Stone e il doc a favore del nucleare: «Non c’entra con la guerra atomica»

Stone e il doc a favore del nucleare: «Non c’entra con la guerra atomica»

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di Valerio Cappelli

Dati e statistiche alla mano, il regista statunitense racconta: «L’industria nucleare è un polmone in più»

Lunga vita all’energia nucleare. Bisogna liberarsi dal panico che ancora aleggia tra noi, prodotto dalla «controcultura» degli Anni ’70, che si affidava alle piazze e alle stelle del rock contro le centrali nucleari. I concerti «No Nukes» al Madison Square Garden con James Taylor, Crosby Stills & Nash o gli interventi della «pasionaria» ambientalista Jane Fonda. Riecco Oliver Stone con i suoi toni apodittici e definitivi, affiancato da scienziati e fisici: «Questa è la più grande sfida del nostro tempo. Da decenni c’è una campagna di disinformazione. Il vero killer del nostro tempo sono i cambiamenti climatici, siccità, uragani…Si stanno mettendo in commercio progetti per nuovi reattori prodotti in serie a basso costo, che generano energia più pulita del petrolio e del carbone. La cosa peggiore che possa succedere è se non facciamo nulla, l’inerzia».

Il regista è andato negli angoli più remoti della Russia e di altri paesi per dimostrarlo. «L’errore è di collegare l’energia nucleare alla guerra nucleare, si fa una grande confusione, il pericolo viene dai disastri del cambiamento climatico, non dalle centrali atomiche». Dice che in Francia i reattori nucleari ridussero del 50 percento l’emissione di carbonio, ma poi sull’onda del panico causato da poche tragedie sono stati smantellati o contenuti in mezzo mondo. «A Fukushima gli alberi sono tornati a fiorire, anche se la gente non è tornata ad abitarci». E l’Ucraina, dove i soldati russi si sono impossessati della centrale di Zaporizhzhia?

«Ci sono livelli di sicurezza tali che vi si potrebbe schiantare un aereo senza causare danni. La verità è che l’energia nucleare costa meno della combustione fossile e fa meno danni, per non parlare del costo di vittime umane se si escludono pochi clamorosi incidenti in Asia che si contano sulle dita di una mano». Oggi i reattori nucleari in USA forniscono il 20 per cento di elettricità: troppo poca. Dice che Chernobyl c’è stata una sola volta.

«L’industria nucleare è un polmone in più». Questa l’impalcatura del nuovo documentario del regista USA, che si affida a una tale sfilza di cifre, statistiche e cartelli che metterebbero alla prova la pazienza di Greta, la giovane ambientalista. Stone deve farsi perdonare gli inchini profusi a Putin nel docu del 2017, quando sembrava non avesse nostalgie imperialiste. «Per i nostri bisogni essenziali dell’elettricità dipendiamo dalla combustione di gas e carbonio. Un’emissione che in 30 anni porterà a danni irreparabili». E’ tempo di ripensare al nucleare.

9 settembre 2022 (modifica il 9 settembre 2022 | 16:19)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-09-09 21:02:00,

di Valerio Cappelli

Dati e statistiche alla mano, il regista statunitense racconta: «L’industria nucleare è un polmone in più»

Lunga vita all’energia nucleare. Bisogna liberarsi dal panico che ancora aleggia tra noi, prodotto dalla «controcultura» degli Anni ’70, che si affidava alle piazze e alle stelle del rock contro le centrali nucleari. I concerti «No Nukes» al Madison Square Garden con James Taylor, Crosby Stills & Nash o gli interventi della «pasionaria» ambientalista Jane Fonda. Riecco Oliver Stone con i suoi toni apodittici e definitivi, affiancato da scienziati e fisici: «Questa è la più grande sfida del nostro tempo. Da decenni c’è una campagna di disinformazione. Il vero killer del nostro tempo sono i cambiamenti climatici, siccità, uragani…Si stanno mettendo in commercio progetti per nuovi reattori prodotti in serie a basso costo, che generano energia più pulita del petrolio e del carbone. La cosa peggiore che possa succedere è se non facciamo nulla, l’inerzia».

Il regista è andato negli angoli più remoti della Russia e di altri paesi per dimostrarlo. «L’errore è di collegare l’energia nucleare alla guerra nucleare, si fa una grande confusione, il pericolo viene dai disastri del cambiamento climatico, non dalle centrali atomiche». Dice che in Francia i reattori nucleari ridussero del 50 percento l’emissione di carbonio, ma poi sull’onda del panico causato da poche tragedie sono stati smantellati o contenuti in mezzo mondo. «A Fukushima gli alberi sono tornati a fiorire, anche se la gente non è tornata ad abitarci». E l’Ucraina, dove i soldati russi si sono impossessati della centrale di Zaporizhzhia?

«Ci sono livelli di sicurezza tali che vi si potrebbe schiantare un aereo senza causare danni. La verità è che l’energia nucleare costa meno della combustione fossile e fa meno danni, per non parlare del costo di vittime umane se si escludono pochi clamorosi incidenti in Asia che si contano sulle dita di una mano». Oggi i reattori nucleari in USA forniscono il 20 per cento di elettricità: troppo poca. Dice che Chernobyl c’è stata una sola volta.

«L’industria nucleare è un polmone in più». Questa l’impalcatura del nuovo documentario del regista USA, che si affida a una tale sfilza di cifre, statistiche e cartelli che metterebbero alla prova la pazienza di Greta, la giovane ambientalista. Stone deve farsi perdonare gli inchini profusi a Putin nel docu del 2017, quando sembrava non avesse nostalgie imperialiste. «Per i nostri bisogni essenziali dell’elettricità dipendiamo dalla combustione di gas e carbonio. Un’emissione che in 30 anni porterà a danni irreparabili». E’ tempo di ripensare al nucleare.

9 settembre 2022 (modifica il 9 settembre 2022 | 16:19)

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, V. Ca.

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