Paolo Mieli: «Torino mi ricorda Bonn, che non è più capitale ma ha trovato la sua ragion d’essere»

Paolo Mieli: «Torino mi ricorda Bonn, che non è più capitale ma ha trovato la sua ragion d’essere»

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di Massimiliano Nerozzi

«Ferite ancora aperte», a Saluzzo la lectio magistralis del giornalista e saggista

Non bisogna dimenticarsi le ferite della (propria) storia, spiega a un certo punto Paolo Mieli, che mercoledì 2 novembre chiude la Festa del libro medioevale e antico di Saluzzo. Con una lectio magistralis — dalle 21 al Teatro Magda Olivero — tratta dal suo nuovo libro, Ferite ancora aperte (Rizzoli). Un saggio che, partendo dal periodo romano e dal Medioevo appunto, arriva al Novecento, alla ricerca delle lesioni del passato che ancora oggi fanno sentire le proprie conseguenze.

Paolo Mieli, perché anche il Medioevo?

«Perché è sempre stato visto, e raccontato, come un periodo buio, di peste e carestie, di guerre e oscurantismo, e invece, da alcuni anni, viene studiato sotto tutt’altra ottica. E ci regala anche solidi esempi».

Uno?

«La Spagna di quei secoli in cui arabi, ebrei, cattolici, vivevano insieme: è lì che dobbiamo andare, per imparare qualcosa».

«Le ferite del passato non si cicatrizzano mai», ha detto: perché?

«Perché quando uno se ne fa un’altra, trascuri quella precedente, che però resta sempre lì. E basta poco per farla sanguinare di nuovo, come la ferita della guerra in Ucraina. Si ripresenta, seppure in forme diverse. E poi perché si riconoscono sempre le ragioni dei vincitori e non dei vinti».

Kierkegaard scrisse: «Una ferita a volte è peggio quando si rimargina».

«Perché non te ne accorgi, dicevo, come fosse sparita definitivamente. Invece è lì: è successo per la lotta della democrazia contro il fascismo, con il comunismo e via dicendo. Crollò il muro di Berlino e si disse che era tutto risolto. E invece no».

Eppure Tolstoj la pensava all’opposto: «L’unica salvezza della gente sta nel nascondere le proprie ferite».

«Era una riflessione intimista, per la sopravvivenza delle persone, per andare avanti. Il mio discorso era una sorta di terapia, nella dimensione storica: poi è chiaro che ci sono guerre e pandemie, ma l’umanità continua il suo cammino, e si migliora».

Una ferita di Torino?

«Quando non fu più la capitale d’Italia. Da quel momento, alla città non è più stato riconosciuto il rango di propulsore, nel senso di chi aveva fatto l’Italia. Poi però, uno pensa a Einaudi, alla Torino operaia, alla televisione e al cinema, settori nei quali è riuscita a innovare e a primeggiare, di nuovo».

Morale?

«Torino è una città che genera primati. Nessuno, nell’Ottocento, avrebbe giurato che da qui si sarebbe fatta l’Unità».

Prima però i sindaci di Torino erano figure da orizzonte politico nazionale, ora molto meno: c’è un motivo?

«Prima c’era anche il Pci, che li valorizzava, e valorizzava la città, per la sua storia. Così come, fino ai Savoia, i politici più importanti arrivavano da qui e dintorni. Un po’ come i manager della Fiat: una volta li conoscevano tutti, adesso?».

Un sindaco che avrebbe potuto fare il salto?

«Chiara Appendino: mi sarei aspettato sarebbe stata a lei a guidare i Cinque Stelle, affidando a Conte un ruolo più notarile. Ma forse, in altri tempi».

Dunque, che futuro si immagina per Torino?

«Una città che ha perso la politica, i Savoia, la Fiat, la cultura, insomma tutto quel che abbiamo detto, si è saputa rigenerare, producendo ricchezza. Mi ricorda Bonn, che non è più capitale della Germania, ma che ha comunque trovato la sua ragion d’essere. Basterebbe solo che il resto d’Italia non la bistrattasse».

Una ferita che vorrebbe rimarginata?

«Quella del Ventennio: si fa finta che lo sia, ma ogni volta la si guarda in maniera militante, come fossero ancora i giorni seguenti il 25 aprile ‘45, lo dico anche a me stesso».

Qual è il rischio di una visione storica poco lucida?

«L’ossessivo ricordo del passato ti impedisce di vedere cos’hai di fronte. Come la Russia di Putin che, con tutti i distinguo possibili di luci e ombre, è molto simile al fascismo».

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1 novembre 2022 (modifica il 1 novembre 2022 | 20:06)

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, 2022-11-02 07:32:00, «Ferite ancora aperte», a Saluzzo la lectio magistralis del giornalista e saggista, Massimiliano Nerozzi

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