Come decifrare il mistero sulle esplosioni sottomarine che hanno danneggiato i gasdotti russi Nord Stream 1 e 2, aprendo falle nelle condutture e provocando perdite di metano? Svedesi e danesi, che hanno messo in allerta le proprie marine militari, hanno subito parlato di sabotaggio. Con fondate ragioni. Anzitutto le falle nel tratto sottomarino sono avvenute pressoché simultaneamente in tre punti; hanno provocato fughe di gas da strutture che sono tubi di acciaio a tenuta stagna protetti da una robusta «camicia» di cemento. I sismografi hanno registrato scosse equivalenti a terremoti oppure a esplosioni. Poiché non c’è stato alcun terremoto in quell’area, resta la spiegazione dell’esplosione.
In mancanza di prove, i governi occidentali mantengono una certa cautela, anche se molti esperti occidentali sospettano che ci sia dietro la mano della Russia. Da Mosca la risposta è stata: «Ridicolo». La cosa più facile, nell’assenza di prove, è affidarsi alla logica deduttiva del «cui prodest», frase latina che significa «a chi giova». Chi avrebbe interesse a fare questo atto di sabotaggio? A chi giova danneggiare una infrastruttura così imponente e costosa, che per anni fu un’arteria vitale dell’energia da Est a Ovest? Un’infrastruttura, va aggiunto, attualmente inutilizzata.
Nord Stream 2, il più nuovo dei due, non ha mai cominciato a pompare gas perché è rimasto bloccato dalle sanzioni occidentali contro la Russia. Nord Stream 1 invece è stato uno strumento delle contro-sanzioni inflitte da Putin agli europei. Gazprom ha chiuso i rubinetti di Nord Stream 1 tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, prima adducendo la scusa del mancato arrivo di turbine in manutenzione in Canada, poi con un esplicito intento di castigare i clienti europei.
Il «cui prodest» si complica, perché gli effetti di questo sabotaggio sono nulli nell’immediato: ha danneggiato un gasdotto incompleto(Nord Stream 2) e un altro che ha cessato di rifornire l’Europa. Anche se il gas c’è nelle condutture di entrambi, visto che la pressione del gas è indispensabile per mantenere quei tubi in buono stato. Comunque sul mercato di Amsterdam c’è stato un rialzo dei prezzi, ancorché limitato. Effetto psicologico, giustificato: il sabotaggio scatena ogni sorta di congetture su chi c’è dietro, e quali potrebbero essere le prossime mosse. La logica del «cui prodest» ha generato molte assoluzioni di Putin, nei talkshow italiani dove abbondano i simpatizzanti dell’autocrate russo (alcuni espliciti, molti inconfessati). Che interesse avrebbe la Russia a sabotare se stessa, ovvero un’infrastruttura che le è costata miliardi di euro e che fino a ieri l’ha arricchita? Di conseguenza, i sospetti vanno indirizzati nel senso opposto: verso Occidente.
Il problema è che se a organizzare un attentato in territorio occidentale (la zona delle fughe di gas è in un tratto di mare tra le coste svedesi tedesche e danesi) fossero stati degli occidentali, prima o poi lo verremo a sapere. È la natura delle democrazie: anche i nostri servizi segreti sono dei colabrodi, prima o poi qualcuno ha interesse a passare informazioni scabrose a un giornalista o a un magistrato o a una ong. È sempre successo, abbiamo una lunga scia di scandali a ricordarcelo. Nelle ultime guerre americane, dall’Irak all’Afghanistan, c’è sempre stato un Assange o uno Snowden (oggi cittadino russo grazie a Putin) a rivelare ogni sorta di schifezze. E gli scandali hanno conseguenze, nelle democrazie. Viceversa, Putin può avvelenare un suo avversario sul suolo inglese, negare tutto, e rimanere al potere molti anni dopo aver commesso un assassinio.
