Parma, 1954. Un nobile decaduto e quattro donne uccise: il mostro della luna piena

Parma, 1954. Un nobile decaduto e quattro donne uccise: il mostro della luna piena

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di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

La prima vittima era la moglie di un ex marchese caduto in disgrazia. Che divenne compagno dell’ultima prostituta assassinata. Ennio Camisani Calzolari fu processato e assolto. Morì poco dopo nel misterioso incendio della sua casa

All’alba del 6 novembre del 1954 i primi raggi del sole faticano a penetrare la fitta coltre di nebbia che ricopre la campagna attorno a Parma. È il tipico autunno della Bassa, con la bruma che riduce il mondo a uno spazio silenzioso di pochi metri quadrati. Il bracciante Ermenegildo Bottazzi di Mariano, frazione alle porte della città, sta pedalando lungo uno stradello, attraverso i campi che portano al podere dove lavora. Maledicendo l’umidità che gli entra nelle ossa e gli inzuppa i calzoni, l’uomo imbocca un tratto rettilineo quando, con un movimento rapido del piede, attiva il contropedale e blocca la bicicletta. Sul margine destro dello stradello, davanti a lui, tra le sterpaglie, spunta qualcosa di strano, qualcosa che visto sotto i rami spogli dei gelsi fa ancora più paura: la gamba di una donna. Bottazzi si avvicina un poco, quanto basta per scorgere il resto del corpo disteso nel fossato. Pallido in volto, gira la bicicletta e corre a dare l’allarme.

Bambola rotta

Mezzora più tardi, la notizia del ritrovamento di un cadavere ha già fatto il giro di tutti i casolari di Mariano. Quando la volante arriva sul posto, una folla di curiosi è già accalcata attorno al corpo di una donna che, così riversa, sembra una bambola rotta, come gettata via da un’auto in corsa. E di una bambola, quella donna, ha anche la bellezza: lineamenti fini, capelli ben tagliati e gli occhi grigi. L’abito che indossa è nero, quasi estivo, qualcosa di fuori posto in un freddo novembre della Bassa. E al collo ha un foulard di seta, che qualcuno ha stretto con forza fino ad ucciderla. Altri segni di violenza non se ne vedono, ma gli agenti notano che sulle scarpe non vi è traccia di polvere e sull’erba vi sono segni di pneumatici. La donna deve essere arrivata lì a bordo di un’auto, forse già morta. Mentre il procuratore della Repubblica dà il nulla osta perché il cadavere venga trasportato nel reparto di medicina legale dell’ospedale di Parma, la Questura è già risalita all’identità della vittima. Si tratta di Domenica Rustici, nata 39 anni prima a Pagazzano, un borgo non lontano da Berceto. Siamo sulle montagne di Parma, a quasi 900 metri di altezza, lungo la strada che, dal passo della Cisa, scavalla portando a La Spezia.

TRA LE DUE PERSONE INTERROGATE C’ERA ANCHE UN MEDICO, FERMATO PER DUE DEI QUATTRO DELITTI. MA IL SUO NOME NON SI E’ MAI SAPUTO

Il marito nobile decaduto

Qui, anni prima, Domenica aveva conosciuto quello che poi è diventato suo marito, Ennio Camisani Calzolari, nobile decaduto e possidente terriero dalle scarse risorse. A quanto si mormora, il matrimonio era infelice.

Per questo Domenica, che era madre di due adolescenti, con la scusa di avvicinare i ragazzi alle scuole, si era trasferita da qualche anno a Parma, nella centralissima via Garibaldi, davanti al celebre Teatro Regio. Il marito, invece, era rimasto a vivere sulle montagne e faceva visita alla famiglia una o due volte alla settimana, raggiungendo la città a bordo della sua motocicletta. Il primo a identificare la vittima è stato il capo della Buoncostume. Domenica è infatti nota alle forze dell’ordine fin da quando aveva iniziato, tempo prima, a bazzicare nelle ore tarde la zona della stazione. Il suo nome d’arte era “la Signora”, perché lei non era una lucciola come le altre. Moglie di un uomo che, anche se male in arnese, vanta nobili natali, Domenica vestiva elegante, da signora, appunto. Abiti costosi, qualche gioiello e al polso sempre un orologio di valore, che al momento del ritrovamento del suo cadavere, però, non c’è. L’autopsia colloca l’ora della morte intorno a mezzanotte e mezza. L’ultima persona che l’ha vista viva indica le 23: dunque, un’ora e mezza di mistero in cui Domenica ha incontrato chi ha posto fine alla sua vita.

