Ombra, dove non arriva la luce ma non è detto che sia sempre un guaio

Ombra, dove non arriva la luce ma non è detto che sia sempre un guaio

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Viviamo immersi in contrapposizioni nette, bianco-nero, mobile-statico, piacere-dolore, buio-luce. Come se queste contrapposizioni potessero risolvere e spiegare le infinite sfumature che ci sono tra gli estremi. Semplificare in modo eccessivo non aiuta mai a interpretare la realtà. Per fortuna abbiamo molte parole per descrivere le sfumature, una delle più usate è ombra.

Intanto serve la luce. La descrizione più semplice, riportata dalla maggioranza dei dizionari, ci parla di una zona di oscurità più o meno intensa prodotta su una superficie da un corpo che ostacola una sorgente di luce diretta. L’esempio più eclatante che ci viene in mente è l’eclissi, quando un qualsiasi corpo celeste si interpone ad una sorgente di luce. Ma se le eclissi sono un fenomeno non frequentissimo, il nostro sguardo notturno verso il cielo e la luna è invece quotidiano. E quando noi vediamo solo un piccolo spicchio del satellite è solo perché il resto della luna viene «coperto» dalla terra che intercetta i raggi solari e la lascia in ombra.

Intermedia per definizione. Ombra è il termine con cui definiamo tutte le zone che non sono esposte direttamente ad una fonte di luce. Nei disegni il chiaroscuro consente di restituire prospettiva e profondità all’immagine. Nella fotografia è la zona più scura. In tutti i casi si accompagna al concetto di indistinto, qualcosa che si intravede in modo vago. «Nella nebbia si potevano notare appena le ombre delle case».

Ce la portiamo dietro. È il disegno del nostro corpo che si delinea sul terreno quando veniamo illuminati dal sole, riproducendo più o meno fedelmente la forma. E se ci spostiamo, l’ombra ci segue fedelmente tanto da aver fatto nascere l’espressione figurata «essere l’ombra di qualcuno» per indicare chi segue molto da vicino un soggetto. Resta fortissima l’impressione di inconsistenza, tanto da farci esclamare di fronte a qualcuno che si trova in gravi difficoltà di salute psicologiche, «ormai è l’ombra di sé stesso».

Tornando ai contrasti. Se la luce è da sempre legata ad una dimensione positiva, divina e soprannaturale, il buio è stato fondamentale per definire gli inferi e comunque una negativa. L’ombra si trova in questa parte dell’universo emotivo visto che abbiamo scelto di utilizzare questa parola per definire l’angoscia, il turbamento, il sospetto che può suscitare: l’ombra del tradimento lo tormentava, un’ombra ha incrinato il loro rapporto (dizionario di Tullio De Mauro). O la manifestazione per lo più appena accennata di un sentimento doloroso, un’ombra di malinconia le attraversò il viso.

Cinesi o anglosassoni. L’ombra può essere anche un gioco o una rappresentazione artistica come nel teatro cinese quando si proiettano le ombre di alcune sagome su uno schermo bianco dietro il quale agisce un operatore. Sotto tutt’altre latitudini invece l’espressione «governo ombra», descrive l’abitudine dell’opposizione anglosassone di nominare un ministro ombra per esempio del commercio, con l’incarico di controllare e contestare l’operato del ministro in carica.

Comunque vano. Impalpabile e incorporea, cosa meglio dell’ombra per rappresentare gli spettri? Che conservano le sembianze ma non la consistenza di coloro che furono. D’altronde il regno delle ombre è quello dei morti ed evocarle può significare solo richiamare i fantasmi. Potente immagine figurativa, quanto gesticolare cercando di afferrare la nebbia, l’ombra rappresenta tutto ciò che è effimero, o che scioccamente crediamo importante, come la gloria, la fama, che non sono altro che un’ombra.

Una discussa quantità. Nel linguaggio comune usiamo questa parola anche per indicare una minima quantità, specialmente quando abbiamo bisogno di sottolineare una inflessione negativa. Altrimenti non si spiegherebbe l’espressione di soldi nemmeno l’ombra, oppure non c’è un’ombra di dignità nel tuo comportamento. Ombra riesce quindi ad indicare quel poco che altrimenti sarebbe difficile descrivere. Come quando cerchiamo di togliere una macchia da un tessuto ma rimane un fastidioso alone, un’ombra appunto.

Facciamo luce sui veneti. Una quantità minima, sicuramente molto gradita, è quella denominata dai veneti per il bicchiere di vino. L’ombra de vin corrisponde per l’appunto alla quantità di un calice, un decilitro o poco più, con il doppio risultato di sentirsi poco in colpa quando la si ordina e di versare poco vino se si è un oste e si deve servire. Molto divertenti alcune illazioni sulla nascita di questo modo di dire che istintivamente sembra collegato appunto alla minima quantità. Alcuni siti veneti riportano l’abitudine di mantenere il vino al riparo dalla luce del sole per conservarlo meglio e quindi il più possibile all’ombra.

La contraddizione è nelle origini. Figlia del latino umbra (m) questa parola sembra chiarissima, eppure come abbiamo visto si presta a una quantità di sfumature degna della storia dell’arte. Si porta dietro una innegabile connotazione negativa, tanto da aver germinato un aggettivo come umbratile (solitario, introverso, scontroso). Ma diventa descrittiva se per indicare un romano diciamo che vive «all’ombra del Cupolone» e fondamentalmente una difesa quando sotto un temporale impugniamo un ombrello, oppure quando ci troviamo scottati dal solleone e cerchiamo riparo sotto l’ombrellone.

Quando i contorni si sfumano. Come sempre siamo noi a dare il significato definitivo alle parole che ci aiutano: non c’è luce piena se parliamo di ombra e se esistono angoli non illuminati possono contenere qualunque cosa, anche la più negativa. Fare finta di non vedere può aiutare a gestire il giorno per giorno ma prima o poi se quegli angoli custodivano una minaccia questa troverai il modo di farsi vedere. E non sarà invocare l’incertezza dell’ombra che ci metterà al riparo delle conseguenze. Nel dubbio meglio avere sempre una torcia.

20 dicembre 2022 (modifica il 20 dicembre 2022 | 19:32)

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, 2022-12-20 19:31:00, Si accompagna al concetto di indistinto, qualcosa che si intravede in modo vago, ma si presta a una quantità di sfumature, Paolo Fallai

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