far emergere un problema non è di per sé un male, né un’azione che dimostra debolezza, ma, al contrario, un atto di forte coraggio.
Ribadiamo, infine, che noi studenti non accetteremo più atteggiamenti oppressivi e dispotici.
Una scuola autoritaria prepara ad una società autoritaria, e noi non siamo disposti a tollerare né l’una, né, tantomeno, l’altra” concludono.
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