Gli agenti della polizia si introducono negli ambienti del malaffare, parlano con le prostitute che a fine giornata affollano la zona di via Toschi. Qualcuno racconta di aver visto la sera dell’omicidio, lungo lo stradello di Mariano, un uomo e una donna passeggiare poco lontano da una Topolino. Vengono allora controllati oltre mille proprietari di Fiat 500: inutilmente. Senza una vera pista da seguire, con descrizioni sommarie e chiacchiere non verificate, gli inquirenti alla fine devono gettare la spugna e concedere il nullaosta ai funerali. La “vicenda Rustici” si avvia a diventare un caso irrisolto.

Seconda vittima

La mattina del Venerdì Santo dell’8 aprile 1955, nell’ufficio di guardia della Questura di Parma squilla il telefono. Una voce in tono concitato spiega che sull’argine destro del Baganza, che scorre poco lontano dalla città, è stato rinvenuto il cadavere di una donna, anch’essa strangolata. Quando gli agenti giungono sul posto è iniziata a cadere una pioggerellina fitta, che bagna il volto pallidissimo della donna sul quale risaltano due grosse ecchimosi al naso e alla guancia, come se qualcuno l’avesse presa a pugni prima di ucciderla. Sono gli unici segni di violenza, oltre alla striscia rossa attorno al collo. In una tasca del suo cappotto nero e sgualcito gli agenti trovano la carta d’identità.

FORSE CAMISANI CALZOLARI CONOSCEVA IL NOME DEL SOSPETTATO E HA CERCATO DI RICATTARLO. E’ LUI LA SESTA VITTIMA DEL MOSTRO?

La donna è Ermina Mori, nata 32 anni prima a Mezzani Inferiore, borgo a una ventina di chilometri da Parma. Anche Ermina faceva la vita, fin da quando, giovanissima, aveva abbandonato la casa di sua madre Ilda, detta Ildon la Stria, per sfuggire a un ambiente povero e degradato. La strega aveva finito i suoi giorni inghiottendo mezzo litro di varechina, mentre del padre di Ermina si erano da tempo perse le tracce. Però a Parma la ragazza non aveva trovato una vita migliore, anzi era scesa ancora più in basso. Tanto che chi la conosceva non la chiamava per nome, ma con pratica crudeltà semplicemente la Cagna. Ermina, come un animale, viveva in un anfratto ricavato all’interno di un muro di cinta del poligono di tiro. Per letto, un sacco di juta. L’acqua per bere andava ad attingerla direttamente al torrente, sulla cui sponda avrebbe trovato la morte. Eppure, anche l’ossuta e guardinga Ermina era capace di suscitare amori appassionati: un carrettiere aveva lasciato moglie e figli per andare a vivere con lei nella sua tana da cane randagio. I parenti di lui però si erano messi di mezzo e con le buone o con le cattive l’uomo era tornato a casa. Ermina ancora una volta era rimasta sola. Chi la vide quel giorno sul tavolo dell’obitorio descrisse la sua espressione come rassegnata. Il mostro aveva posto fine alla sua fatica di vivere.

Terzo plenilunio, terza vittima

Alcune colleghe di Ermina raccontano agli inquirenti di aver visto la donna in centro verso le 23 della sua ultima sera. L’incontro che le è stato fatale deve essere avvenuto subito dopo. Le “lucciole” ora hanno paura. Da tempo segnalano la presenza di un cliente che durante l’amplesso diventa violento e le morti di Ermina e di Domenica sono evidentemente collegate. Ma anche se Parma è piccola e nell’ambiente ci si conosce tutti, gli identikit non portano ad alcun nome. Un particolare però non sfugge agli inquirenti: entrambe le donne sono morte in una notte di luna piena, tra venerdì e sabato. Anche Elide Belmesseri viene strangolata durante un plenilunio, quello tra il 7 e l’8 aprile 1955. Bella e fiera, come tutti la descrivono, Elide era nata sulle montagne di Parma e da lì era scesa, non ancora ventenne, attratta dalle luci della città e portandosi appresso un soprannome legato al lavoro che faceva fin da bambina: la Pastora. I sogni si erano però infranti contro la durezza di una vita trascorsa sulla strada e terminata anche per lei in periferia, ai margini di uno squallido boschetto, dove si appartano in auto le coppie clandestine.

