La commissione d’esame operava con componenti che avevano cause di incompatibilità
Marco Nobilio
Il Tar del Lazio ha disposto l’«annullamento in toto della procedura concorsuale» per il reclutamento dei dirigenti scolastici, che si è appena conclusa (8655/2019 sezione terza bis). I giudici amministrativi hanno accertato l’illegittimità della composizione della commissione che aveva definito «i criteri di valutazione poi utilizzati per la correzione delle prove e l’attribuzione dei punteggi». La commissione, infatti, comprendeva due commissari che avevano svolto corsi di formazione per la preparazione al concorso e un altro commissario che rivestiva e riveste la carica di sindaco di un comune. Entrambe queste situazioni giuridiche rientrano nelle condizioni di incompatibilità che avrebbero dovuto precludere l’accesso alla qualifica di commissario ai soggetti in questione. Preclusione che si giustifica con la necessità di evitare che nei concorsi pubblici possano intervenire conflitti di interesse idonei a compromettere l’attendibilità delle valutazioni.
Nel caso dei commissari che avevano svolto incarichi di docenti in corsi di preparazione al concorso, la norma di riferimento è l’articolo 16, comma 2, lettera d) del decreto ministeriale. 3 agosto 2017 n. 138. Che reca proprio la disciplina regolamentare del concorso. Tale norma dispone che i componenti dell’organismo tecnico, tra l’altro, «non debbono svolgere, o aver svolto nell’anno antecedente alla data di indizione del concorso, attività o corsi di preparazione ai concorsi per il reclutamento dei dirigenti scolastici».
Per quanto riguarda il sindaco-commissario, invece, la normativa di riferimento è costituita dall’articolo 35, comma 3, lett. e) del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 e dall’articolo 9, comma 2 del decreto del presidente della repubblica 9 maggio 1994 n. 487. Disposizioni che vietano la nomina dei sindaci in qualunque commissione esaminatrice per pubblici concorsi di reclutamento. Il ragionamento che ha indotto la sezione ad annullare in toto la procedura concorsuale muove dal presupposto che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, la commissione esaminatrice deve operare come collegio perfetto in tutti i momenti in cui vengono adottate determinazioni rilevanti ai fini della valutazione dei candidati.
Pertanto «la presenza anche di un solo componente versante in situazione di incompatibilità», si legge nella sentenza del Tar, «mina in radice il principio del collegio perfetto con conseguente invalidità delle attività svolte». Quindi, anche se le operazioni di valutazione dei candidati fossero state adottate correttamente, la presenza di un vizio originario nella composizione della commissione determina, comunque, l’illegittimità insanabile di tutte le operazioni. Va detto subito che le sentenze costitutive di annullamento sono immediatamente esecutive. Salvo che non intervenga successivamente un provvedimento di sospensione da parte del Consiglio di stato. Ed è per questo motivo che l’amministrazione centrale ha impugnato la sentenza davanti ai giudici di palazzo Spada.
Fermo restando che, se il Consiglio di stato dovesse sposare la tesi dei giudici di I grado, il concorso dovrebbe essere rifatto ex novo. E i docenti individuati come vincitori perderebbero definitivamente il diritto di accedere alla qualifica di dirigente scolastico. D’altra parte, le situazioni di incompatibilità accertate dal Tar sussistono oggettivamente. Così come pure la necessità, per la commissione, di operare in regime di collegio perfetto. Pertanto, per bypassare gli effetti dell’insanabilità del vizio di legittimità individuato dal Tar, comincia a farsi strada, tra gli addetti ai lavori, l’ipotesi della sanatoria ex post per via legislativa. Qualora, infatti, il Consiglio di stato dovesse disporre la sospensione della sentenza del Tar, il ministero dell’istruzione potrebbe procedere all’immissione in ruolo dei vincitori del concorso. E dopo la sentenza di merito, che giungerebbe, probabilmente, dopo due o tre anni, il legislatore potrebbe sanare la questione istituendo un concorso con prove semplificate riservato ai vincitori immessi in ruolo in violazione di legge. Una soluzione adottata già in passato in situazioni analoghe. E gli atti formati dai dirigenti nominati in violazione di legge, nel periodo tra la nomina e l’entrata in vigore della sanatoria, risulterebbero comunque legittimi.
Perché i dirigenti avrebbero operato in qualità di funzionari di fatto: una figura inventata dalla dottrina con l’avallo della giurisprudenza amministrativa. Secondo la IV sezione del Consiglio di stato (sentenza 853 del 20 maggio 1999), infatti, tale figura «trova vita solo allorquando si tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi con efficacia immediata e diretta». E sarebbe proprio la condizione in cui si troverebbero ad operare i presidi-funzionari di fatto, all’atto della formazione dei provvedimenti volti a garantire il funzionamento delle istituzioni scolastiche a cui risulterebbero preposti.