Michele Padovano: Mi hanno tolto 17 anni di vita. Oggi dedico questo risultato a mia moglie  e mio figlio

Michele Padovano: Mi hanno tolto 17 anni di vita. Oggi dedico questo risultato a mia moglie e mio figlio

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di Simona Lorenzetti

L’ex calciatore della Juventus assolto dall’accusa di traffico di droga: La giustizia stata lenta ma non ho mai smesso di crederci. Dedico questo risultato a mia moglie e a mio figlio

Vale pi di un gol. Anche di quello segnato nel ‘96 contro il Real Madrid, che alla Juventus apr la strada verso il trionfo in Champions League. Michele Padovano, 55 anni, non ha dubbi su quale sia la vittoria pi importante della sua vita. Il verdetto della Corte d’Appello di Torino, che lo ha assolto dall’accusa di aver finanziato un traffico di droga dal Marocco, un trofeo dal valore inestimabile. Ha atteso 17 anni — l’arresto risale al 2006 — perch la verit venisse a galla. Diciassette anni sono una vita. La giustizia stata lenta, ma non ho mai smesso di crederci. E oggi voglio dedicare questo risultato a mia moglie e a mio figlio, che mi hanno accompagnato in questa battaglia. Devo tutto a loro e ai miei avvocati, Michele Galasso e Giacomo Francini.

Possiamo dire che la fine di un incubo?
Altroch! Sono stati anni difficilissimi e in alcuni momenti ho avuto il timore di non farcela. In cuor mio sapevo di non aver fatto ci di cui ero accusato, ma ho anche dubitato di poterlo dimostrare. La prima volta i giudici non mi hanno creduto e quella condanna a 8 anni stata un colpo al cuore.

Cosa le ha portato via questa storia?
Tutto. Quando sono venuti ad arrestarmi ho pensato che fosse uno scherzo. Non riuscivo a crederci. La mia famiglia stata distrutta, ma insieme abbiamo trovato la forza di reagire. Ho perso il lavoro e ho dovuto dire addio al calcio, la mia vita.

In molti le hanno voltato le spalle?
S, e tante porte si sono chiuse. Ho perso tutto quello che avevo: propriet, soldi, fama. Cercavo lavoro e a parole erano tutti gentili e collaborativi, ma nei loro occhi leggevo il pregiudizio. Molti si spacciavano per amici, ma non lo erano.

Lei stato in carcere?
Tre mesi. I primi dieci giorni a Cuneo: non potevo parlare con nessuno e nemmeno farmi una doccia. Sembrava avessero arrestato Pablo Escobar. Poi mi trasferirono a Bergamo e l incontrai una grande umanit. All’inizio pensavo fossero gentili perch ero Padovano. Invece lo erano con tutti. Gli altri detenuti hanno capito subito che quello non era il mio posto. Ero spaesato e il mio compagno di cella mi ha aiutato molto. Ancora oggi ci scambiamo qualche messaggio.

Lei ha dovuto dire addio al calcio, ma qualcuno di quel mondo le stato vicino?
Solo due persone hanno continuato a credere in me: Gianluca Vialli e Gianluca Presicci. Quando mi hanno arrestato, Vialli chiamava tutti i giorni mia moglie. Era una persona e un amico, so che oggi sarebbe felice per me. Mi manca molto.

Adesso pu togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Non mi interessa. Questa storia mi ha insegnato i veri valori della vita: stare in famiglia, prendersi cura delle persone a cui vuoi bene, coltivare rapporti sinceri. Voglio tornare a vivere, senza recriminare sul passato. Adesso il momento del riscatto. La mia vita racchiusa in un pallone, certe passioni sono stampate nel Dna. Rinunciare stato difficile: ci sono ancora molte cose che voglio fare e il calcio il mio mondo. Sto lavorando a un progetto legato alla gestione dei rapporti tra squadre e calciatori.

Ha affrontato il calvario giudiziario per colpa di un prestito a un amico d’infanzia. Sono cambiati i vostri rapporti?
Ci conosciamo da quando eravamo bambini. E non rinnego la nostra amicizia: l’ho detto anche in Tribunale. Lui con me si sempre comportato bene ha sempre detto che non c’entravo nulla. Ma non hanno creduto a me e neanche a lui.

Cosa le restituisce questa sentenza?
Dignit, fiducia, speranza per il futuro. Non ho mai mollato, non l’ho mai fatto sul campo e nella vita. E non ho mollato neanche in Tribunale: non bisogna mai arrendersi.

1 febbraio 2023 (modifica il 2 febbraio 2023 | 08:17)

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