A prescindere dal fatto di valutare se il Dpcm fissato entro il 31 luglio per rendere operativo il nuovo percorso di reclutamento previsto dal D.L. 36/2022 (convertito nella legge n. 79), ma ancor prima per sciogliere i molti nodi che lo contraddistinguono, rientri nel perimetro degli “affari correnti” di cui il governo (e nella fattispecie il ministro Bianchi) si possa occupare, ci si deve interrogare se è “corretto” affrontare riforme di sistema con un governo che con le dimissioni non ha più la stessa legittimazione politica e appare totalmente “spaccato”.
Sarà ben lecito che le problematiche (anche le eventuali riforme sulla scuola) siano demandate al nuovo esecutivo (e si spera a un nuovo Parlamento che possa esercitare in modo più ampio, rispetto soprattutto a questa parte di una legislatura… assai “convulsa”, il suo compito legislativo) che uscirà dall’esito delle prossime, ormai imminenti (25 settembre), votazioni, e quindi le eventuali riforme siano anche conseguenza dei programmi dichiarati in campagna elettorale e sottoposti agli elettori, ai cittadini italiani.
Come già scritto in questa “testata”, secondo il portale Openpolis.it, citato dal quotidiano la Repubblica, tra le cose che il governo non dovrà adottare ci sono nuovi regolamenti ministeriali o governativi, a meno che la legge o obblighi internazionali non impongano altrimenti, oppure che siano necessari per l’operatività della pubblica amministrazione o per l’attuazione di riforme già approvate dal parlamento. “E quest’ultimo” (l’eventuale regolamento necessario per l’attuazione di una riforma), potrebbe essere “ – viene scritto nell’articolo della Tecnica citato – “il caso che ci riguarda. Infatti, in vista dell’attuazione del Decreto Legge 36 del 30 aprile 2022, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79, siamo in attesa del Dpcm (che avrebbe dovuto essere approvato entro fine luglio) e di altri decreti e regolamenti che dovranno mettere a terra una serie di regole applicative del decreto 36, dalla questione dei crediti, al costo del percorso abilitante, all’accreditamento degli enti responsabili dell’abilitazione e molto altro”.
Già, molto altro, come evidenziato in un ulteriore articolo. Una riforma quella prevista dal decreto legge 36 (che peraltro prevede anche un nuovo sistema di formazione continua obbligatoria: ma a quali condizioni? Interessante a tal proposito un’analisi proposta su questa “testata” da Alvaro Belardinelli. La riforma sulla formazione conta sull’istituzione di una Scuola di Alta formazione e formazione continua per dirigenti scolastici, insegnanti e personale Ata, nella quale saranno coinvolti Indire, Invalsi e università italiane e straniere!), il decreto legge poi convertito in legge, che in realtà necessita dell’approvazione di ben 14 decreti attuativi.
Un insegnante con esperienze all’estero: negli altri Paesi europei per diventare docenti di ruolo si fa un percorso non più semplice, ma semplicemente normale rispetto a quanto richiesto dal D.L. 36
Sul reclutamento previsto dal D.L. 36 un docente con esperienza di insegnamento anche all’estero ha scritto qualche settimana fa alla Tecnica della Scuola: “Perché in Italia per diventare docenti di ruolo occorre un cammino molto ma molto più difficile e farraginoso di ogni altro Paese europeo, e credo del mondo. Perché? Forse perché si pensa più difficoltà equivale a più qualità? Naturalmente questo è falso. Lo sappiamo tutti no? I docenti spagnoli, irlandesi, inglesi, portoghesi, rumeni, ecc.. non hanno nulla da invidiare a quelli italiani pur facendo un cammino di formazione e reclutamento non più semplice, ma semplicemente normale!”.
Insomma, in questo caso non possono valere neppure le “formulette”, quasi sempre abusate, del “ci dobbiamo allineare agli altri Stati europei”, “ce lo chiede l’Europa” (tanto utilizzate quando vengono richiesti sacrifici ma non adottate quando i cittadini italiani – di tutte le regioni! – dovrebbero essere equiparati ad altri cittadini europei in tema di diritti), a meno che l’Ue non condizioni i finanziamenti a sacrifici richiesti, come spesso in passato, ai cittadini italiani ma da cui sono esenti altri Paesi “guida” dell’Unione.
