Oltre la nebbia i crudi fatti davanti a noi: stiamo facendo abbastanza?

Oltre la nebbia i crudi fatti davanti a noi: stiamo facendo abbastanza?

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Sembra che nessuno abbia il coraggio di dire che l’invasione dell’Ucraina rappresenta il fallimento della pace basata sulla deterrenza nucleare. O forse non l’ho sentito dire io. Il principio della deterrenza ha funzionato per quasi ottant’anni, e ottant’anni sono un tempo breve o lungo a seconda di come lo si guarda. Ma il principio della deterrenza ha sempre funzionato «fino a prova contraria». Ora la prova contraria è arrivata, e si chiama Ucraina.

Gli esperti di provocazioni Nato mi perdoneranno se dopo le immagini arrivate da Bucha oso semplificare un po’, ma davvero non riesco a spiegare il nostro atteggiamento verso questa guerra diversamente: stiamo lasciando che

un popolo che sentiamo vicino, europeo, e che vorremmo soccorrere,

anzi che merita di essere soccorso, venga invece invaso e massacrato, perché temiamo una ritorsione nucleare nei nostri confronti
. Da garanzia di pace, la deterrenza è quindi diventata il suo opposto: garanzia di impunità, di diritto all’aggressione, nonché della nostra impotenza al riguardo.

Ma esiste anche un’altra forma di deterrenza in cui credevamo, e che fallisce oggi, sempre in Ucraina: quella dell’informazione. L’idea, forse ingenua eppure presente in molti di noi, che sotto i riflettori accesi non si potessero commettere determinate atrocità. L’idea che lo sguardo della comunità internazionale avesse un potere dissuasivo rispetto alle ambizioni sfrenate dei singoli, perché siamo tutti legati, quanto meno da interessi economici. «Il mondo sta guardando» è un avvertimento che ci ha rassicurato a lungo, implicitamente, proprio come la «pace nucleare».

Se crimini contro l’umanità si erano prodotti in alcune aree di recente, era stato anche perché quei luoghi erano parzialmente fuori dal cono di luce dell’informazione, quindi meno protetti. Ma l’Ucraina no. Non c’era alcun dubbio che il mondo avrebbe visto lo slalom di quel mezzo militare fra i corpi giustiziati, che avrebbe visto le foto satellitari della fossa comune e quelle ravvicinate dei corpi ammassati e carbonizzati. Allora come si spiega Bucha?

Si spiega, forse, con la consapevolezza nuova che non esiste nessun mondo che guarda. Esistono invece più mondi, almeno due, nei quali la realtà è addirittura speculare. E in uno di questi mondi, non ha alcuna importanza che gli altri stiano guardando o meno, che sappiano. Essere sotto i riflettori accesi non è più una salvezza per nessuno. Se avevamo creduto in un mondo ormai unificato, almeno dalla tecnologia, be’, ci eravamo illusi. Da più di un mese (ma in effetti dal 2014) gli ucraini ci stanno dicendo con la massima chiarezza, non a quale mondo vorrebbero appartenere, ma a quale già appartengono. Ma per noi? All’indomani di Bucha abbiamo l’obbligo di domandarcelo: di quale dei due mondi fa parte l’Ucraina, per noi?

Dopo i primi giorni di guerra ho dovuto impormi una regola sull’utilizzo di Twitter, perché avevo cominciato ad aprirlo anche in piena notte e riconoscevo i primi sintomi di un burnout da eccesso di aggiornamenti. Il flusso di informazioni dall’interno dell’invasione è stato continuo e massiccio, ci ha praticamente travolto. E tuttavia, questo non ha frenato nessuna azione da parte dell’esercito russo. Non ha posto alcun argine di convenienza alla brutalità.

Ieri, Human Rights Watch ha pubblicato un report dal titolo «Apparent War Crimes in Russia-Controlled Areas». L’aggettivo «apparent» non deve trarre in inganno, è un falso amico, e qui significa «evidente». Ci sono le evidenze dei crimini contro l’umanità compiuti in Ucraina da parte dei russi. «Includono un caso di stupro reiterato; due casi di esecuzioni sommarie, una di sei uomini, l’altra di uno; e altri casi di violenza illegale e minacce contro i civili fra il 27 febbraio e il 14 marzo 2022. I soldati (russi) erano anche implicati nei saccheggi di proprietà civili, tra cui cibo, vestiti e legna. Coloro che hanno perpetrato questi abusi sono responsabili di crimini contro l’umanità».

Quelli riportati da Human Rights Watch sono eventi specifici, documentati, non aneddotici. Ma ovviamente rimandano a un quadro generale molto più ampio, fatto — è essenziale ripeterlo — di esecuzioni di civili, violenze sessuali, furti, deportazioni, impiego di armi non convenzionali. Sapere tutto questo cosa comporta? Cosa comporta per noi resto dell’occidente, per noi resto dell’Europa? Per alcuni, me compreso, che forse tendo a semplificare, la risposta coincide con il domandarsi esclusivamente se il supporto che stiamo fornendo all’Ucraina — bellico e non, ma soprattutto bellico — sia commensurato o no alle notizie che ci arrivano.

Invece il nostro dibattito pubblico si incaglia molto prima. Si incaglia addirittura sulla realtà di quello che stiamo guardando. Come se preferissimo, tutto sommato, mantenerci a cavallo dei due mondi. Se in Russia la verità dei fatti viene programmaticamente rovesciata, qui da noi si producono forme più striscianti di mistificazione, si elaborano formulazioni alternative, si suggeriscono paragoni intriganti, in modo che il fatto in sé perda la sua capacità di interrogare. O comunque venga distillato. Così, la linea dell’accettabilità può essere spinta sempre un po’ in avanti.


Ma se Mariupol non bastava, ora c’è Bucha. I pacifisti, i contrari all’invio di armi e a un nostro coinvolgimento di sorta, gli autodesignati «complessisti» potranno facilmente dire che qualsiasi guerra produce crimini contro l’umanità. Anzi, che la guerra stessa è un crimine contro l’umanità. Certo che lo è. Ma si tratta di un ragionamento che non porta lontano, che ancora una volta schiva i fatti crudi, e nega Bucha in quanto Bucha.

4 aprile 2022, 21:11 – modifica il 4 aprile 2022 | 23:10

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, 2022-04-05 04:44:00, Esiste anche un’altra forma di deterrenza in cui credevamo, e che fallisce oggi, sempre in Ucraina: quella dell’informazione. Esecuzioni di civili, violenze sessuali, furti, deportazioni, impiego di armi non convenzionali. Sapere tutto questo cosa comporta per noi resto dell’occidente, per noi resto dell’Europa?, Paolo Giordano

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