Il sospetto

Nei giorni seguenti, in Questura sfilano 50 persone tra uomini e donne. Gli inquirenti focalizzano l’attenzione su un paio di individui. Tra cui un professionista, un medico trentenne di Parma che esercita a Noceto, a una dozzina di chilometri dalla città, già fermato anche durante le indagini per l’omicidio della Rustici. Quando lo interrogano per la morte di Elide cade in alcune contraddizioni, che non bastano ai carabinieri per formulare un’accusa. Il medico, la cui identità non verrà mai svelata, viene scagionato. Nei 13 anni seguenti l’assassino non colpirà più. Secondo alcuni, il mostro è morto; per gli altri la tragica fine delle prostitute è un ricordo che sbiadisce troppo in fretta. Fino a quando un nuovo cadavere riporta tra le strade di Parma la paura. Lo strangolatore è tornato.

La legge Merlin

All’inizio del 1958, dopo un’accesa discussione parlamentare, viene promulgata la legge Merlin. L’Italia tira giù per sempre le serrande delle case di tolleranza e introduce i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Da quel momento, la professione verrà esercitata solo agli angoli delle strade e in squallide stanze in affitto, lasciando le ragazze ancora più indifese. Anche la Bianchina, al secolo Bianca Miodini, di sera è per strada. Il suo sopraggiungere è anticipato dal tintinnio di un campanellino, che dopo la chiusura dei bordelli usa per attirare i clienti. Senza essersi mai sposata, ha avuto due figlie che ha cresciuto con le fatiche del suo lavoro. Ma un destino avverso le ha strappato via la più giovane, morta di leucemia. Nel 1967, a 54 anni, Bianchina esercita ancora con coraggio la professione e i clienti li porta in uno stanzino al n. 9 di borgo Merulo, un tempo noto col nome sinistro di borgo della Morte. Ed è lì che la notte del 10 luglio Bianchina si ritrova bloccata sul letto, con il corpo scosso dalle convulsioni in cerca dell’ultimo respiro, mentre un foulard si stringe sempre più stretto attorno al suo collo. Quando resta immobile, gli occhi vitrei, spalancati verso il soffitto, la vestaglia a fiori tirata su fino ai fianchi, colui che l’ha privata della vita se ne va lasciando la lampada accesa, il rubinetto gocciolante e le imposte dell’unica finestra chiuse sul borgo della Morte.

La chiusura del cerchio

Verso le 11 del giorno dopo, l’amante di Bianchina, trovato il corpo, corre in Questura per dare l’allarme. I poliziotti si trovano davanti un individuo dalla vistosa cravatta colorata e dalle dita piene di anelli. Ma a colpirli è la sua identità. Si tratta di Ennio Camisani Calzolari, il vedovo di Domenica Rustici, la cui morte 13 anni prima ha dato inizio alla serie degli omicidi del mostro. Dunque, il vedovo della prima vittima è anche l’amante dell’ultima prostituta uccisa dalla malabestia. Ma chi è Ennio Camisani Calzolari? I Camisani un tempo vantavano il titolo di marchesi e leggenda vuole che discendessero da uno scudiero dell’imperatore Federico Barbarossa. A Roccaprebalza, sulle montagne di Berceto, hanno le loro proprietà. E lassù è nato Ennio il 24 settembre 1908. Al tempo dell’omicidio della Bianchina ha 59 anni e dal punto di vista finanziario è sul lastrico. Non esercita alcuna professione e, a parte le scarse rendite delle sue terre, vive grazie ai soldi che la Bianchina porta a casa. Del resto, la donna in banca ha messo via tre milioni di lire, che sono tanti per l’epoca. Il rapporto tra i due era cominciato subito dopo la morte di Domenica.

Vita di coppia

Insieme avevano affittato la palazzina al n. 9 di via Merulo: al piano terra la Bianchina incontrava i clienti e, terminato il turno, saliva le scale per raggiungere Camisani nell’appartamentino di tre stanze che divideva con lui. L’ultima sera di vita della Bianchina è uguale a molte altre. Nelle osterie del vicino borgo San Silvestro la gente beve e gioca a carte. Verso le 23, la donna esce per andare in un bar e per strada incontra un’amica. Poche parole ed è già nel suo stanzino, dove indossa la vestaglia a fiori. Ennio Camisani dice di essersi ritirato presto, quella sera. «Mi sono addormentato subito», racconta, «e mi sono risvegliato alle 2.30». È l’ora in cui la Bianchina è solita rincasare dopo l’ultimo cliente. Ma non questa volta. L’uomo allora era sceso al piano terra, ma da sotto la porta dello stanzino filtrava la luce: Bianchina doveva essere ancora in compagnia e Camisani era tornato a letto. Solo al mattino aveva scoperto il corpo. Il funerale viene celebrato il 12 luglio 1967. Sulla bara una corona di fiori con la scritta “Il caro Ennio”. Camisani, che nel 1954 aveva seguito mestamente il carro funebre della moglie Domenica, questa volta non è presente. Lo stanno torchiando in Questura. L’interrogatorio prende le mosse da questi due funerali, da queste due donne a lui legate sentimentalmente ed entrambe morte ammazzate. E dal fatto che Ennio ai famigliari della Bianchina – il corpo ancora caldo – si era affrettato a dire che i tre milioni accumulati dalla donna erano suoi. Per gli inquirenti si tratta di un bel movente e ai giornalisti accorsi da tutta Italia dicono laconici: «Il suo racconto presenta alcune contraddizioni». In realtà, si sono già convinti che sia lui l’assassino di Bianchina e anche delle altre prostitute, compresa Norma Casini, una lucciola di Reggio Emilia strangolata con una calza di nylon proprio in quegli anni.