C’è chi afferma che sono a rischio i fondi europei per il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza: a proposito, ma la parola “resilienza” che “c’azzecca” in un contesto economico legato a finanziamenti, in realtà prestiti? Così, probabilmente per dare un tocco di “flessibilità” e di “connotazione psicologica”, ma forse solo per conferire “enfasi”: simbolo di resilienza si dice sia l’araba fenice, l’uccello che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte), ma a parte che i finanziamenti sono legati ad altrettante scadenze di dicembre 2022 (quindi ci sarebbe possibilità anche per il futuro governo, anche se effettivamente i “tempi tecnici” sarebbero davvero stretti, tenuto anche conto che si dovrà affrontare pure una legge di bilancio) su ilsole24ore.com leggiamo che “Bruxelles ha già fatto sapere che proprio sulle riforme fondamentali della concorrenza e della giustizia sarà intransigente”. Pare proprio che la riforma del reclutamento non sia una riforma… fondamentale.
Un lungo percorso a ostacoli attraverso un’autentica “riforma di sistema”, da attuare da un governo dimissionario, con passaggi assai poco condivisi nel mondo della scuola
In effetti il reclutamento prospettato dal D.L. 36/2022 costringe a un autentico percorso a ostacoli e per insegnare alle scuole di istruzione secondaria di I e di II grado ci vorranno 60 Cfu (almeno dalla fine del 2024) in discipline psico-pedagogiche.
In un primo momento il ministro Bianchi aveva persino valutato la possibilità di introdurre questi 60 Cfu nei percorsi di laurea magistrale. Poi ha precisato: “Tutte le società scientifiche, i matematici, i fisici, l’Accademia dei Licei, tutti ci hanno detto che nella magistrale disciplinare non si può togliere neanche un credito alla disciplina, ma soprattutto tutti ci hanno detto che non si possono sostituire crediti disciplinari con crediti pedagogico-didattici per chi voglia fare l’insegnante”. Incredibile! E lui da ministro dell’istruzione ma anche da ex rettore non riusciva a percepire che, in sostanza, non si possono andare a togliere discipline di indirizzo per sostituirle con quelle pedagogiche?! Chissà se avrà detto anche in questa occasione: “Adesso l’ho imparato” (invece di “l’ho appreso adesso”).
Praticamente quasi una sorta di nuovo “master”, diciamo un anno in più fra università (con conseguimento dei Cfu) o accademici (Cfa) e tirocini (con prove finali, compresa una lezione simulata); dopo il percorso “abilitante” – infatti il conseguimento dell’abilitazione non costituisce titolo di idoneità né dà alcun diritto relativamente al reclutamento in ruolo al di fuori delle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli a tempo indeterminato – possibilità di accedere ai concorsi (magari svolti ancora con test, anche se si prospettano “domande a risposta aperta”: ullallà, ma allora la cosa è seria!); ma non è finita qui: c’è un periodo di prova annuale (almeno 180 giorni di servizio e 120 di attività didattiche) per i neoassunti, con test finale (che non esiste oggi se consideriamo il cosiddetto “anno di prova”, con un tutor di riferimento) e valutazione del dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione; in caso di mancato superamento del test finale o di valutazione negativa c’è un secondo periodo di prova, non rinnovabile.
Un’autentica riforma di sistema , come detto, che non si dovrebbe fare in fretta, con un passaggio determinante attraverso un Dpcm, con vari decreti attuativi, e in maniera assai poco condivisa nel mondo della scuola.
Appare invece accettabile, a determinate condizioni, una formazione nell’ambito delle metodologie e tecnologie didattiche, purché non in sostituzione dell’esperienza professionale dei docenti e della loro libertà di insegnamento sancita da contratto e Costituzione
Altra cosa sarebbe la formazione nell’ambito delle metodologie e tecnologie didattiche applicate alle discipline di riferimento (senza dimenticare che le nuove tecnologie devono comunque essere considerate strumenti da potere eventualmente utilizzare senza farne un “totem” e non in sostituzione dell’esperienza professionale dei docenti e della loro legittima libertà di insegnamento sancita da contratto e Costituzione): questa sarebbe una formazione accettabile ed utile (naturalmente, se obbligatoria e non retribuita, da svolgere in orario curriculare per chi è già insegnante), anche se secondo noi da “graduare” in base anche alle materie insegnate (vi sono infatti discipline meno orientate al digitale).
