Ossequi, un saluto ormai in disuso travolto dalla quotidianità

Ossequi, un saluto ormai in disuso travolto dalla quotidianità

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Ci sono espressioni che vivono lunghe stagioni di successo, tanto da farle sembrare eterne e immutabili. Eppure, quando l’uso si dirada, il fulgore si appanna, a riguardarle sembra quasi impossibile che siano state preferite cos a lungo. il caso di un saluto che nella nostra contemporaneit viene usato raramente: ossequi.

Espressione di deferenza. Pochi dubbi sul significato. L’ossequio sempre un segno di profondo rispetto nei confronti di una persona che si considera degna della massima considerazione. Per questo, concludere una lettera con l’espressione ossequi, o con ossequio, voleva rimarcare il rispetto e la riverenza nei confronti dell’interlocutore.

Questione di ruoli. Ma c’ di pi: l’ossequio presuppone una obbedienza passiva ai limiti del servilismo nei confronti di quella che si considera una autorit. Che lo sia obiettivamente nella realt, pensiamo alla massima carica pubblica, per esempio, perfino secondario nella valutazione di questa espressione: quello che conta la posizione di subordinazione in cui si mette chi la utilizza, anzi, il fatto stesso di utilizzarla intende rimarcare questa sottomissione.

L’origine latina. La parola italiana deriva dal latino obsĕquĭu(m), derivato di obsĕqui secondare, ubbidire, accondiscendere. un verbo composto dal prefisso ob- (nella direzione, verso) e dal verbo sequi (seguire). Quasi a fotografare il movimento che ci porta a muoverci sulle orme della persona cui vogliamo rendere omaggio, che vogliamo ossequiare.

L’importanza del movimento. L’ossequio presuppone metaforicamente un inchino, un prostrarsi in posizione volutamente sottomessa. Un atto di deferenza, che non a caso provenendo dal verbo latino deferre (portare gi, con un movimento dall’alto in basso) sembra proprio descriverlo. E contro l’apparenza, non c’ contraddizione col significato transitivo di deferire (denunciare) qualcuno davanti ad una autorit. Si tratta sempre di trascinarlo gi su un banco da imputato.

Ognuno al suo posto. Nella dinamica dei saluti, ossequi serviva a chiarire le rispettive posizioni, a ribadire che il mittente e il destinatario non erano sullo stesso piano e anzi chi scrive tiene a sottolineare la sua posizione di subordinazione e l’omaggio che vuole rendere riconoscendo la superiorit e il potere del destinatario.

Figuriamoci oggi. Difficile immaginare la predisposizione dei nostri contemporanei a porsi in una posizione cos subordinata. Non perch manchino le situazioni in cui professare la propria deferenza ad un potere (che sia un’autorit riconosciuta o un superiore gerarchico), ma perch la sottomissione appare pi sostanziale e meno formale. Sommersi dai luoghi comuni, non ci interessa mostrare l’accondiscendenza, anzi oggi sembra prevalere una certa arrogante confidenza nei rapporti. Vediamo con un paio di esempi.

In tribunale. Alzi la mano chi non ha visto nei film o nei telefilm soprattutto americani o comunque anglosassoni, gli avvocati mentre si rivolgono al giudice chiamandolo vostro onore. la traduzione a calco dell’espressione your honor, tradizionale in quelle corti per rivolgersi in segno di rispetto nei confronti del magistrato. In Italia nessuno la usa e il massimo nelle aule l’espressione signor giudice.

Il massimo della confidenza. Nel salutare qualcuno che conosciamo usiamo spesso l’espressione Ciao. Certo, non ci viene in mente di salutarlo dicendo servo vostro, consideratemi il vostro schiavo. Eppure, pi o meno quello che diciamo usando ciao, visto che questa paroletta figlia dell’antico saluto veneziano s’ciavo, cio schiavo (sottinteso: vostro), con il quale si esprimeva riguardo per la persona che si stava salutando.

Tanti modi per salutarsi. Nell’ormai lontano 2010, la linguista Raffaella Setti per l’Accademia della Crusca prese in esame i saluti e in particolare molti lettori si soffermavano sul rilancio in italiano dell’espressione salve. Si tratta – spiegava la linguista – della forma dell’imperativo del verbo latino salvēre “essere in buona salute” ed quindi un’espressione augurale, “salute a te”, che si fissata in una formula di saluto perdendo il contatto con il significato etimologico.

L’evoluzione dei significati. Nel tempo – prosegue l’analisi di Raffaella Setti – il legame con il significato etimologico si opacizzato e salve ha subito un’evoluzione semantica simile a molte altre formule allocutive di saluto come pronto (risposta telefonica che deriva dall’avviso che era pronto il collegamento), ma anche arrivederci (augurio di potersi rivedere) e ciao. Non deve stupirci che salve abbia progressivamente ampliato i contesti d’uso, anche a scapito di altre locuzioni di saluto, poich nel sistema dell’italiano manca una forma di livello medio: a fronte di un’ampia scelta di saluti di formalit medio-alta (buon giorno, arrivederci, addio fino a arrivederla, ossequi), e del saluto informale per eccellenza ciao, risulta assolutamente carente la fascia di media formalit.

Le insolite mezze misure. Nel linguaggio non le abbiamo proprio, oscilliamo tra gli ossequi e i ciao. Sar perch tra sopraffazione e servilismo conta l’apparenza, mentre si moltiplica l’aggressivit verbale al limite della violenza. Ma nella sostanza la predisposizione all’ossequio straordinariamente diffusa. E con questa convinzione ossequiosamente possiamo salutarci.

, L’articolo originale è stato pubblicato da, https://www.corriere.it/scuola/23_ottobre_04/ossequi-saluto-ormai-disuso-travolto-quotidianita-60521c76-6218-11ee-8880-d207c62d4521.shtml, , https://rss.app/feeds/0kOk1fn8PPcBHYnU.xml, Paolo Fallai,

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