Il processo

Il nobile decaduto viene allora portato nel carcere giudiziario di San Francesco. L’accusa è omicidio volontario e sfruttamento della prostituzione. L’uomo per tutto il tempo si mantiene calmo, ma davanti al pubblico ministero modifica la sua versione per tre volte. Poi, fa una mezza confessione su Bianchina: forse, dice, l’ha soffocata involontariamente mentre le faceva un massaggio nel tentativo di rianimarla. La perizia necroscopica però lo smentisce e Camisani modifica per la quarta volta la sua versione, tornando alla prima: lui non c’entra nulla e ha trovato morta la Bianchina la mattina dell’11 luglio 1967, mezzora prima di arrivare in Questura a denunciarne l’omicidio. Il processo viene celebrato nell’ottobre del 1968. Dura pochissimo e si chiude con i giudici che lo assolvono per insufficienza di prove dall’accusa di omicidio nei confronti di Bianchina. Camisani viene invece condannato a un anno e sei mesi di reclusione per induzione e sfruttamento della prostituzione. Il collegio della difesa ricorrerà in appello, ma alla fine lo stesso pm rinuncerà al processo di secondo grado. Per gli altri 4 omicidi – quello di Domenica, di Ermina, di Elide e della reggiana Nora Casini – nessuno è mai stato portato davanti a un giudice. Scarcerato il 12 gennaio del 1969, avendo già scontato un anno e tre mesi di detenzione preventiva, Ennio Camisani torna nella vecchia casa di Roccaprebalza, dove vivono il fratello e l’anziana madre, che morirà di crepacuore, così almeno raccontano in paese, al principio del 1970. Qualche anno più tardi, i figli residenti ormai all’estero, e lui povero e quasi cieco, chiede e ottiene di essere alloggiato in una casa di cura per anziani. In cambio, donerà all’istituto tutto quello che possiede. Ennio però non fa in tempo ad entrarci. La mattina del 3 marzo 1973 una lunga colonna di fumo nero si staglia sopra Roccaprebalza: la grande casa dei Camisani è andata a fuoco e i pompieri hanno impiegato tutta la notte a domare le fiamme. Sui gradini dell’ultima rampa di scale giace il cadavere di Ennio. Il referto dell’autopsia è scarno e conciso: morte per avvelenamento da monossido di carbonio. I giornali locali registrano il decesso come misterioso.

Una coincidenza

Ennio Camisani Calzolari era davvero il mostro della luna piena? L’essere marito della prima vittima e amante dell’ultima sembra più che una macabra coincidenza. Eppure, le indagini e le dinamiche dei ritrovamenti dei cadaveri hanno dimostrato che le donne venivano condotte in aperta campagna a bordo di un’auto. Il Camisani, però, possedeva solo motociclette. Un’auto, invece, ce l’aveva il giovane medico rimasto alle cronache senza nome. Un individuo finito nell’elenco dei sospettati in almeno due degli omicidi. Camisani forse sapeva. Sapeva chi era il mostro e, magari, lo aveva anche protetto, pensando di guadagnarci qualcosa. Le sue richieste di denaro però potrebbero essere diventate troppo pressanti nel tempo ed Ennio, considerato strano fin da quando era un ragazzo, invecchiando rischiava di essere per l’assassino una mina vagante. L’incendio è stato dunque appiccato per farlo tacere per sempre? Forse quello di Ennio Camisani Calzolari è un omicidio rimasto irrisolto: la sesta vittima del mostro della luna piena.

28 novembre 2022 (modifica il 28 novembre 2022 | 06:47)

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, 2022-11-28 08:16:00, La prima vittima era la moglie di un ex marchese caduto in disgrazia. Che divenne compagno dell’ultima prostituta assassinata. Ennio Camisani Calzolari fu processato e assolto. Morì poco dopo nel misterioso incendio della sua casa, Massimiliano Jattoni Dall’Asén

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