Quale vantaggio avrebbe la Russia a sabotare Nord Stream? Al momento ci sono tre ipotesi
. La prima descrive l’attentato come l’ennesimo gesto teso a generare insicurezza sui mercati dell’energia, a far salire i prezzi, per danneggiare gli europei e aumentare la pressione politica a cui Mosca li sottopone con le sue sanzioni. La reazione della Borsa di Amsterdam, che determina le bollette della luce di tanti utenti europei, andrebbe in quella direzione. Una seconda ipotesi è l’avvertimento. L’attentato di ieri ha colpito una infrastruttura russa, certo, ma chi lo ha fatto ieri, domani potrebbe colpire altrove. La capacità tecnica di orchestrare tre esplosioni sottomarine in una zona che dovrebbe essere sorvegliatissima dalla Nato, fra le coste di due paesi membri (Germania e Danimarca) e di un futuro membro (Svezia), è un segnale di quanto siamo esposti e insicuri. Chi ha fatto esplodere tre cariche a grande profondità lungo il gasdotto Nord Stream, in futuro potrebbe prendere di mira una infrastruttura più vitale: centrali elettriche o nucleari su territori Nato, per esempio. Un terza ipotesi è quella di rendere irreversibile la torsione geostrategica della Russia verso Oriente. Mettere fuori uso Nord Stream significa colpire le speranze che un giorno si possano normalizzare i rapporti fra Mosca e l’Europa: chiunque sia a nutrire quella speranza. Se è stato Putin (e sottolineo il se: sto giocando con le illazioni) a volere quegli attentati, può essere un modo per indicare ai suoi che il futuro della Russia sarà per sempre centrato sui rapporti con la Cina (e l’India). Indietro non si torna. L’Occidente sarà nemico per sempre. Questo può essere un messaggio contro eventuali «colombe», o aspiranti golpisti, in una fase in cui Putin affronta resistenze popolari contro la mobilitazione di massa e la sua guerra che rischia di diventare davvero impopolare. L’insieme di queste congetture punta verso uno scenario inquietante che alcuni esperti definiscono così: la Russia diventerà come l’Iran. Il paragone è con il ruolo del regime degli ayatollah nel sostenere varie offensive terroristiche – dichiarate o meno – contro i suoi vicini e contro gli interessi occidentali.
Messa al bando dall’Occidente, sempre più isolata da noi, ma non priva di sostenitori in altre parti del mondo, la Russia di Putin potrebbe avviarsi a diventare un rogue State o Stato-canaglia, che fa dell’illegalità la sua cifra identitaria. In questo scenario ha un posto di rilievo la guerra ibrida: una guerra non dichiarata e asimmetrica contro l’Occidente, portata avanti con metodi a metà strada fra la guerra classica e il terrorismo. Già negli anni passati la Russia aveva intensificato i suoi cyber-attacchi. Gli attentati contro le nostre infrastrutture potrebbero rientrare in un nuovo capitolo di questa guerra ibrida. Che ha una caratteristica tipica: la deniability o «smentibilità», il fatto di poter gettare il sasso e nascondere la mano. Le fughe di gas metano al largo delle coste danesi tedesche svedesi, hanno le caratteristiche del «terrorismo ecologico» perché diffondono metano che contribuisce al cambiamento climatico. Rispetto alle vittime dell’invasione in Ucraina è poca cosa, ma per le opinioni pubbliche ambientaliste in Germania Danimarca e Svezia si tratta comunque di un nuovo motivo di allarme. La pista russa nelle esplosioni che hanno danneggiato Nord Stream può rivelarsi infondata. Ma la possibilità che la Russia si trasformi in un grande Iran, non va scartata dai nostri scenari futuri.
28 settembre 2022, 18:19 – modifica il 28 settembre 2022 | 22:59
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, 2022-09-28 20:59:00, Molti esperti hanno subito pensato al Cremlino. Ma c’è chi chiede: perché Putin dovrebbe sabotare una sua struttura? Altri, pensano che dietro le esplosioni possa esserci l’Occidente, Federico Rampini