Le priorità sono altre: procedere speditamente a immissioni in ruolo e assegnazione delle cattedre già all’inizio del nuovo anno scolastico, sistemi di aerazione meccanica nelle aule (nulla è stato fatto), problema delle “classi pollaio”
Insomma, forse le priorità sono altre: sicuramente procedere speditamente alle immissioni in ruolo e all’assegnazione delle cattedre già all’inizio del nuovo anno scolastico; ancor più prioritario provvedere a un rientro in classe in sicurezza: e invece nulla è stato fatto per i sistemi di aerazione meccanica nelle aule né sono stati in tal senso stanziati fondi, mancando anche le “linee guida” del Ministero dell’istruzione (si punta ancora… sulle finestre aperte?).
Né si intende risolvere in modo adeguato il problema delle cosiddette “classi pollaio”. Anzi, il ministro Bianchi ha recentemente dichiarato che “fare classi sempre più piccole non ha senso, i bambini in classi troppo piccole non si ritrovano” (in che senso?). Poi chi evoca “l’incubo” del mancato rinnovo del contratto (a parte le cifre ritenute insoddisfacenti anche dai sindacati, soprattutto se paragonate a quelle della media dei colleghi europei) se la decisione slittasse alla legge di bilancio del nuovo governo che ci sarà, diciamo chiaramente che il rinnovo riguarda il contratto 2019/2021: perché non è stato fatto a suo tempo?
Ma in questo articolo ci vogliamo limitare alla questione del nuovo reclutamento, anche se le problematiche e le scelte ministeriali e del governo (come sempre “divisive” e calate dall’alto senza adeguata consultazione con chi nel mondo della scuola, in aula, opera quotidianamente) inerenti l’istruzione e la formazione siano parecchie.
Sondaggio della Tecnica: la maggioranza dice “no” a Draghi ma soprattutto pesa il giudizio sul ministro dell’Istruzione, evidenziando in modo particolare il contrasto alla riforma del reclutamento e della formazione docenti
Comunque sia, che l’attuale ministro dell’Istruzione non goda dell’appoggio della maggior parte delle componenti scolastiche sembra emergere anche dall’ultimo sondaggio della Tecnica della Scuola, che in effetti ha chiesto ai docenti: il presidente del consiglio Mario Draghi deve andare via o deve rimanere?
Oltre 6 docenti su 10 (hanno partecipato 1.500 lettori, dei quali 8 su 10 insegnanti) dicono “no” a Draghi (e solo un terzo ha risposto ”deve rimanere”, percentuale addirittura ancora più bassa quando a rispondere sono stati dirigenti scolastici). Nel commento a questo sondaggio leggiamo “Perché il no a Draghi? Semplicemente e soprattutto perché gli insegnanti non vogliono più il ministro Patrizio Bianchi (…). Dalle posizioni emerse dal sondaggio, infatti, viene chiarito esplicitamente che il problema non è Draghi ma la riforma del reclutamento e della formazione docenti”.
In realtà noi pensiamo che se la maggioranza ha dato “parere favorevole” alla possibilità che Draghi andasse via il risultato sia legato in parte al giudizio espresso sul Ministro ma sia una opinione diretta pure allo stesso premier. Una bocciatura sull’operato di Mario Draghi (ovviamente, visto il target cui era rivolto il sondaggio, soprattutto legata a motivazioni che riguardano la scuola: “Il governo Draghi finora non ha affrontato i problemi della scuola: contratto scaduto, classi pollaio, sistemi di aereazione forzata” e poi ”deve aggiustare il tiro, a iniziare dalla riforma del reclutamento”).
