I due gasdotti Russia-Germania sono stati messi fuori uso da esplosioni a sud dell’isola di Bornholm, in Danimarca, in acque internazionali. Le deflagrazioni sono avvenute a 17 ore di distanza; quattro le falle. Chi potrebbe essere stato? E perché?
È il grande intrigo del Baltico: il sabotaggio alle due linee del gasdotto Russia-Germania avvenuto alla fine di settembre.
Sono ormai passati diversi giorni e l’unica certezza sono gli interrogativi.
Il mare conserva per ora i suoi segreti, lasciando spazio alle speculazioni senza che si possa dare una risposta precisa. Serve del tempo. Del resto i colpi come questo sono perfetti per essere «negati» da chi li ha compiuti.
Le esplosioni
Le pipeline — una sola operativa, ma entrambe piene di gas — sono state messe fuori uso da deflagrazioni a sud dell’isola danese di Bornholm, in acque internazionali. Prima è toccato a Nord Stream 2, quindi a Nord Stream 1, con un intervallo di circa 17 ore.
Quattro le falle con una susseguente perdita di pressione ad una profondità di 70-90 metri. Eventi registrati dai sismografi svedesi e dagli apparati di difesa dei paesi della regione, già in allarme per le tensioni legate al conflitto in Ucraina.
I ricognitori hanno diffuso le immagini della fuoriuscita, un cerchio bianco sulla superficie a documentare quanto stava avvenendo.
Cariche potenti
Il disastro ha provocato sorpresa, sconcerto, polemiche. È partita corale la richiesta di un’indagine e nel frattempo sono iniziate le teorie. Danesi, svedesi e tedeschi concordano su un dettaglio: sono state impiegate cariche molto potenti, secondo ambienti dell’intelligence circa 500 chilogrammi d’esplosivo. Non volevano errori, la botta doveva essere possente.
Il quotidiano The Guardian ha aggiunto il parere di alcuni funzionari: forse le «trappole» sono state introdotte ricorrendo ai droni per la manutenzione. Le fonti ritengono che questi aspetti siano la conferma di un’azione condotta da professionisti, sabotatori appartenenti a uno Stato, personale addestrato ad agire e con le risorse tecnologiche adeguate.
Le ipotesi
H.I. Sutton, uno tra gli esperti più bravi, ha prospettato scenari che riprendono le indiscrezioni recenti. Vediamo: gli ordigni sono stati piazzati con largo anticipo da droni subacquei; li hanno inseriti durante la fase di costruzione; c’è stato il ricorso ai «gadget» di ispezione, noti come PIGS, che hanno minato i tubi dall’interno; l’intervento classico, quello condotto da una nave dotata di apparati per le attività sul fondo. Naturalmente è stato anche considerata l’incursione di un sommergibile (e forze scelte) o di un battello speciale. I droni hanno bisogno di un mezzo di supporto, si può impiegare un vascello militare oppure uno «civile» che cela a bordo ciò che serve. Non mancano nelle flotte di molti Paesi, camuffate da unità di «ricerca scientifica», da «rimorchiatori d’altura» equipaggiati per eseguire interventi in profondità. Non di rado conducono «crociere» lontano dalle rispettive basi. Fa parte della sfida globale.
Le accuse
Il campo Nato continua a sospettare la Russia, anche se gli addebiti sono mossi non in modo omogeneo e si aspetta di avere informazioni maggiori una volta che saranno recuperati eventuali reperti. Mentre un intrecciarsi di informazioni sulle presenze della Marina russa, sui rischi di infiltrazioni, sui timori di una lotta dura con le infrastrutture strategiche diventate bersagli.
La Russia — sostiene un’analista — potrebbe aver deciso il sabotaggio per lanciare un messaggio di deterrenza, per evitare di pagare risarcimenti per le mancate forniture, per alzare il livello di tensione.
Ma questo «elenco» non esclude altri colpevoli. Sono stati citati polacchi, ucraini e americani. Mosca replica chiamando in causa gli Usa e i suoi alleati. Sono stati gli «anglosassoni», ha affermato Vladimir Putin nei panni del neo-zar contro tutti. E qualche ora prima il responsabile dei suoi servizi segreti aveva parlato di atto di terrorismo da attribuire al nemico occidentale, una certezza legata a materiale raccolto dall’intelligence. Evidenze che però non ha esibito.
Più prudente Nikolai Patrushev, il segretario del Consiglio per la sicurezza e uomo chiave della gerarchia moscovita: «Non abbiamo dati sul coinvolgimento dell’Ovest, sappiamo però che lo hanno fatto in passato. Con il tempo proveremo anche questo».
L’ambiente
I governi della regione devono poi preoccuparsi di possibili effetti collaterali. L’agenzia finlandese per l’ambiente ha segnalato che la prima fuoriuscita di gas è avvenuta in una zona dove vi sarebbe discarica di armi chimiche.
Al momento non sono stati segnalati pericoli. Il gestore di Nord Stream 2 ha invece annunciato che è finita la fuga di gas grazie alla pressione dell’acqua.
2 ottobre 2022 (modifica il 2 ottobre 2022 | 07:09)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-10-02 05:39:00, I due gasdotti Russia-Germania sono stati messi fuori uso da esplosioni a sud dell’isola di Bornholm, in Danimarca, in acque internazionali. Le deflagrazioni sono avvenute a 17 ore di distanza; quattro le falle. Chi potrebbe essere stato? E perché?, Andrea Marinelli e Guido Olimpio