“Coro del tutto unanime” a favore di Draghi? Forse è quello che ha inteso far pensare l’informazione mainstream. Intanto una petizione chiede “il ripristino di un confronto democratico sulla scuola, senza approfittare del Pnrr per introdurre innovazioni controproducenti, verso cui spingono interessi privati”
Insomma, quando Mario Draghi il 20 luglio scorso nelle comunicazioni al Senato in vista del “voto di fiducia” all’esecutivo ha detto che la “mobilitazione degli italiani in questi giorni è senza precedenti” (anche di istituzioni, italiane ed estere per la verità, il che lascia un po’ “perplessi”, soprattutto perché il Parlamento è sovrano, e non dovrebbe subire “pressioni” esterne, in una Repubblica parlamentare come la nostra) e ha coinvolto anche “la scuola, l’università”, probabilmente il premier faceva riferimento agli appelli dell’Andis (Associazione nazionale dirigenti scolastici), appello che peraltro guardando il citato sondaggio della Tecnica sembra abbia avuto un riscontro alquanto basso tra i DS che vi hanno partecipato, e il presidente della Crui (Conferenza dei rettori italiani), che, parlando di “coro quasi del tutto unanime” (direi invece che non sono così sicuro che la maggioranza degli italiani oggi approva l’operato dell’attuale premier – come l’informazione mainstream ha “strombazzato” – né che lo rimpiangerà in futuro) ha persino preteso di parlare a nome degli studenti (si erano espressi? Mi pare di no, semmai su varie questioni non erano stati proprio a fianco delle scelte governative nei mesi passati, ma per il presidente della Crui non scendono in piazza a favore di Draghi “non perché non abbiano un’opinione al riguardo, ma perché ipotizzo non abbiano né la voglia né l’interesse di assecondare i giochi della politica”. Ma non solo, gli studenti – un poco “ignavi” se si prendesse alla lettera la fantasiosa ricostruzione dei fatti – “hanno bisogno di esempi da seguire e di riferimenti da ricordare”: inutile chiarire chi secondo l’attuale presidente della Conferenza dei rettori sia l’esempio da seguire e il riferimento da ricordare. Magari altri educatori preferiscono indicare qualche statista o grande personaggio storico o del mondo della scienza, della cultura, del volontariato (o in altri meritori campi). Ma ciascuno si sceglie (si spererebbe per sé soltanto) i suoi “simboli” e i suoi esempi.
Infine, per segnalare quanto una parte importante del mondo della scuola manifesti dissenso verso l’attuale ministro dell’Istruzione, un cenno pure a una petizione che ha raccolto un numero elevato di firme: insegnanti, genitori, che vogliono un cambiamento e hanno chiesto (non molto tempo prima che l’intero governo fosse dimissionario) le dimissioni immediate di Bianchi e il ripristino di un confronto democratico sulla scuola. Come leggiamo in un recente articolo, con una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, il Manifesto Nuova Scuola dichiara di non voler più accettare le forzature di un Governo che “approfitta del Pnrr per introdurre nelle scuole innovazioni dannose e controproducenti, verso cui spingono fortissimi interessi privati”, con un ministro che tra l’altro utilizza “espressioni come ‘riaddestrare gli insegnanti’ all’uso di nuove tecnologie, misconoscendo le capacità e il lavoro di insegnanti che operano tutti i giorni meritoriamente in classe”. Si chiede perciò al Capo dello Stato, garante della Costituzione, “il ripristino di un corretto dibattito democratico sul futuro dell’Istruzione pubblica, che coinvolga chi nella scuola lavora e ne conosce problemi e necessità, e non diventi pretesto per arricchire il business di una ‘formazione’ burocratizzata e di bassissimo livello culturale o per introdurre forme di privatizzazione che portano la scuola lontana dai suoi compiti costituzionali”, nonché si chiede “la revisione o la cancellazione delle parti del DL del 30 aprile 2022, n. 36 (convertito nella Legge del 29 giugno 2022, n. 79), che intervengono impropriamente e in spregio dell’art. 33 della Costituzione sul reclutamento e sulla formazione degli insegnanti”.
, 2022-07-22 16:44:00, A prescindere dal fatto di valutare se il Dpcm fissato entro il 31 luglio per rendere operativo il nuovo percorso di reclutamento previsto dal D.L. 36/2022 (convertito nella legge n. 79), ma ancor prima per sciogliere i molti nodi che lo contraddistinguono, rientri nel perimetro degli “affari correnti” di cui il governo (e nella fattispecie […]
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